Egitto - Attacco al Faraone

26 / 1 / 2011

Per capire cosa accade in Egitto esiste una cartina di tornasole credibile: se davvero domani i beduini scenderanno in piazza qualcosa si sta muovendo nel , come viene chiamato il presidente Hosni Mubarak.

Le tribù nomadi che abitano il deserto del Sinai sono abili nel capire l'aria che tira. Una vita senza certezze li ha portati a sviluppare un atavico sesto senso per il pericolo, il quale nella loro storia si è quasi sempre presentato con la divisa di un poliziotto o di un soldato. La strategia è sempre stata quella di fare affari e di avere la minima visibilità possibile, per godere di una zona d'ombra che permettesse loro di agire indisturbati. Il Governatorato del Sinai del Nord ha fatto sapere oggi di aver ricevuto una richiesta per una manifestazione di alcune tribù di beduini, che dovrebbero scendere in strada nei pressi dell'aeroporto di al-Gorah, dove si trovano - fin dalla guerra del 1973 con Israele - forze di pace internazionali. Alcuni membri di una tribù del villaggio di al-Mahdiya, a sud del valico di Rafah tra Egitto e Striscia di Gaza, hanno dato la loro adesione alle proteste annunciando una marcia per le strade di Rafah e di Sheikh Zowayyed. La sicurezza è stata rafforzata in tutti i luoghi sensibili, in particolare di fronte alla facoltà di Scienze dell'educazione ad Arish e al quartier generale del governatorato a Rafah.

Il Cairo è ancora colpito dalle immagini di ieri: circa 25mila persone, secondo gli organizzatori, hanno assediato piazza Taharir, nel cuore pulsante del Cairo, dando vita a quel 'giorno dell'ira' invocato dalle opposizioni. Chiedono riforme politiche e sociali, come i fratelli tunisini, facendo leva sul malcontento popolare per cambiare una classe dirigente che dal 1981, quando venne assassinato il presidente Sadat, risiede nelle mani di Mubarak. Violenti scontri hanno caratterizzato la giornata, un poliziotto ha perso la vita schiacciato dalla folla, i corpi speciali che presidiavano la piazza si sono ritirati davanti alla rabbia dei manifestanti. Un altro elemento interessante. I casi di cittadini egiziani picchiati a morte dalla polizia sono all'ordine del giorno. I metodi delle forze dell'ordine sono noti, ma oggi si sono visti agenti indietreggiare. Troppo pericoloso farsi prendere la mano, troppo pericoloso finire nel tritacarne dei blog che rilanciano immagini di violenze e abusi. Nel pieno rispetto della ricetta tunisina, un video mostra alcuni agenti che cercano di soccorrere il collega che ha perso la vita. Twitter, Facebook e i social network - prima del blocco - fungono da ripetitori della rabbia e alla piazza. Almeno cinque manifestanti sono rimasti feriti, mentre circa seicento persone sono state arrestate mentre si dirigevano verso il Parlamento. Al Cairo si sono unite Alessandria, Assuan, Assiut, diverse città sul delta del Nilo, Ismailia sul canale di Suez. Anche loro gridavano 'Vattene, Mubarak'. Gamal, il figlio di Mubarak candidato alla successione da sempre, è dato in fuga a Londra con moglie e figli. Notizia non confermata che, però, sarebbe al momento da interpretare più come una misura di sicurezza che come una resa alla Ben Alì.

Una nuova Tunisia? Presto per dirlo, per una serie di motivi. Il primo dei quali è che Mubarak è uno di quei dittatori che a Bruxelles e a Washington vengono chiamati 'amico dell'Occidente', ‘garanzia contro il fondamentalismo islamico', ‘elemento di stabilità regionale'. Più o meno il curricula di Ben Alì, vero, ma con un peso specifico davvero differente. L'Egitto, nello scacchiere mondiale, ha ben altro peso di Tunisi e pare molto difficile che la grande diplomazia lasci accadere sotto il suo naso, senza colpo ferire, un sommovimento con relativo salto nel buio politico. L'elemento chiave, inoltre, per il buon fine della rivolta tunisina è stato il sostegno dell'esercito alla popolazione. DI ben altra idea - almeno all'apparenza - sembrano i militari egiziani, uniti al potere da molto più di un giuramento di fedeltà.

Certo la fame è una variabile non da poco. La mancanza di libertà, per anni, è stata una condanna per il Nord Africa e per tanti paesi arabi, ma con difficoltà questo è un campo dove le popolazioni rurali si sentono coinvolte fino in fondo. Diverso il quadro quando il pane e il latte diventano beni inaccessibili.
Ma chi può pilotare questa protesta? I Fratelli Musulmani di sicuro. Sono loro, da sempre, a rappresentare la stragrande maggioranza della popolazione. La legislazione di emergenza, imposta dallo steso Mubarak nel 1981, quando ha preso il potere al posto del defunto Sadat, li ha sempre tenuti fuori dal Parlamento. Se si fosse mai svolta un'elezione trasparente nell'Egitto contemporaneo, gli islamisti avrebbero vinto con largo margine. Un Egitto governato dagli islamisti, però, verrebbe vissuto come un incubo da Washington, Bruxelles e Tel Aviv.

Un uomo che potrebbe gestire la transizione esisite: Mohammed ElBaradei.
Premio Nobel per la pace, ex direttore dell'Agenzia internazionale per l'Energia Atomica (Aiea), ElBaradei ha espresso il suo sostegno alle manifestazioni odierne "contro la repressione", denunciando "la minaccia di usare la forza da parte di un regime che trema davanti al suo popolo". ElBaradei è un uomo delle istituzioni internazionali ed è rispettato nel mondo arabo per l'indipendenza mostrata rispetto ai dossier Iraq prima e Iran poi. Adesso scende in campo e si candida alla guida dell'Egitto del futuro, ma fuori dal Cairo e da Alessandria non lo conosce nessuno. Anche il questo scenario, però, bisogna considerare la variabile che ha permesso la prima rivoluzione araba dagli anni Cinquanta: la fame. Che oggi, altra differenza importante, si vede con YouTube e telefonini. La situazione è fluida e tutto può accadere.

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