Elezioni in Turchia: la democrazia nelle urne e nelle strade

Le elezioni parlamentari e presidenziali del 14 maggio 2023 possono porre fine al regime ventennale di Recep Tayyip Erdoğan. Ma che possibilità ha il principale candidato dell'opposizione di cambiare realmente le sorti del Paese?

14 / 5 / 2023

Oggi, 14 maggio 2023, la Turchia vivrà una giornata storica, con le elezioni parlamentari e presidenziali che si terranno in tutto il paese. Mentre lo Stato turco entra nel suo secondo secolo di vita, queste elezioni rappresentano una tappa più critica che mai e vanno oltre la nomina di un presidente. La posta in gioco è infatti quella di interrompere o proseguire il sistema presidenziale antidemocratico che Recep Tayyip Erdoğan ha stabilito per le sue ambizioni personali. 

Il governo sempre più autoritario di Erdoğan, che ha avuto un punto di svolta dopo le proteste di Gezi Park del 2013, ha impedito alla società di creare delle reali forme di opposizione democratica, opprimendo intellettuali, accademici, sindacati, organizzazioni, associazioni e, soprattutto, i media. Ha nominato amministratori per sostituire sindaci democraticamente eletti o rettori universitari. Ha collaborato con molte sette e comunità religiose e ha collocato persone della sua stessa ideologia politica in molti livelli dello stato.

L'autocrazia da lui costruita con il sogno del neo-ottomanismo ha lasciato dietro di sé un sistema legale collassato, vincolando a sé tutti gli organi legislativi, esecutivi e giudiziari. Alcuni esempi evidenti sono stati la nomina di suo genero Berat Albayrak a Ministro del Tesoro e delle Finanze, che ha portato il Paese sull’orlo del dissesto finanziario grazie ad appalti da miliardi di dollari che sono stati concessi a imprese a lui vicine, soprattutto nel settore delle grandi opere infrastrutturali. Una devastazione – economica e ambientale – che ha avuto un ruolo diretto negli effetti tragici del terremoto avvenuto lo scorso febbraio, che ha causato la morte di oltre 50.000 persone.

Il “sultano” ha inoltre polarizzato la popolazione con la sua retorica sciovinista, dichiarando terroristi nemici immaginari e chiunque non la pensasse come lui. Miliardi di dollari spesi in armi per sconfiggere questi fantomatici nemici, una politica estera aggressiva e milioni di rifugiati che sono stati utilizzati come arma a suo favore. Avendo raccolto tutti questi strumenti nelle sue mani, ha creato la percezione di un leader capace di sapersi muovere con destrezza sia sul piano interno che su quello internazionale. Non è stato un caso che molti Paesi occidentali hanno accettato di buon grado la sua (fallimentare) mediazione nel conflitto in Ucraina.

Dopo il terremoto, questo “pallone gonfiato” è esploso quando non è stato in grado neppure di inviare tende nelle aree colpite. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso di un Paese che è stanco di vedere giorno dopo giorno sempre più compromesso il suo tessuto laico, di subire l'imposizione di uno stile di vita religioso-conservatore, di assistere alla legalizzazione della violenza sulle donne con l’uscita del Paese dalla Convenzione di Istanbul. La popolazione, che in questo momento ha difficoltà a soddisfare anche i bisogni più elementari, vuole finalmente sbarazzarsi della figura del “sultano”, come fece 100 anni fa con Mehmet VI.

Nell'Alleanza Popolare (Cumhur Ittifaki), guidata dal Partito dello Sviluppo e della Giustizia (Akp) di Erdoğan, ci sono il Partito del Movimento Nazionalista (MHP) - i famigerati lupi grigi, che da anni sono i più grandi alleati dell’attuale presidente -, e i partiti diretta emanazione del fondamentalismo religioso come HudaPar, Nuovo Partito del Benessere (YRP) e Partito della Grande Unione (BBP), la cui più grande promessa elettorale è quella di chiudere le associazioni LGBTQ+. Se questa coalizione dovesse vincere le elezioni si può facilmente prevedere un regime teocratico.

Ma chi c'è dall'altra parte? In seguito agli ultimi sondaggi, il candidato che ha più probabile di vittoria è Kemal Kılıçdaroğlu che fa parte del Partito Popolare Repubblicano (CHP), che guida l’Alleanza della Nazione (Millet Ittifaki). Riusciranno a interrompere un ventennale processo di radicalizzazione religiosa nel Paese? Riusciranno a ripristinare una dialettica democratica? Dire di sì è davvero difficile. Per anni il CHP è stato il principale partito di opposizione contro il blocco AKP: un partito che lotta per valori laici, che si colloca nell’area politica del centrosinistra, ma di tanto in tanto ha assunto una retorica nazionalista. Nelle ultime elezioni comunali ha stravinto nelle grandi metropoli, dove il malcontento nei confronti dell’attuale regime è più evidente. Ecco perché – nell’attuale contesto - possono realmente avere la possibilità di conquistare la vittoria anche alle elezioni nazionali.

È difficile, però, vedere un futuro così luminoso fin da subito, soprattutto perché ci sono cinque diversi partiti di destra nell'alleanza. C'è Ahmet Davutoglu, presidente del Partito del Futuro (Gelecek), che è stato per anni primo ministro e ministro degli Esteri dei governi dell'AKP ed è considerato tra gli “architetti” del neo-ottomanismo. C’è  Ali Babacan, l’ex Ministro dell’Economia, che guida il Partito della Democrazia e del Progresso (Deva) e in passato è stato spesso indicato come il “principe di Erdogan”. C’è Meral Aksener del Buon Partito (Iyi Parti), la “lady di ferro turca” che svolse operazioni repressive nelle province curde quando nel ministero degli interni. Ci sono inoltre il Partito della Felicità (Saadet), formazione conservatrice e islamista che ha come leader Temel Karamollaoglu, e il Partito Democratico (Demokrat Parti) che ha valori di centro-destra. 

E tra questi partiti ci sono ancora ministri, tecnocrati e burocrati che hanno prestato in passato servizio nell'AKP. Anche se l'Alleanza della Nazione ha preso una decisione congiunta per trasformare il sistema presidenziale, guardando i profili dei partiti è difficile prevedere che ci possano essere cambiamenti radicali nella politica turca. Per questa ragione l'Alleanza del Lavoro e della Libertà (Emek ve Ozgurluk), il Partito dei Lavoratori di Turchia (TiP) e soprattutto il Partito della Sinistra Verde (YSP), continuazione del Partito Democratico dei Popoli (HDP) che univa forze filo-curde e forze della sinistra turca, hanno grandi responsabilità nel futuro assetto politico del Paese. Questo soprattutto perché sono in grado di rappresentare diverse etnie, generi e istanze legate a diritti e libertà.

Quella del 14 maggio è una grande prova di democrazia per la Turchia. Una prova che dovrà dimostrare di avere tenuta soprattutto dopo le elezioni. Non va infatti dimenticato quello che è accaduto dopo le elezioni della municipalità di Istanbul, con l’AKP che ha imposto la ripetizione in seguito alla sconfitta del suo candidato, ma anche l'irruzione al Congresso dei sostenitori di Trump dopo le elezioni presidenziali negli USA o i disordini scatenati dai sostenitori di Bolsonaro in Brasile. Da oggi i cittadini che vogliono la democrazia in Turchia devono proteggere sia le urne che le strade, perché la conquista reale della libertà sarà un processo che non passa solo dal momento elettorale.