Da Gezy Park - Tra Europa e Asia, non più e non ancora, sulle tracce della nostra rivoluzione euromediterranea

15 / 6 / 2013

Nulla è finito. Tutto è aperto, pieno di vita, in movimento. Ampio e ricco, potente e virale. Nonostante le botte, i tear gas sparati a migliaia, forse a decine di migliaia; nonostante i colpi di pistola, gli assassinii, le torture, gli stupri, gli arresti di tutti e per nulla.

Tutto va bene e le tende crescono, la discussione avanza, il governo del torvo Erdogan è costretto a parlare, a offrire come funesta Circe proposte irricevibili ai movimenti di #occupyGezi.

Ma non è solo Gezi anche se è soprattutto Gezi; altri quartieri della megalopoli Istanbul sono stati impattati dalla lotta, ad Ankara il conflitto è caldo, anche in Università.

Come ogni lotta vera essa è centripeta, attrae interesse collettivo e generale e sa comporsi con altre, senza diventare un indistinto “voler essere” ma è capace di vivere la potenza sovversiva e costituente della composizione delle differenze, quasi a delineare, partendo dallo scontro, dal conflitto durissimo, dalla resistenza generosa e a tratti davvero eroica, i prolegomeni della nuova società.

Così alle associazioni di carattere ambientale si sono uniti gli studenti di Galata ed altre Università, poi altri movimenti, anche femministi, e sindacati, partiti, movimenti di liberazione nazionale, l'universo di chi ha un buon motivo per lottare contro il regime feroce e liberticida del padre padrone dell'Akp.

Insomma, Gezi Park è una piazza che contiene molte piazze, che funziona (migliaia di pasti offerti, pulizie sempre in corso, un costante occhio alle guardie, la disponibilità assoluta alla relazione e alla comunicazione, che è virale, on line, singolarizzata con l'utilizzo degli smartphone e socializzata liberamente con i social network) e che va attraversata, al di là della categorizzazione semplicistica che da sempre si usa contro le soggettività di movimento: vittoria o sconfitta, com'è andata?

Non ha senso porre questo discrimine, innanzitutto perché i movimenti sociali reali non si pongono questo problema, (e cosa significa poi "vincere o perdere"? Come misureremmo questa categoria? Chi decide dell'una o dell'altra? Quando finisce la partita?) ed è comunque un dibattito non contestuale alla lotta, ma a essa successivo ed infinitamente subordinato.

La società si trasforma, non si conquista, dicono gli attivisti di Istanbul. Ed ancora: le barricate, i blindati bruciati, la serenità determinata con la quale vengono offerti i caschetti per proteggere il capo sono elementi potenti di un dizionario che vive gli alti e i bassi dei cicli di movimento in una fase storica in cui non esiste più un percorso unico e un'unica linea politica, ma si mette invece a tema la ricerca comune delle migliori pratiche di resistenza e di costituzione di nuova società.

Colpisce come i simboli, i dispositivi organizzativi, gli slogan, le technicality di narrazione siano comuni nei movimenti. Un tempo, diciamo la fine degli anni Novanta, eravamo tutti così distanti e così diversi da dover far antecedere il "chi sei e da dove vieni" prima di cominciare a ragionare di come ci uniamo nella lotta. Ora è tutto più fluido, semplice e semplicemente liquido.

Non stiamo sostenendo che vi è un programma, un'agenda, un metodo; bensì vi è, a saperlo leggere, un sentimento comune nei movimenti sociali (reali) nello spazio politico europeo e mediterraneo e, provando a fare un passo soggettivo in avanti su ciò, vi sono anche alcune coordinate di iniziativa che si richiamano nei differenti contesti.

Ad esempio, il tema della difesa della risorsa ambientale, ovvero la resistenza contro la privatizzazione del pubblico a mezzo di nuove enclosure nei territori, siano essi metropolitani o distribuiti.

L'accento sullo iato tra democrazia rappresentativa e democrazia reale è un altro spartiacque di fase: ovunque e sempre si pone con urgenza la critica radicale a chi decide per cosa. Lo vediamo dalle lotte per la difesa della risorsa ambientale e territoriale, ai conflitti sui posti di lavoro, dalle battaglie contro i regimi corrotti ai movimenti sociali contro la Troika.

Tutte e tutti stiamo lottando per sovvertire la violenza di un sistema che, nel nome della democrazia rappresentativa, ha espropriato alle moltitudini sovranità e diritto di scelta condivisa.

Avanti, dunque, senza esitazioni!

15.06.13 Istanbul - Gezy Park - Interviste e commenti

loading_player ...