Dalla Tunisia - La rivolta profonda di Kasserine

3 / 4 / 2011

Kassarine, 2 Aprile

Dopo quasi un giorno di viaggio finalmente con la delegazione del Forum Sociale Mondiale raggiungiamo Kassarine, città nel sud del Paese che tutti hanno imparato a conoscere come 'la ville des martire', ovvero la città dei martiri.

Ci arriviamo attraversando piccoli paesini tra un campo d'olivi e l`altro; qui tra la fine dello scorso anno e i primi giorni di Gennaio ci sono stati gli scontri più duri tra i manifestanti e la polizia di Ben Ali.

A scendere in piazza sono stati soprattutto giovani, sostenuti dall'intero tessuto sociale di questa città, protestando contro la disoccupazione e la mancanza di ogni forma di welfare. Tra l`8 e il 10 di Gennaio, gli ultimi giorni del regime, sono stati quasi cento i morti che hanno trasformato Kasserine nella città dei Martiri per la libertà. Questa parola ha perso ormai ogni connotazione religiosa ed é usata per descrive il coraggio di coloro che hanno sfidato con la vita la polizia del regime e del suo potere clientelare, criminale e corrotto.

Arriviamo al mattino presto nella piazza principale dove attorno al monumento centrale, da quasi due settimane, è stato allestito un sit-in permanente di protesta in cui sono stati appesi decine e decine tra lauree e diplomi di chi sta facendo lo sciopero della fame. Un laureato in econometria, un altro in scienze naturali, un altro ancora in matematica: sono tutti disoccupati che denunciano come, nonostante la cacciata di Ben Ali, i motivi della rivolta bruciano ancora. Nessuna risposta alla disoccupazione, nessun miglioramento delle condizioni materiali di vita.

A tutto questo si aggiunge la rabbia per l'impunità di quei poliziotti che hanno compiuto un vero e proprio massacro: molti responsabili della repressione, dei morti e delle torture di quei giorni infatti sono ancora al proprio posto.

“Questa città ha iniziato la rivoluzione ma fino ad ora dal nuovo governo non c'è stata nessuna attenzione alle nostre richieste”; “il governo locale, seppure oggi in mano ad una giunta militare, è ancora lo stesso che si intasca i fondi e ci lascia in miseria” ci raccontano con rabbia. “A Tunisi nascono decine di partiti politici nuovi, vanno in televisione a presentare i loro programmi mentre qua non cambia nulla. Ma siamo noi che abbiamo fatto la rivoluzione! Sono i nostri figli e fratelli che sono morti”.

Si respira un'aria tesa, una rabbia che i “cambiamenti formali", come vengono definiti, non sono decisamente riusciti a sopire.

Un gruppo di signore armate di scope denuncia la propria situazione: sono lavoratrici dei servizi di pulizia pagate fino a ieri con un salario da fame e che, dopo anni di servizio, sono state licenziate in tronco senza alcuna prospettiva futura

Ognuno ti racconta “che c'era” in quei giorni terribili a scontrasi con la polizia; proprio per questo non possono accettare il fatto che, oggi, non vengono ascoltati.

Tunisi da qua sembra ancora più lontana; una lontananza che viene vissuta con una indignazione che non risparmia decisamente nessuno: i nuovi partiti così come il sindacato. Qualsiasi cosa che ricordi le istituzioni o la Repubblica è visto infatti con diffidenza.

E' un malessere profondo quello che si percepisce: é l`indignazione di chi è esploso e si è rivoltato senza ottenere alcuna risposta. Nelmezzo, a cercare di dare una forma a questa rabbia, si muovono oltre ai quadri sindacali alcuni attivisti (insegnanti, avvocati etc ..) che cercano di comporre collettivamente lo sfogo di ognuno.

Da Kassarine la transizione che la Tunisia che sta vivendo appare ancora più fragile, piena di tensioni ed intensi rapporti di forza. Che questo processo non sia lineare é evidente, laddove si tratta di sedimentare nuovi assetti istituzionali della democrazia e di rispondere alle istanze sociali di coloro che, qualche mese fa, hanno cacciato il regime.

Riforme sociali e processo costituente devono procedere separatamente o sono piuttosto principi inseparabili? Da un lato c`é chi sostiene che oggi le priorità di questo Paese sono quelle di fondare anzitutto le proprie garanzie democratiche; dall'altra c`é chi afferma che questo processo non può che andare di pari passo con il rispondere ai bisogni sociali di chi si é sollevato. Non c`é il tempo di rimandare la questione della povertà e delle aspettative sociali di una intera generazione istruita e disoccupata; anzi, sono proprio le risposte a questi nodi scottanti che devono fondare il nuovo passaggio costituente.

In queste due posizioni si rispecchia un paese diviso anche territorialmente tra la capitale Tunisi e le sue provincie del sud.

Il rischio di una nuova crisi politica é forse imminente laddove le piazze si sono trasformate in luoghi permanenti di discussione, indignazione e confronto sociale. Ma sono proprio questi luoghi a mantenere aperto, con pervicacia, quel processo che ha spiazzato tutti, che qualche mese fa é riuscito a cogliere tutti di sorpresa.

I racconti di Kassarine, che abbiamo continuato ad ascoltare anche nella sede del sindacato invaso da tante donne e uomini ansiosi di essere ascoltati, sono la denuncia di una corruzione che si é fatta insopportabile, di una miseria imposta che non si vuole più tollerare.

"Guarda mio fratello, guarda come l`hanno ridotto. Adesso ci vogliono dimenticare, ci vogliono far tacere" ci dicono i più giovani, mostrandoci dai loro telefonini i video che hanno girato quei giorni all'ospedale; “Noi vogliamo giustizia, altrimenti torneremo nelle strade”. "La rivoluzione deve continuare, deve riesplodere!".

La rabbia e la forza dipinta sui volti dei giovani tunisini di questa città ci dice che non vogliono tornare indietro; allo stesso tempo la loro partenza in migliaia verso Lampedusa, grazie agli aiuti della propria famiglia piuttosto che dei trafficanti internazionali, fa parte di questa rivoluzione appena iniziata nel mondo arabo. La Tunisia é un continuo ribollire: a Tunisi ieri la polizia ha disperso un corteo di migliaia di manifestanti che ancora scendono in piazza, mentre oggi a Tozeu un ragazzo ha perso la vita negli scontri.

In serata ci giunge la notizia della prima manifestazione nella capitale chiaramente ed apertamente filoislamica dallo scoppio delle rivolte anti regime, un corteo in cui sembra sia stata notevole la presenza di donne velate. Una presenza rara, in verità, nelle strade di un paese che ci sembra molto “europeo” im particolare per quanto riguarda stili e comportamenti giovanili.

Questo tentativo di forzare la mano al magmatico dibattito tunisino mettendovi al centro la questione religiosa, viene accolto con un misto di freddezza ed ostilità dalla popolazione che incontriamo. Se da un lato c'è chi sostiene che anche quella religiosa fa parte di quelle “libertà” che il passato regime soffocava e che ora la gente sta riconquistando, dall'altro c'è chi teme che le difficoltà della transizione, ed ancor più l'acuirsi della crisi libica, possano offrire una sponda a fondamentalismi religiosi non graditi. Circola sulle agenzie di stampa infatti la notizia di un'altra manifestazione, di segno opposto, avvenuta a Ben Guardane, cittadina a pochi kilometri dal confine libico e dal campo profughi di Ras Jadir, meta della prossima carovana. La popolazione oggi è scesa in strada dove, armata di bastoni ha chiesto l'allontamento dei “barbuti”, gruppi di islamici radicali che straebbero approfittando della situazione per imporre regole islamiche all'interno del campo, limitando la presenza di volontarie donne e imponendo loro di non scoprirsi mai le braccia e capo. Regole evidentemente non accolte dalla popolazione locale .

Il 9 Aprile sarà un`altra giornata di grande mobilitazione: questi mesi straordinari hanno reso impossibile anche solo immaginare un ipotetico ritorno al passato. Il futuro é qui, e comincia adesso!

a cura di Tommaso, Vilma, Damiano, Paolo