Ezln, resistenza e alternativa all’idra capitalista

25 / 1 / 2020

«Sì, siamo disposti a sparire come proposta per un nuovo mondo. Sì, siamo disposti a essere distrutti in quanto a organizzazione. Sì, siamo disposti a essere annichiliti come popoli originari di origine maya. Sì, siamo disposti a morire come guardiani e guardiane della terra. Sì, siamo disposti a essere colpiti, arrestati, rapiti, ammazzati come individui e individue zapatiste».

Le parole del Sup Moíses durante le celebrazioni per il 26º anniversario del levantamiento riecheggiano ancora potenti: gli zapatisti sono pronti a giocarsi tutto per difendere la loro terra, la loro autonomia, la loro stessa vita dalla “bestia” estrattivista che minaccia di fargli guerra. 

La “Quarta Trasformazione” guidata da López Obrador, che ha messo fino all’egemonia politica del partito-stato e che promette di apportare un cambio radicale al paese, si troverà davanti l’Ezln e i popoli originari appartenenti al Congreso Nacional Indigena. Già dalla campagna elettorale, gli zapatisti, e in particolare la candidata indigena Marichuy, avevano messo in guardia dalle false promesse di AMLO o per meglio dire dal suo programma di governo che, più che è essere un taglio netto col passato neoliberista, sembrava essere la sua perfetta continuazione.

In effetti questo primo anno di governo Morena, ha lasciato molti interrogativi aperti e molti dubbi sulla reale capacità di produrre una rottura significativa col passato. Obrador in campagna elettorale aveva promesso la fine dell’epoca neoliberista e soprattutto di voler diventare il presidente di tutti. Portava con sé la speranza della fine di un’epoca buia cominciata dodici anni prima che aveva lasciato una scia di sangue nel suo cammino e provocato oltre 250 mila morti, oltre 60 mila desaparecidos, migliaia di fosse comuni e violenza e corruzione che avevano avvelenato le istituzioni. È probabilmente questa speranza di cambiamento che ha fatto scegliere AMLO a quasi trenta milioni di messicani alle urne nel luglio 2018.

Tuttavia, la speranza che la sua elezione potesse magicamente fermare la violenza endemica e strutturale che colpisce il paese, si è infranta nella triste realtà e nelle statistiche del primo anno di mandato che si chiude con quasi 35 mila omicidi dolosi e oltre 9 mila casi di sparizione forzata (dei quali oltre 4 mila localizzati – vivi o morti), che fanno raggiungere la drammatica cifra di 61.637 desaparecidos nel paese. Se non si può rimproverare ad AMLO di non essere riuscito ad arrestare in un solo anno questa violenza sistemica, è pur vero che le sue politiche preoccupano per le conseguenze drammatiche che rischiano di portare. In particolare è, sulla gestione dei flussi migratori con le minacce, i divieti, gli inganni, la repressione e le deportazioni delle carovane migranti di questi giorni e soprattutto con la questione grandi opere che il governo sta mostrando la sua vera natura, forte coi deboli e sottomesso ai potenti (quindi al sistema capitalista), per volere o costrizione. 

La strategia governativa di insistere sui progetti di sfruttamento dei territori mostra tutta la continuità col modello estrattivista da cui il presidente stesso ha più volte detto di smarcarsi. Un modello che sembra senza freni e che porta con sé, oltre allo sfruttamento intensivo dei territori, lo sfruttamento degli abitanti, la militarizzazione dei territori, la repressione verso il dissenso e le migrazioni forzate. In una parola porta con sé la violenza. AMLO quindi non rappresenta la discontinuità né la rottura con il sistema capitalista, ma la sua naturale continuazione in un’epoca di crisi dello stesso sistema: in un paese che negli ultimi dodici anni ha visto la violenza dominare nel territorio in modo anche troppo esagerato, il suo “el Tren Maya va porqué va” va visto nell’ottica “magnanima” del potere che concede a chi si oppone alle grandi opere, se accettarle, ottenendone in cambio le briciole o accettarle ottenendone in cambio la violenza.

A questa domanda/provocazione del nuovo “maggiordomo” del sistema, gli zapatisti hanno risposto con un ultimo anno di rinnovamento, di liberazione di nuovi territori e con una serie di appuntamenti per costruire insieme ai los de abajo di tutto il mondo l’alternativa al sistema capitalista. Lo storico dicembre, ribattezzato “Combo por la vida”, è ormai trascorso da un po’, e a freddo si presta a numerose riflessioni. Su più livelli questo mese così intenso, ha segnato una importante svolta nelle pratiche zapatiste. A poco più di tre mesi dall’annuncio della rottura dell’accerchiamento e l’ufficializzazione dei nuovi Caracoles e Municipi autonomi, l’intera struttura zapatista, come di consueto, si misura con uno sforzo ed una prova organizzativa la cui portata è sicuramente ambiziosa. Inanellandoli uno dopo l’altro, gli eventi [1] che si sono susseguiti in questo mese ci restituiscono il quadro di un’organizzazione capillare e solida, in grado di ospitare alcuni degli eventi nei Caracoles di nuova creazione.

La rilevanza contenutistica del messaggio che ci giunge dal Chiapas ha la potenza di sempre, c’è però un dato meno evidente ma assolutamente importante che merita di essere analizzato. La predisposizione dei terreni, la costruzione delle strutture, degli edifici, dei servizi igienici, delle comunicazioni nei nuovi Caracoles, hanno assorbito molte energie e risorse, non solo in termini economici ma anche di tempo, sottratto all’occupazione delle basi d’appoggio. Allo stesso modo questo è avvenuto per la predisposizione logistica dei vari eventi che avrebbero dovuto accogliere migliaia di persone e provvedere ai servizi e alla sicurezza mediante la mobilitazione di miliziane e miliziani. Senza dimenticare il lavoro necessario all’organizzazione vera e propria dei vari incontri. Tenendo conto della geografia del Chiapas e del fatto che gli eventi si sono svolti in vari luoghi, tutto questo assume una dimensione paradigmatica del cammino zapatista. In sostanza, in questi mesi, le comunità zapatiste si sono prodotte in uno sforzo comune culminato con la definitiva affermazione della forza dell’organizzazione che ha trovato la sua massima espressione nel dicembre passato.

Il messaggio che giunge oltre oceano è dunque la conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che il pensiero e le pratiche zapatiste funzionano. Funzionano nella misura in cui la lettura zapatista del modello capitalista, delle sue insidie culturali, sociali ed economiche, delle sue pratiche e del suo linguaggio hanno permesso agli zapatisti di pensare e ripensare la propria resistenza, di costruire le proprie armi di difesa culturale e sociale, di consolidare l’autonomia attraverso 26 anni di rebeldía. Allora ti ricordi di quello che una volta hanno detto le/gli zapatisti: «noi, parliamo per un altro tempo. La nostra parola si capirà in altri calendari e geografie» (SupGaleano, Una ballena en las montañas del sureste mexicano [2]).

Il lungo cammino della lotta zapatista, sin dalle sue origini, si è arricchito grazie al confronto, proprio sul piano dell’elaborazione di pensiero anticapitalista e delle pratiche di autonomia. I legami che vengono consolidati nel tempo infatti vanno al di là della prospettiva della lotta indigena, ma si estendono a realtà molto differenti, in primis il Rojava, il cui paradigma comune è l’aver costruito la propria autonomia mettendo in discussione la categoria dello stato nazionale. La democrazia senza stato, il “confederalismo democratico” teorizzato da Öcalan, condivide con l’organizzazione zapatista la volontà di costruire la democrazia, la giustizia e la libertà attorno al concetto di comunità. Gli zapatisti sono consci infatti che uno dei “cavalli di Troia” del modello capitalista sia l’individualismo che sgretola le comunità. Per dirla con le parole del SupMoisés in occasione delle celebrazioni dell’anniversario del levantamiento, «come potrà vedere qualunque persona che abbia un cuore onesto, abbiamo un progetto di vita, nelle nostre comunità fioriscono le scuole e le cliniche della salute e si lavora la terra collettivamente e collettivamente ci sosteniamo, siamo comunità. Comunità di comunità».

È questo essere comunità di comunità il messaggio più rilevante. Fornisce una chiave interpretativa delle lotte desde abajo y a la izquierda, che permette di superare i cortocircuiti delle sinistre progressiste di governo che agiscono all’interno dei paradigmi neoliberisti. Nel concreto, inoltre, consegna alle comunità il compito di costruire la propria autonomia dal basso e soprattutto non in antitesi ad altro, nella sostanza riassume perfettamente la società differente immaginata e costruita dagli zapatisti. L’invito ad organizzarsi nelle proprie comunità si arricchisce dunque dell’esortazione alla collaborazione nella lotta. Il SupMoíses, inoltre, a scanso di equivoci, delinea chiaramente quali siano le sfide che si pongono agli aderenti alla Sexta di tutto il mondo, a conferma del fatto che gli zapatisti hanno chiaro il percorso che la lotta anticapitalista riserva. «L’idra capitalista, la bestia distruttrice, cerca altri nomi per celarsi, attaccare e sconfiggere l’essere umano e uno dei nomi dietro ai quali si nasconde la morte è “grande opera”. “Grande opera” vuol dire distruggere un intero territorio. Tutto. L’aria, l’acqua, la terra, le persone. Con la grande opera la bestia divora con un solo boccone popolazioni intere, montagne e valli, fiumi e lagune, uomini, donne, bambini e bambine». In un mondo di relativismi, distinguo e compromessi, l’intransigenza delle parole del Sup Moíses è una ventata che ossigena le resistenze di tutto il mondo e ne indica la strada: «come zapatisti affermiamo con fermezza che solo un imbecille può considerare positive le grandi opere».

Gli zapatisti esistono e resistono, sono in cammino e sono pronti ad affrontare l’idra capitalista: «Siete disposti, voi cattivi governi, a provare a distruggerci a qualunque costo, a colpirci, arrestarci, rapirci e ammazzarci?»

[1] https://www.globalproject.info/it/mondi/ezln-il-tempo-delloffensiva-zapatista-nel-venticinquesimo-anno-di-resistenza/22447

[2] http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/13/una-balena-nelle-montagne-del-sudest-messicano-creatori-creatrici-e-creature/