Ecuador - Lenín costretto alla resa abroga il paquetazo

La vittoria della lotta, di una mobilitazione incredibile dei movimenti indigeni e non solo, ma è anche una vittoria di tutto il paese che ora potrà sperare in una serie di misure economiche meno impattanti nella propria vita quotidiana

14 / 10 / 2019

Dopo undici giorni di rivolta e di imponenti manifestazioni il movimento indigeno ha vinto: il presidente Lenín Moreno è costretto alla resa e a ufficializzare l’abrogazione del decreto 883 con il quale si istituiva il “paquetazo” economico.

È la vittoria della lotta, di una mobilitazione incredibile dei movimenti indigeni e non solo, ma è anche una vittoria di tutto il paese che ora potrà sperare in una serie di misure economiche meno impattanti nella propria vita quotidiana. È una vittoria che ha resistito a una repressione senza precedenti e che ha sconfitto un sistema economico che porta sfruttamento e miseria per la popolazione.

L’undicesimo giorno di rivolta e resistenza si era aperto come i precedenti, con una città, Quito, diventata un campo di battaglia e con blocchi stradali e numerosi scontri tra manifestanti e forze armate. Le proteste, questa volta, non sono state guidate dal movimento indigeno, acquartierato nella Casa delle Culture in attesa dell’inizio dei negoziati col presidente del pomeriggio.

E sono stati proprio i negoziati il centro della giornata politica e di lotta. Seduti alla stessa tavola di mediazione, il presidente Moreno (e 5 consiglieri) e le organizzazioni indigene (9 portavoce in rappresentanza di CONAIE, CONFENIAE E MICC, tra le altre), accompagnati da rappresentanti dell’ONU hanno iniziato il dialogo, trasmesso in diretta, come da programma.

La richiesta di base dei movimenti, non negoziabile, è stata l’abrogazione del paquetazo. Jaime Vargas, presidente della CONAIE ha messo in chiaro fin da subito la posizione dei movimenti: «Non siamo venuti qui per costituire una commissione, vogliamo l’abrogazione del decreto 883. Questa è una richiesta non solo del movimento indigeno, ma di tutto il paese». A dare una “lezione di economia” è stato invece Leonidas Iza, dirigente del MICC (Movimiento Indigenas y Campesino de Cotopaxi), il quale ha proposto al presidente di eliminare gli stipendi a vita, di confiscare i beni dei corrotti e invece di alzare il prezzo del combustibile, misura che colpisce in maniera discriminatoria chi ha meno, di tassare chi ha di più. Allo stesso tempo, ha denunciato anche la strategia di Moreno di accusare i “correisti” di essere dietro agli atti vandalici con l’obiettivo di fare un colpo di stato: «Mi sembra irresponsabile accusare i correisti, [la mobilitazione] non è un atto loro. Non crediamo che Correa abbia la capacità di mobilitare così tanta gente. Gli stiamo dando troppo credito, è un atto di irresponsabilità». Miriam Cisneros, dirigente del pueblo Sarayaku, oltre a chiedere l’abrogazione del paquetazo ha chiesto anche la liberazione di tutti gli arrestati di questi 11 giorni di protesta. Infine, i movimenti uniti hanno chiesto che tra i punti del dialogo vengano discusse le dimissioni dei ministri dell’interno Romo e della Difesa Jarrín, responsabili, secondo i movimenti della durissima repressione di questi giorni che ha provocato la morte di 7 manifestanti, oltre 937 feriti (ma sarebbero oltre duemila secondo le organizzazioni indigene) e 1127 arrestati secondo l’ultimo bollettino ufficiale.

Da parte sua, il presidente Moreno ha preso atto delle richieste e ha accettato di abrogare il decreto, il quale sarà sostituito nelle prossime settimane da uno nuovo che dovrebbe colpire in misura minore le classi più deboli economicamente. L’accordo prevede inoltre la creazione di una commissione che lavorerà al nuovo decreto, costituita da portavoce dei movimenti indigeni, dalla Conferenza Episcopale, dall’ONU e da rappresentanti dello Stato e, naturalmente, la fine delle mobilitazioni. Quanto alla rimozione dei ministri responsabili della repressione di questi giorni, il presidente ha dichiarato che sarà presa in considerazione, ma che questa è una decisione che spetta a lui.

Per i movimenti è una grande vittoria, ottenuta con la forza della lotta e col sacrificio di molte persone, 7 delle quali hanno purtroppo perso la vita. Una vittoria però che dovrà sicuramente essere “vigilata” dai movimenti stessi che naturalmente hanno ben presente come funzionano le promesse politiche dei politici messi alla corda dalle mobilitazioni. Per le strade di Quito, dopo tante notti avvelenate dai gas lacrimogeni, si respira finalmente aria pulita, i manifestanti sono scesi nelle strade a festeggiare la fine di una battaglia, non della guerra, consapevoli di aver ottenuto un risultato comunque storico.