Una nuova pagina si sta scrivendo nella storia lunga e tormentata dell´indipendenza basca, ma altrettanto per la storia politica spagnola.
La dichiarazione di tregua permanente e verificabile dalla comunità internazionale, lanciata ieri da Eta attraverso il quotidiano basco Gara (in italiano "Siamo") , è senza dubbio un fatto senza precedenti.
Non soltanto perché di fatto annuncia la fine di un conflitto armato, ma
soprattutto rappresenta lo specchio esatto di un dibattito profondo interno al
popolo basco e alle sue organizzazioni indipendentiste.
Un dibattito lungo e difficile che ha visto confrontare la parte militare di Eta, fortemente autonoma dal punto di vista decisionale e strategico, e la sinistra abertzale, nata a seguito della chiusura forzata di Batasuna. Ma c´è di più. Sicuramente il ruolo di Arnaldo Otegi, leader di Batasuna ancora prigioniero nelle prigioni spagnole, è stato fondamentale consegnando nell’ultima intervista al Wall Street Journal la riflessione sull’inutilità di proseguire un conflitto armato e segnalando la necessità di una svolta.
Ma il passaggio fatto da Eta non è solo frutto di una contrattazione tra organizzazioni
politiche.
E´ soprattutto nella nuova generazione indipendentista che vanno ricercate le
spinte fondamentali che hanno segnato un punto di svolta nella lotta per
l´autodeterminazione. Una generazione giovane, radicale e in movimento, che
guarda allo spazio pubblico europeo come terreno di lotta e che ha visto nel
vortice della lotta armata la fine dei propri desideri e la chiusura di
possibili connessioni con i movimenti mondiali. Una generazione, come
dimostrano gli arresti di massa contro Segi
(organizzazione giovanile di Batasuna), che rischia di essere incarcerata e
torturata nel silenzio; in questo senso la gioventù basca vuole riaprire il
conflitto in termini di massa, partecipazione diffusa e con pratiche
capaci di dialogare oltre la lotta armata. Insomma un pezzo di società basca
orgoglioso della propria storia, compresa la lotta armata, ma consapevole che
la pratica dell’obiettivo necessita assolutamente di un forte segnale di
discontinuità.
Le lotte contro le dighe - strumento di vera e propria deportazione di interi
villaggi baschi - la lotta contro il nucleare e la tav fino all´occupazione di
case e spazi sociali, insieme alle mobilitazioni antifasciste contro i gruppi ultra-cattolici finanziati dalla destra post-franchista in aumento soprattutto nella Navarra, disegnano il nuovo scenario del
movimento indipendentista.
Una sfida difficile soprattutto perché, come scrivevo a seguito della
manifestazione del 2 gennaio 2010 a Bilbao, il volto di Zapatero è un po´
diverso visto dai Paesi Baschi. La dittatura spagnola di fatto esiste in Euskal
Herria; a dimostrarlo sono le condanne, recentissime, a 2 anni di carcere nei
confronti di due militanti baschi diciannovenni per un volantinaggio non
autorizzato. O ancora le condizioni in cui versano centinaia di prigionieri
politici e le vessazioni che subiscono le loro famiglie, denunciate anche da Amnesty International. E il divieto assurdo
di mostrare in pubblico le foto delle persone arrestate; pena
l’arresto per favoreggiamento.
Ma interessante è la reazione, di queste ore, del governo di Madrid. Una
reazione contraddittoria che se da un lato impone a Zapatero il solito
ritonello sulla consegna delle armi, dall´altra apre un dibattito pubblico e
acceso all´interno del Psoe, il partito socialista spagnolo. Parte
dell´organizzazione socialista spagnola ritiene utile dare legittimità ad un
passo decisivo per la fine dell´ultimo conflitto armato europeo.
Ma la vera questione è un´altra, e non riguarda solo i Paesi baschi. Qualora la
tregua proposta da Eta riaprisse uno spazio pubblico di azione per una nuova
generazione basca pronta a lottare su un piano radicale e di massa, il rischio
è che questa possa sommarsi all'ondata indipendentista catalana.
Il Movimento catalano è stato capace, ad una settimana dalla vittoria ai
mondiali della Spagna e sconfiggendo anche il nazionalismo a mezzo calcistico,
di portare in piazza un milione di persone dietro lo striscione:
"Cataluna, the next country in Europe".
Venendo meno lo spettro del "terrorismo", da sempre agitato dal
governo spagnolo, che di fatto aveva sempre segnato una differenza culturale
molto forte tra baschi e catalani, si potrebbe aprire una nuova stagione di più
stretta connessione tra le diverse lotte indipendentiste e autonome.
Uno scenario inedito che, unito al crescente malcontento per la crisi economica
e sociale, sempre più forte anche nei Paesi baschi (la parte più ricca e
produttiva della penisola iberica), potrebbe risultare alquanto problematico
per il governo di Madrid.
Forse questa tregua permanente, frutto della consapevolezza di avere "armi sociali" molto forti in seno al popolo basco, colpisce Madrid più di qualche azione militare.