Ecuador - Elezioni amministrative, consultazione popolare e referendum in un paese in piena crisi

4 / 2 / 2023

Domani si terranno in Ecuador le elezioni amministrative per elezione di sindaci, consigli comunali e “prefetti” delle provincie, la consultazione popolare convocata dal presidente Lasso su otto quesiti ritenuti fondamentali dal governo, e l’elezione dei nuovi membri del Consiglio nazionale sulla partecipazione cittadina. Le elezioni amministrative rappresentano il primo banco di prova per il governo, messo alle strette dalle rivelazioni di un sito di giornalismo investigativo per una serie di casi di corruzione all’interno di imprese pubbliche, il cosiddetto caso “Grande Padrino” che ha finora portato alle dimissioni del responsabile dell’agenzia anticorruzione e che vedrebbe coinvolto lo stesso cognato del presidente Lasso. 

Lasso sconta anche il prezzo di un Congresso nel quale non ha la maggioranza, trovandosi tra l’incudine dello scandalo e d un’economia in grande affanno, e il martello della violenza e della presenza sempre più dilagante della criminalità legata al narcotraffico, in particolare nelle regioni della costa nelle quali vige ormai da tempo uno stato di emergenza. Non a caso il Congresso, su proposta del Presidente, sta discutendo la possibilità una riforma costituzionale che permetta di schierare l’esercito in operazioni di ordine pubblico in maniera permanente e non “ad hoc”. Tema assai controverso come anche sottolineato da Amnesty International e ad alto rischio, giacché implica la crescente militarizzazione dello spazio pubblico con obiettivi che vanno ben al di là della lotta alla criminalità organizzata. In questo scenario i risultati delle elezioni - ed anche del referendum che ha assunto nei fatti i connotati di una consultazione sull’operato del governo - assumono particolare rilevanza. 

Vale la pena di notare che secondo il sistema elettorale vigente per le amministrative non sono previsti ballottaggi e pertanto risulterà eletto sindaco o sindaca chi ottiene la maggioranza dei voti al primo turno. Nei casi come quello di Quito dove i candidati sono una decina potrebbe risultare eletto un candidato con meno del 15% dei voti, con conseguente scarsa legittimità e rappresentatività. Tra i quesiti referendari su quali i movimenti sociali, ecologisti ed indigeni (in primis la CONAIE) si sono schierati nettamente per il “no”, uno relativo all’estradizione per narcotrafficanti, al momento non prevista dalla Costituzione. E poi, la riduzione del numero di parlamentari, che andrà a pregiudicare la rappresentatività delle regioni Amazzoniche e dei territori più marginali, la riforma del consiglio della partecipazione cittadina, misure di maggior controllo sull’operato dei movimenti politici, una riforma del funzionamento della Fiscalia - organo supremo del potere giudiziario, e due quesiti relativi a politiche ambientali. Il primo che implicherebbe un riassetto dei modelli di gestione dell’acqua, disciplina è già regolata da una legge organica. 

Il rischio è che passando il Si verrebbero esclusi alcuni territori minacciati dalle attività estrattive e verrebbero posti sotto il controllo dell’Esecutivo tutti quei modelli di gestione collettiva dell’acqua che tuttora sono in uso da parte di comunità locali e indigene. Il secondo è relativo a quelli che in gergo tecnico si definiscono come Pagos Por Servicios Ambientales, ossia il diritto alla compensazione monetaria per chi decide di proteggere gli ecosistemi. Cosa che nella realtà significa finanziarizzazione della natura, meccanismi di compensazione delle emissioni nocive da parte del settore privato, meccanismi di riduzione delle emissioni da deforestazione (REDD+) o mercato del carbonio. 

La questione ambientale sarà, con gran probabilità, il nuovo terreno di scontro frontale tra governo e movimenti sociali e indigeni nei prossimi mesi. Molti sono gli indizi che puntano verso questa direzione. Dapprima la decisione annunciata dal governo di istituire “zone rosse” con presenza dell’esercito in oltre una ventina di concessioni minerarie, quindi la decisione di non rendere accessibili al pubblico le valutazioni di impatto ambientale dei progetti di estrazione mineraria e petrolifera in violazione del Protocollo di Escazù sulla democrazia ambientale ratificato nei mesi scorsi. Per contro nelle settimane scorse la CONAIE ha lanciato nella città andina di Latacunga il fronte nazionale contro l’estrazione mineraria e la difesa della Madre Terra e circolano con insistenza voci riguardo ad una mobilitazione nazionale, la cui natura e portata dipenderanno senz’altro dall’esito delle elezioni. 

Nel frattempo, nei territori la repressione avanza come dimostra il caso della comunità di Buenos Aires, nel cantone Imbabura dove l’esercito è intervenuto nuovamente e con violenza, a sostegno degli interessi dell’impresa Henrine. O la resistenza del popolo Co’fan contro le attività dell’impresa Petroecuador che attraverso l’impresa taiwanese CSBC intende aprire trenta pozzi petroliferi in territorio indigeno nella provincia amazzonica di Sucumbios.  

O la criminalizzazione di un avvocato che si batte contro le concessioni minerarie a Fierro Urco nel cantone di Loja. Ciononostante i movimenti contro l’estrattivismo segnano due importanti passi in avanti. La petizione lanciata dalla coalizione “Quito sin Mineria” per bloccare le concessioni minerarie nel distretto metropolitano della capitale nelle aree sensibili del Chocò Andino, è stata finalmente accolta dopo mesi di trattative serrate per la convalida delle firme necessarie. 

Le firme approvate vanno ben oltre le 150mila previste dalla legge per lanciare la consultazione popolare, diritto costituzionalmente riconosciuto, assieme al diritto alla resistenza ed ai diritti della Madre Terra. Inoltre, come già preannunciato nei mesi scorsi, e dopo anni di ricorsi e denunce pubbliche, il movimento Yasunidos è riuscito a ottenere dal Consiglio Nazionale Elettorale la revisione delle convalide delle firme raccolte anni or sono per una consultazione nazionale con l’obiettivo di mantenere sottoterra le ingenti risorse petrolifere all’interno del Parco ITT Yasuni. Una campagna internazionale che si scontrò con l’atteggiamento dapprima ambiguo e poi nettamente repressivo dell’allora presidente Rafael Correa. Il quale inizialmente appoggiò l’iniziativa per poi ritirarsi e osteggiare apertamente le richieste e le proposte degli Yasunidos e di tutti i movimenti ecologisti ecuadoriani. Gli Yasunidos vennero “criminalizzati” e le firme raccolte (oltre 700mila in tutto il paese) in gran parte annullate arbitrariamente sotto il controllo severo dell’esercito senza che fosse possibile alcun tipo di monitoraggio indipendente. 

Ora, dopo l’annuncio della decisione del Consiglio Nazionale Elettorale, la palla passa alla Corte Costituzionale che dovrà a sua volta decidere sulla legittimità costituzionale del quesito. A suo tempo Correa infatti decise di invertire il processo, per ostacolare ulteriormente la consultazione popolare, consentendo prima la raccolta delle firme senza necessariamente aver ottenuto il visto di conformità da parte della Corte. Gli Yasunidos si sono anche rivolti alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani che ha riconosciuto di recente la violazione del diritto alla partecipazione pubblica, ed ha passato il dossier alla Corte Interamericana. 

Nel frattempo il paese sarà già in campagna elettorale per le presidenziali, alla quale si stanno già preparando gli eventuali candidati della CONAIE e del braccio politico Pachakutik. Da una parte l’attuale presidente della CONAIE, Leonidas Iza, il cui mandato scade tra un anno, tenta il rilancio con la creazione del Frente Antiminero e l’annuncio di possibili mobilitazioni, seguenti alla chiusura del governo Lasso a gran parte delle richieste avanzate nel tavolo di trattative convocato all’indomani della sanguinosa rivolta popolare del giugno dello scorso anno. Dall’altra l’ex-candidato alla Presidenza, che per poche migliaia di voti non passò al ballottaggio contro Lasso (secondo molti a seguito di evidenti brogli), Yaku Perez Guartambel, che da allora si è ritirato dalla politica istituzionale e da Pachakutik, fondando un suo movimento per l’acqua e che per primo ha lanciato una mobilitazione per l’acqua contro le politiche estrattive del governo. 

Governo che punta sull’aumento esponenziale dell’estrazione di minerali per provare a risolvere almeno in parte la gravissima crisi sociale che attraversa il paese e che con il pretesto di fermare le estrazioni “illegali” e su piccola scala, apre le porte alle grandi imprese multinazionali che potranno operare senza alcun vincolo e sotto la protezione delle forze armate.