Francia - Un'adolescenza nelle strade di Parigi per non tornare nella guerra

La situazione dei giovani profughi afgani

17 / 6 / 2010

Approdano nelle strade della capitale con la speranza di una vita migliore in Europa.
Metro Jaurés a due passi dal Canal Saint Martin, un piccolo accampamento di tende, materassi accatastati e un forte odore di escrementi e cibo in decomposizione.

Una decina di adolescenti provenienti dall'Afghanistan
trova riparo in un angolo di questo spazio del X arrondissement destinato alla passeggiata dal centro fino ai quartieri a nord-est di Parigi.
A turno, volontari delle associazioni di solidarietà con i rifugiati passano a proporre una doccia e una notte in uno dei 'foyer', case destinate all'emergenza 'temporanea' per dare un pasto e un letto ai senza
domicilio fisso durante il giorno ed a 25 minori la notte, quasi tutti afgani. I posti sono sempre troppo pochi, la scelta dei fortunati cade di solito su chi è accampato da mesi o sui più giovani.
L'appuntamento è al metrò Colonel Fabien, sulle panchine dove i ragazzi si siedono allineati per essere'valutati' dai volontari in base all'età.
Qualcuno resta sempre escluso, d'inverno molti di più che in estate.
In tutto, i posti resi disponibili dall'amministrazione comunale di Parigi e gestiti dalle associazioni sono 150, comprese le camere d'albergo finanziate dallo Stato. Questi posti a primavera diventano 120 ma i
ragazzi minorenni, che arrivano quasi tutti dall'afghanistan, sono ben più di un centinaio (fonte MRAP). Molti dormono fuori e vivono nel costante
pericolo di essere adescati e finire nei circuiti di sfruttamento sessuale.
La chiusura di Sangatte nel 2002, poi lo smantellamento della "giungla" di Calais nel 2009, le difficoltà a raggiungere le coste inglesi e la situazione in Afghanistan che si è degradata negli ultimi due anni
hanno trasformato Parigi in una tappa del tragitto migrante.

I ragazzi, giovanissimi, quasi tutti adolescenti tra i 12 e 16 anni, raccontano della morte di uno o più familiari e di cooptazioni forzate nei gruppi armati talebani in montagna, il freddo e le armi, il passaggio tra
Iran e Turchia, le decine di ore passate in viaggio aggrappati sotto i camion dalla Grecia all'Italia.
"Ho passato il tempo ad avere paura di morire se cadevo", questo è il prezzo quando muore il padre o il fratello più grande. Partire è un dovere per mantenere madri e sorelle rimaste nel paese in guerra. E lavorare mesi "come schiavi dei trafficanti di passaggi" prima di raggiungere la Turchia camminando di notte per attraversare i valichi di montagna. Tappe in case
dove si viene richiusi prima di essere trasportati in venti o trenta su autocarri, ore senz'acqua e senza poter stare seduti o allungarsi. Poi, senza aver mai visto il mare e neanche saper nuotare, in dieci o dodici la vita aggrappata ad un grande pneumatico che galleggia, magari sotto la pioggia e certo con grandi onde e correnti, tra Turchia e Grecia.
La Grecia "è un campo, una prigione per due mesi" e l'orizzonte verso l'Europa continentale la cella di un camion-frigorifero che parte su una nave diretta verso i porti italiani. I ragazzi piangono per giorni in
silenzio perché se parlano o si fanno sentire vengono picchiati dai 'passeurs'.
Tutti dicono di essere stati "vicini alla morte" e molti si incontrano a dormire sotto i ponti dopo essere arrivati in Francia, alcuni da cinque anni.
Gli ultimi arrivati tentano di raggiungere Oslo con l'intento di trovare ospitalità tramite l' aiuto umanitario, mentre i minori 'cresciuti' sulla
costa in attesa di un passaggio o nelle strade di Parigi provano a restare in Francia terrorizzati all'idea di un possibile rientro in Afghanistan, in particolare se appartengono agli Hazara "ostili ai Pachtun" spiega un
orfano che teme di essere arruolato per "portare una cintura di esplosivo". Le testimonianze disegnano un quadro che denuncia le responsabilità comuni dei governi, dagli Stati Uniti all'Europa, di questo
esilio permanente.
Solo i minorenni considerati disabili riescono, tramite le associazioni di solidarietà, a presentare una domanda per essere convocati all'esame osseo
sucettibile di stabilire l'età e di far ottenere l'Aiuto sociale all'Infanzia (ASE). Mesi di attesa a volte inutile perché la perizia considera un margine di errore di un anno, un'anno e mezzo. Nel frattempo una popolazione di adolescenti erra nel X arrondissement, i più fortunati in attesa di una risposta amministrativa giocano a calcio, curano con l'aiuto di MSF (Médecins Sans Frontières) le malattie virali prese in
viaggio, frequentano i centri di accoglienza diurni, cercano contatti con parenti e amici via internet.
Per la Convenzione internazionale dei Diritti dei minori, e secondo la Legge del 5 marzo 2007, non possono essere espulsi ed hanno diritto all'assistenza e alla protezione infantile ma queste leggi non vengono
applicate. L'accoglienza per l'amministrazione vorrebbe dire ospitalità in una struttura per minori da subito e iscrizione ad una scuola in seguito,
invece i minorenni dormono fuori per mesi e nessuna associazione ha i mezzi per occuparsi di loro concretamente e per garantire la possibilità
di costruirsi una vita in Francia.
Per adesso il loro destino, a partire dai 18 anni, resta nelle mani dei trafficanti di ogni genere e tipologia criminale.
Nel 2006, l'ASE di Parigi si faceva carico di 340 minori stranieri non accompagnati, oggi sono 1100 (il 30% proviene dall'Afghanistan) e ci vogliono - secondo le dichiarazioni dell'assessore incaricato della
protezione infantile del Comune di Parigi - almeno quattro, anche cinque mesi prima di trovare una soluzione di accoglienza. I 40 milioni della
città e i 3 concessi dallo Stato non bastano ad affrontare le conseguenze di una politica dell'immigrazione cieca di fronte all'urgenza sociale e
sorda alle richieste di aiuto per superare il trauma della guerra e del viaggio, e per diventare di nuovo capaci di immaginare un futuro.