Dopo quindici giorni di lotta in Ecuador si apre il dialogo

28 / 6 / 2022

«È possibile che questo Paese abbia dovuto sopportare quindici giorni di mobilitazione affinché il Governo ammettesse che deve prendere misure per i poveri?» Con queste parole il Presidente della CONAIE Leonidas Iza ha iniziato il Suo discorso nella Basilica del Voto Nacional dove, alla presenza delle rappresentanze indigene, di cinque poteri dello Stato e con la mediazione della Chiesa, si è aperto il dialogo tra governo e manifestanti.

In questi quindici giorni di lotta i movimenti indigeni ne hanno davvero passate di tutti i colori, complice un governo incapace di gestire la protesta e arrogante a tal punto, nonostante la debolezza politica, da credere di poter risolvere tutto con la militarizzazione e la repressione. Che non è stata da poco, anzi, e ha lasciato profonde ferite nella società ecuadoriana: 5 le vittime rimaste a terra, oltre 200 i feriti e 145 gli arrestati, secondo l’ultimo bollettino emesso dalla Alianza de Organizaciones por los Derechos Humanos. Numeri che sono vite, sofferenze, dolore.

Ma come se non bastasse, e Iza lo ha ricordato benissimo ai rappresentanti dello Stato, a tutto questo si è aggiunto un ricorso al razzismo più becero, alle menzogne più infami: il governo, grazie a una stampa mainstream asservita ha dipinto come violenti e invasori della capitale gli indigeni provenienti dalle varie parti del paese. Li ha accusati di vandalismo, di distruggere la città. Li ha accusati di essersi venduti al correismo, di essere corrotti e di pensare solo ai propri interessi. Di essere complici del narcotraffico e della criminalità organizzata. Di aver causato, con il loro sciopero generale, un danno alla popolazione che non ha potuto così lavorare, produrre, portare a casa il pane.

Un razzismo e classismo preoccupante, riassumibili nelle squallide parole del presidente dopo aver annunciato la diminuzione di dieci centesimi del prezzo del carburante: «il sussidio deve essere per i poveri… chi consuma carburante è perché ha una macchina pertanto non è povero». Il tutto con lo scopo di criminalizzare e delegittimare una lotta giusta e per tutta la società ecuadoriana. Parafrasando gli zapatisti potremmo dire “nada para los indígenas, para todos todo”.

Sì, perché degli ormai famosi dieci punti dell’agenda della CONAIE, i beneficiari non sono solo le comunità indigene che hanno intrapreso per prime questa battaglia, ma tutte quelle soggettività marginali, emarginate, impoverite dalla pandemia e dalla crisi economica, “del campo y de la ciudad” che sono le vittime predestinate delle politiche neoliberiste derivanti da organismi come il FMI, di cui il Presidente Lasso si è fatto portavoce e strenuo difensore.

Lasso, che vigliaccamente ha disertato l’incontro mandando in avanscoperta il suo primo ministro Francisco Jimenez. L’attitudine al dialogo del Presidente in questi quindici giorni è stata davvero poca cosa, infatti, al di là delle dichiarazioni di facciata, la sola risposta pronta che ha avuto è stata quella della repressione. In questo senso quindi l’incontro svoltosi lunedì è un grande successo del popolo in mobilitazione perché ha costretto un governo autoritario ed elitario a scendere a compromessi, a trattare, a dialogare dimostrando tutta la sua debolezza politica.

L’incontro, a cui hanno partecipato anche il Presidente dell’Asamblea Nacional Virgilio Saquisela, Diana Atamaint del Consejo Nacional Electoral, la Defensoría del Pueblo e il Presidente del Consejo de Participación Ciudadana è durato varie ore ed è stato intervallato da alcune pause per permettere ai rappresentanti dello Stato di interfacciarsi con il Presidente.

Iza ha ribadito che si sono mobilitati per i dieci punti e che non se ne andranno finché non otterranno risultati. Ha ricordato l’importanza di bloccare il prezzo del carburante perché gli incrementi decretati dal governo vanno a colpire direttamente la popolazione, alzando il prezzo di tutti i prodotti. Sul condono dei debiti, ha proposto un tetto a dieci mila dollari e un anno di moratoria per far respirare e permettere di pagare senza affanno. Di fondamentale importanza per il movimento indigeno è anche lo stop all’ampliamento della frontiera estrattivista, con l’abrogazione dei decreti 95 e 151 e il risarcimento per i danni ambientali provocati dalle politiche minerarie ed estrattiviste.

Dopo aver ascoltato – per l’ennesima volta – le richieste del movimento indigeno, il ministro Jimenez ha chiesto una pausa per poter comunicare col Presidente Lasso. Pausa dalla quale è tornato due ore dopo annunciando la deroga del decreto 95 nel quale si promuove l’incremento della produzione di idrocarburi, mentre per il decreto 151, che si riferisce alle esportazioni dei prodotti minerari, ha proposto una semplice modifica.

Le risposte date dal governo, secondo i portavoce del movimento indigeno, sono state parziali e irrisorie e non risolvono le richieste. Per questo motivo, Iza e gli altri rappresentanti hanno annunciato che si manterranno in mobilitazione, ma anche che continueranno il dialogo con il governo fino a quando non otterranno risposte a quanto richiesto. Al termine di questa prima riunione Iza ha ricordato al ministro Jimenez che «nessun compagno deve essere criminalizzato per questa protesta» e ha chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno Patricio Carrillo per essere responsabile della repressione e del razzismo contro i popoli indigeni. Il dialogo, e il paro nacional, continuano.