Due anni di Estallido in Cile: intervista a Gabriel Salazar

20 / 10 / 2021

Lunedì 18 ottobre in Cile era il secondo anniversario dell’Estallido social, l’ondata di rivolta per la giustizia sociale che ha travolto la costituzione neoliberista ereditata dalla dittatura di Pinochet, imponendo un nuovo processo costituente dentro e fuori le istituzioni. È stata così eletta una Convenzione Costituente che ha cominciato proprio nei giorni scorsi a elaborare i contenuti della nuova costituzione. Nella coscienza che i procedimenti formali potranno portare a cambiamenti reali solo se sospinti dalla continuità e dall’autonomia delle mobilitazioni dal basso, nel 18-O 2021 centinaia di migliaia di cilene e cileni sono tornati nelle strade di tutte le città del Cile, intrecciando esplicitamente le lotte per i diritti sociali con quelle indigene, femministe e ambientali.

A Santiago, la giornata si è aperta con i blocchi stradali da parte rispettivamente dell’Asamblea Coordinadora de Estudiantes Secundarixs (studentesse e studenti medi) e di Ukamau (movimento per il diritto all’abitare). Diversi cortei sono poi partiti dai quartieri di Santiago per convergere su Plaza Italia, da due anni ribattezzata Plaza Dignidad. Centrale è stata la richiesta della liberazione dei prigionieri politici dell’estallido, e nel corso della serata si sono registrati diversi scontri tra manifestanti e polizia. Come approfondimento, proponiamo questa intervista a Gabriel Salazar, ex militante del Movimento Izquierda Revolucionaria, esule durante la dittatura e ora noto storico. Il testo è stato originalmente pubblicato da Diario UChile. Traduzione di Lorenzo Feltrin.

Sono già passati due anni dal 18-O, come interpreti gli sviluppi sociali avvenuti nel frattempo?

Credo che il movimento in sostanza continui, non tanto nelle strade quanto dentro ognuno e tra di noi. Non c’è stato un cambiamento nella composizione sociale, piuttosto è cambiata la capacità di deliberazione. La breccia si è aperta con un’esplosione fisica che ha scosso le coscienze storiche e politiche di tutte e tutti in Cile, ma la cosa più importante era che la cittadinanza cominciasse a deliberare seriamente e coerentemente per cambiare ciò che voleva cambiare. In questi due anni sono stati fatti passi avanti notevoli, non solo perché i politici hanno proposto uno sbocco – la Convenzione Costituente – per questo fenomeno profondo, ma soprattutto perché la cittadinanza ha continuato a deliberare autonomamente.

È molto interessante come i cabildos, le assemblee e i dibattiti siano continuati con un alto livello di sviluppo, per esempio nei cambiamenti del linguaggio. Si utilizzano ora concetti e termini di molto superiori a quelli che usavamo noi ai tempi di Eduardo Frei Montalva, Salvador Allende e persino Pinochet. La capacità di analisi storico-politica si è sviluppata, come anche i concetti legati alla sovranità popolare e alla sua espressione nel processo costituente. Questo all’esterno.

Dentro alla Convenzione, si osserva come i costituenti, soprattutto quelli più vicini al popolo, abbiano vissuto un cambiamento, perché si sentono meno rappresentanti nel senso di “deputati” o “delegati” ma piuttosto rappresentanti di una volontà popolare. Ed è molto interessante vedere come sostengano il proprio lavoro costituente tornando di volta in volta alle basi popolari. Sia nelle udienze che si sono tenute nelle “settimane dei territori”, sia nella moltitudine di gruppi che hanno assunto il lavoro costituente, c’è un’interazione importante.

Di fronte a questo sviluppo deliberativo, come valuti la risposta delle autorità e delle istituzioni di fronte alle rivendicazioni sociali espresse dalla cittadinanza? È cambiato qualcosa?

Bisogna tener presente che la Costituzione del 1980 ha definito il campo d’azione sia dei governi passati che dell’attuale. Tali governi hanno dovuto muoversi dentro ai limiti della Costituzione neoliberista e perciò non ci sono stati i cambiamenti profondi a cui aspira la cittadinanza, né nei governi di centro-sinistra né in quelli di Sebastián Piñera.

Il governo ha amministrato l’inizio del processo costituente in modo infantile, ha creato ostacoli di ogni sorta, l’ha persino relegato in un tendone nella sua tappa inaugurale. Non l’ha appoggiato, ha tentato di screditarlo. Questo rivela la miopia del governo attuale, che assomiglia un poco all’ultimo governo di Michelle Bachelet [del Partito socialista cileno]. Anche lei ascoltò la rivendicazione di un’assemblea costituente, ma organizzò un processo infantilizzante che terminò con un nulla di fatto. Ha così delegato il problema al governo di Piñera, che non ha fatto nulla di propria iniziativa per accompagnarlo adeguatamente. Anzi, ha fatto tutto il contrario.

È per questa ragione che il processo costituente – quello nelle piazze, che è molto più importante di quello all’interno della Convenzione – continua ad avanzare e a radicalizzarsi, non tanto nelle sue rivendicazioni sostanziali quanto nella sua capacità di produrre cambiamento, che è più importante della radicalizzazione ideologica.

Come prevedi che finirà il lavoro della Convenzione costituente? Si scrollerà di dosso queste zavorre?

Io credo che, due anni dopo, nel processo costituente interno alla Convenzione, per quanto riguarda la maggioranza dei costituenti più vicini al popolo, c’è stato un notevole progresso nella presa di coscienza di rappresentare una sovranità che non è la loro, ma quella del popolo. Però come andrà a finire la Convenzione è un altro discorso.

Aver vinto questi referendum decisivi è stata una conquista notevole, ma non siamo arrivati al punto cruciale, cioè la decisione sugli accordi di libero scambio, che sono i veri pilastri del modello neoliberista.

La costituzione politica non dà garanzie per quanto riguarda il modello neoliberista, essa tende a essere una copia più o meno modificata della Costituzione del 1925 e delle precedenti. Il modello neoliberista si concretizza su due fronti. I trattati di libero scambio legano il Cile all’ordine internazionale dominante e, all’interno, garantiscano che la classe lavoratrice continui a essere precarizzata, subordinata alla tirannia contrattuale dell’impresa.

Se non cambiamo questo, il neoliberismo continuerà. Non si ottiene niente dandogli altri nomi nella costituzione politica. Credo che su questi temi ci sarà una controffensiva disperata da parte dei costituenti di destra. Perciò è necessario che il prossimo governo garantisca che non ci siano ostacoli esterni al processo costituente. Se ciò avviene, la Costituzione del 1980 non potrà continuare a ostacolare la sovranità popolare…

Il vicepresidente della Convenzione, Jaime Bassa, si è detto favorevole al passaggio a un sistema parlamentare. Ti sembra un’opzione possibile per il Cile odierno?

Assurdo. Ciò che chiama sistema parlamentare coincide con il capitalismo liberale. Se qualcosa deve cambiare in questo paese si tratta proprio del parlamentarismo liberale, che è esistito non solo fino al 1925 – quando Arturo Alessandri Palma provò a porgli fine – ma fino al 1973. Perché – tra il 1938 e il 1973 – cinque presidenti, compreso Jorge Alessandri Rodríguez, dissero che non avevano potuto né governare né sviluppare il programma che avevano promesso al popolo perché la classe politica, i partiti nel parlamento, gli avevano reso impossibile realizzare il proprio programma. Anche quello era un sistema parlamentare.

Il problema presidenzialismo-parlamentarismo è un problema del 1925, non di oggi. Serve discutere su questo in un paese che vuole cambiare profondamente? Se viene eletto un Bolsonaro, o un Piñera o un Trump, dipenderemo dalla psicologia di una persona? Bisogna eliminare, assieme al presidenzialismo, la figura del presidente e optare per un governo collegiale composto da rappresentanti del Norte Grande, del Centro, del Sur e dei popoli indigeni. Così elimineremo il fattore psicologico, che oggi è molto evidente perché il presidente è accusato di una moltitudine di problemi legati alla sua psicologia. Oggi deve prevalere la volontà popolare sovrana, e questa si esercita a partire dai territori locali. Questa è la rivendicazione che emerge dai movimenti del XXI secolo, bisogna rifletterci a fondo.

Fare il costituente come se si trattasse di fare l’avvocato significa solo ripetere ad alta voce le vecchie costituzioni, tutte illegittime. Non bisogna leggere i testi giuridici già scritti più di quanto si legga le aspirazioni del popolo quando lotta per il proprio sviluppo.

Il prossimo governo, come dovrebbe affrontare la questione dei diritti umani?

È necessario definire con precisione la radice profonda dei diritti umani, perché in questo ci ha influenzato molto quel che ha fatto Pinochet. Tendiamo a intendere per diritti umani la integrità fisica e psichica delle persone. Tuttavia, il più fondamentale di tutti i diritti è quello di vivere in comunità, non come individui. E la comunità esercita questo diritto umano fondamentale attraverso la sovranità.

Non bisogna intendere i diritti solo come un apparato difensivo. Senza potere, i diritti non servono a niente. Per questo la costruzione della sovranità è molto importante, ma con ciò intendo la volontà collettiva della comunità, che in un modo o nell’altro decide e si responsabilizza per proteggere l’integrità fisica e psicologica di tutte le sue componenti. Inoltre, questa dev’essere anche in grado di opporsi alla forza militare, armata e violenta di coloro che volessero aggredirla. Dobbiamo riflettere profondamente su questo per evitare che si ripetano le violazioni – dirette o indirette – dell’integrità fisica e civica delle persone.

Se le cose continuassero così, potrebbe emergere un nuovo Estallido?

Credo di sì, per moltissime ragioni. Tutti i venerdì si ripetono le scaramucce con la polizia in Plaza Italia/Dignidad. Questo indica che la rabbia non solo è viva, ma si è “routinizzata”, e la routine rinfresca la memoria. Sono piccole prove. I Carabineros stanno usando varie tattiche per affrontare il problema, ma i manifestanti a loro volta cambiano le proprie per vedere come reagisce “il nemico”. Se non ci sono cambiamenti profondi e se i nuovi governi si dedicano a sabotare furtivamente e maliziosamente il processo costituente, la possibilità che avvenga un nuovo Estallido è molto reale, resta sul piatto nel caso non si risponda realmente alle aspirazioni che il popolo ha chiaramente dimostrato.