Durban - Diario

E in Nepal si costituiscono gli ecorifugiati

6 / 12 / 2011

Se persino il tetto del mondo è a rischio la questione è davvero seria. Oggi a Durban (ieri per chi legge) è di scena la montagna e gli effetti su di essa del cambio climatico. Al centro dello studio condotto dal progetto SHARE - Stations at High Altitude for research on the environment- c’è l’Himalaya, la catena di montagne più alta al mondo, per certi versi la più affascinante.

Da sempre l’uomo è legato nel suo immaginario alle vette di questa parte di globo così misteriosa ed allo stesso tempo indispensabile per il corretto funzionamento del nostro ecosistema.
Il progetto promosso dal Comitato Ev-K2-Cnr si basa su un accurato studio condotto dal 2006 al 2010 per monitorare e verificare gli impatti del caos climatico. La stazione Nepal Climate Observatory- Pyramid, ad uno quota superiore ai 5000 metri di altezza ai piedi del gigante Everest, ha registrato cambiamenti gravissimi causati dai gas inquinanti e climalteranti. Dalla stazione globale, che fa parte del Global Atmosphere Watch dell’Organizzazione Mondiale Meteorologia, i risultati sono inequivocabili: Ozono +30%, black carbon +300%. Dati sconvolgenti che dimostrano come vi siano stati troppi picchi di inquinamento per lunghi periodi dei cinque anni di monitoraggio. Si parla di 164 giorni di inquinamento acuto, quasi il 10% di tutto il periodo di studio del progetto di ricerca.
L’ozono troposferico è uno dei gas serra più pericolosi, mentre le particelle di “carbone nero” sono in grado di accelerare lo scioglimento dei ghiacciai. Com’è stato possibile inquinare con questo mix letale persino il tetto del mondo, nonostante l’enorme cura utilizzata dai suoi abitanti locali? Semplice, il nostro ecosistema si fonda sulla reciprocità e l’interconnessione della vita. Per cui i monsoni non possono fare altro che trasportare le nubi inquinate da particelle e gas che provengono dalle aree industriali dei paesi dell’Asia del sud. Se lo sviluppo su cui ci basiamo ha come conseguenza generare impatti così pericolosi e se si supera la capacità di autorigenerazione del pianeta, il nostro “spread” ecologico-sociale schizza alle stelle. Le conseguenze in questo caso potrebbero essere quelle di dare un colpo mortale all’ecosistema delle grandi catene montuose e di conseguenza a noi stessi. È curioso che oggi grazie (o a causa?) all’informazione dei grandi media, i cittadini conoscano il significato della parola “spread” mentre ignorano le ragioni della crisi e le conseguenze sulle loro vite dei cambiamenti climatici.
Le popolazioni locali della regione del Mustang, in Nepal, hanno chiesto lo status di rifugiati ambientali a causa delle mutate condizioni che stanno distruggendo la loro economia locale. Domani qui a Durban speriamo che i capi di Stato e le delegazioni governative che arriveranno sappiano far prevalere queste ragioni su quelle dei grandi inquinatori globali.

Giuseppe De Marzo, portavoce ass. A Sud – www.asud.net