Essere donna in Perù - Storie e volti del machismo

6 / 5 / 2020

Il Perù: il Paese dei mille colori e dei paesaggi da togliere il fiato, della cumbia sparata a tutto volume e della comida rica venduta agli angoli delle strade. 

Lo stesso Paese delle canzoni machiste che rieccheggiano ovunque, delle frequenti marce contro i femminicidi, delle ragazze che, nella spensieratezza dei loro vent'anni, tengono per mano già due, se non più, figli. Un Paese, uno dei tanti purtroppo, dove anche nel ventunesimo secolo essere donna è una sfida; dove l’identità femminile spesso si costruisce in una relazione di dipendenza attraverso le categorie di madre, moglie, sorella, figlia e difficilmente come donna.

La storia della misoginia in Perù va di pari passo con la storia delle caricature che di essa si sono costruite con il passare del tempo. Purtroppo, quella del machismo non è una storia recente e non è solamente peruviana: in tutta l’America Latina, il machismo affonda le sue radici in una concezione antica della famiglia e della società, il modello patriarcale: nei secoli, le varie forme di prevaricazione hanno assunto i connotati di una prassi comune, evolvendosi a costituire parte integrante della cultura popolare. In questo senso, il machismo non è solo un fenomeno storico; è prima di tutto un atteggiamento culturale, che continua a permeare, condizionandola, la vita collettiva della società peruviana.

A dimostrarlo, la persistenza dell’immagine quasi eroica dell’uomo, infaticabile lavoratore e responsabile del benessere della famiglia, giustapposta a quella della donna cuidadora, impegnata nella cura dei figli e della casa. A livello mondiale, la maggior parte del lavoro non retribuito nell’ambito domestico viene realizzato dalle donne. Anche in Perù, le statistiche sono inequivocabili: il disequilibrio nella distribuzione delle mansioni domestiche raggiunge una delle percentuali più alte di tutto il continente sudamericano.

A costringere la donna in questi ruoli stereotipati, persiste poi l’assunto che si possa realizzare completamente la propria femminilità solo attraverso la maternità.

Paradossalmente, molte volte sono le stesse donne a legittimare queste dinamiche, giustificando i maltrattamenti e le violenze e contribuendo in questo modo alla normalizzazione degli atteggiamenti machisti: l’inquietante paradosso di un’idea di virilità che, quando messa in discussione, afferma la sua egemonia attraverso la violenza.

Secondo il rapporto ENDES (Encuesta Nacional Demografica y de Salud Familiar), durante il 2018 il 63,2% delle donne peruviane ha subito violenza da parte del proprio marito o compagno, perlopiù di tipo psicologico o verbale (58,9%). Perché si sa, a volte le parole possono essere più affilate di un coltello. 

C’è poi il tema della rappresentanza politica e nei processi decisionali: un argomento delicato, il cui solo accenno diretto in una conversazione viene sistematicamente declinato con un sorriso bonario dall’uomo di turno; ovviamente, ci sono questioni più importanti su cui discutere. 

Anche la chiesa cattolica, che con la sua presenza “ingombrante” ha da sempre influenzato le dinamiche dell’America Latina, invece di incentivare una parità di genere ispirata agli ideali cristiani contribuisce ad alimentare il radicamento di forme gerarchiche di stampo patriarcale.

Nonostante si stia costruendo un’immagine della donna diversa, fautrice indipendente del proprio sviluppo sociale e professionale, questa contrasta fortemente con la cruda realtà dei numeri, evidenziando profonde lacune a livello di politiche sociali, educative e sanitarie. Basti pensare al fatto che, sempre secondo le statistiche nazionali, un'adolescente su quattro rimane incinta prima del compimento dei 15 anni.

Dei nove mesi che ho trascorso in Perù mi restano tanti bei ricordi, che dipingono le meraviglie di uno dei Paesi più affascinanti del mondo. Eppure, mi ricorderò anche di aver visto raramente una donna seduta ai tavoli decisionali o un uomo impegnato nelle faccende domestiche. Mi rimarranno impresse le fotografie di una normalità anormale, che è difficile scrollarsi di dosso; forse perché l’ho vissuta sulla mia pelle.

Camminando per la strada, mi sono spesso sentita spogliata da sguardi indiscreti o bersaglio di commenti e fischi di apprezzamento da parte di sconosciuti; comportamenti ingiustificabili, legittimati da una altrettanto ingiustificabile ostentazione di virilità profondamente radicata nelle pieghe del quotidiano.

Nella stessa organizzazione in cui lavoravo, non mancavano sporadiche manifestazioni della sottile retorica della misoginia. Episodi di poco conto, che tuttavia mi obbligavano a ribadire l’importanza di alcuni concetti, di alcuni diritti e libertà che, forse ingenuamente, davo per scontati. Anche il non essere tenuta in considerazione, nel lungo periodo, è una forma di violenza; più subdola, certo, ma ugualmente dolorosa.

Per fortuna, sul mio cammino ho incontrato e conosciuto anche tante storie di ribellione. Negli occhi di tante donne ho letto il desiderio di rivalsa, una fiera, latente consapevolezza del proprio valore; donne che, piano piano, stanno conquistando il proprio spazio di realizzazione e di affermazione nella società, ponendosi alla guida di battaglie importanti come quella per l’ambiente.

La palese asimmetria di potere, status e risorse delle donne in Perù si contrappone ad un infinito elenco di studi che dimostrano il ruolo cruciale dell’universo femminile nello sviluppo economico, politico e sociale di un Paese.

Ma le cose forse stanno cambiando: negli ultimi anni, in diversi Paesi dell’America Latina sono stati fatti considerevoli progressi, soprattutto in campo legislativo, per i diritti delle donne e verso l’obiettivo della parità di genere. Parità, non uguaglianza, perché è indiscutibile che esistano delle differenze: è una scelta politica, oltre che individuale, decidere come valorizzarle e tutelarle. Molti Paesi hanno implementato leggi contro la violenza di genere, criminalizzando il femminicidio, e a favore della legalizzazione dell’aborto. Recentemente, il movimento femminista NiUnaMenos, con la sua forza propulsiva, ha portato alla ribalta una problematica troppo spesso messa in disparte nel dibattito pubblico e relegata agli ultimi posti delle agende politiche.

Quello che ancora manca, tuttavia, è un cambiamento di paradigma più radicale a livello culturale, capace di trasformare l’immaginario e le norme sociali al fine di sradicare un retaggio responsabile, tra gli altri, degli alti livelli di disuguaglianza del Perù. Per farlo, è importante capire quali sono i processi alla base del fenomeno, i meccanismi che regolano il potere maschile e la subordinazione femminile nel mondo del lavoro, della politica e dei media. 

Indubbiamente, questi rappresentano solo i primi passi del lento, lungo e complesso processo di emancipazione femminile in Sudamerica. Forse è solo un’utopia? 

Dalla posizione privilegiata di donna europea benestante, mi sono spesso chiesta se la mia fosse una percezione troppo dilatata del fenomeno. Sono giunta alla conclusione che la minimizzazione del problema ne costituisce la radice stessa e che le questioni di genere, in Perù come nel resto del mondo, sono state minimizzate, per non dire ignorate, fin troppo a lungo.

** Pic Credit: Sara Ferigo