Dichiarazione di guerra

"La libertad es como la mañana. Hay quienes esperan dormidos a que llegue, pero hay quienes desvelan y caminan la noche para alcanzarla" Subcomandante Marcos

2 / 1 / 2014

Tutto è cominciato con una dichiarazione di guerra. L’ultima opzione, dissero, ma una guerra. Molti allora dissero che tutto fu simbolico, che le armi non importavano, che non si trattava di un esercito regolare, bensì di un gruppo di pezzenti con fucili di legno. Ma ci fu e c’è una guerra. Si presero allora sette città, si aprirono le porte delle prigioni stracolme di indigeni innocenti, si distrussero i palazzi municipali, simboli del potere e dell’ignominia; si recuperarono terre, proprietà e bestiame in possesso di proprietari terrieri e cacicchi; si disarmarono poliziotti e guardias blancas; si fece un prigioniero di guerra. E la morte che già c’era, diventò visibile.

20 anni non sono niente? Dipende. Ormai due decenni da che l’EZLN ha iniziato una strada che non fu mai pensata solo per loro. Formato in maggioranza da tzotzil, tzeltal, tojolabal, chol, zoque e mam, non nacque con rivendicazioni puramente indigene. Fin dal principio (novembre 1983 e perfino prima) si proposero la lotta nazionale. Nel 1983 l’EZLN si chiedeva, come faremo per ottenere buona salute, buona educazione, buona casa, per tutto il Messico? È un impegno troppo grande. E così lo vedevamo. In quei primi 10 anni acquisimmo molte conoscenze, esperienze, idee, modi di organizzarci. E pensavamo: come ci accoglierà il popolo del Messico (perché non lo chiamavamo società civile)? E pensavamo che ci avrebbero accolto con gioia perché lottiamo e moriamo per loro, perché vogliamo che ci siano libertà, democrazia e giustizia per tutti. Ma nello stesso tempo pensavamo, Come sarà? Se ci accetteranno? Ricordò alcuni anni fa l’attuale subcomandante Moisés, visionario e rivoluzionario capo tzeltal. Il momento arrivò il 1º gennaio 1994. La guerra sorprese il mondo. E l’irruzione di una società civile con la quale si incontrano da 20 anni…. Se c’è qualcosa da riconoscere al movimento, è la sua ostinazione a realizzare iniziative che benché non tutte di successo, la cosa importante è percorrerle, non arrendersi. Oggi gli zapatisti sono gli stessi e altri. Gli stessi perché le loro domande sono attuali quanto prima. Diversi perché gli anni non passano invano, non si compiono impunemente gli anni. Anche il Messico è altro ed è lo stesso. Il salinismo che li vide nel 1994 è quello che domina ora con un altro nome. Il saccheggio non finisce. Nessuno nega allo zapatismo di aver inferto il colpo più duro ad un sistema che inghiotte tutto. Il suo Ya Basta! fu demolitore. Continuano ad essere una lotta molto vigorosa in un mondo impantanato da negoziazioni affaristiche che svendono tutto.

L’organizzazione autonoma dei suoi popoli, unica al mondo in questa modalità, è uno dei loro più notevoli successi. Non l’unico. Limitare lì il lascito zapatista è non vedere la risonanza nazionale e mondiale di un movimento che arriva al suo 20° anniversario (30 dalla sua nascita) senza arrendersi. Qualcuno può dire la stessa cosa senza un po’ di vergogna?

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http://www.jornada.unam.mx/2013/12/28/opinion/006o1pol

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)