Garcia Luna, il Messico e il crimine organizzato

12 / 12 / 2019

Centinaia di migliaia di morti. Decine di migliaia di desaparecidos. La narrativa di uno stato fallito governato dai cartelli e la vita venduta per un pugno di pesos: benvenuti in Messico.

Il nuovo presidente Andres Manuel Lopez Obrador, certamente con molta timidezza, sta provando a mettere in discussione le politiche di sicurezza muscolari che hanno marcato la recente storia del vicino di casa degli USA. Il suo progetto di pacificazione, che non fa però esodo dalle grandi estrazioni di ricchezza dell'entroterra né dalle grande opere infrastrutturali segnando uno scontro con il mondo indigeno e campesino, sta incontrando molti nemici, tra questi il più aggressivo è Donald Trump. La sua campagna elettorale per le presidenziali 2020 passa anche dal Messico su una doppia sponda: migranti e trafficanti di droga. Trump ha deciso che la smilitarizzazione del Messico non va bene, e pur di obbligare Lopez Obrador a tornare sui suoi passi ha deciso che è arrivata l'ora che i presunti cartelli della droga messicani siano considerati gruppi terroristi.

Così succede che il 10 dicembre Genaro Garcia Luna, che fu ministro della Sicurezza nel governo di Felipe Calderon, è stato arrestato in Texas. L'accusa sostiene che "in cambio di tangenti multimilionarie, Luna permetteva al “Cartello” di Sinaloa di operare con impunità in Messico". Luna è uno dei “padri” intellettuali della mal chiamata “guerra alla droga”. Il rapporto d'interessi tra Luna e la banda criminale guidata dal Chapo inizia prima del suo ministero. Almeno nel 2001 quando era a capo dell'AFI (servizi segreti messicani). Luna è stato più volte all'interno di scandali mediatici, uno utile per quanto segue è quello legato alle pressioni su Televisa per realizzare una sorta di serie tv che inneggiasse alle gesta della polizia federale e occultare i crimini da questo corpo svolto durante i primi anni della “guerra alla droga”. Complessando la vicenda, e osservando le modalità d'azione di Garcia Luna, come si può escludere una dinamica differente nel rapporto con il crimine organizzato: come si può escludere, a priori, che sia stato lo stesso Garcia Luna, forte del suo ruolo nell'Afi, ad aprire il contatto con il gruppo criminale di Sinaloa e chiedere soldi garantendo loro impunità e allo stesso tempo legare il gruppo ai suoi interessi? Come sempre la verità potrebbe essere una gradazione di grigi tra le tangenti incassate e la fantasia dell'estorsione di Luna. Certamente resta che un personaggio tanto chiacchierato (Forbes nel 2010 lo inserì nella lista dei 10 politici più corrotti) non ha mai visto mettere in discussione i suoi ruoli istituzionali da parte della politica messicana. Quando la figura di Garcia Luna è diventa troppo compromessa si è agevolato il trasferimento negli USA. Dove finora è stato comodamente vivendo in ville milionarie. Diventa difficile escludere un nesso di casualità tra le sparate di Trump sui cartelli e l'arresto di Garcia Luna. Pare evidente, andando oltre le narrative consolatorie, che Garcia Luna ha incarnato, probabilmente non da solo, il legame bidirezionale tra stato e crimine organizzato.

Abbiamo parlato della vicenda con Oswaldo Zavala, docente e scrittore. Autore del libro “I cartelli non esistono”, fondamentale libro che rompe con la narrativa main stream dello stato fallito.

A.C. Owaldo cosa significherebbe se gli USA inserissero il crimine organizzato messicano dentro alle liste del terrorismo?

O.Z. Definire i cosiddetti "cartelli" come organizzazioni terroristiche è stata una parte integrante dell'agenda di sicurezza nazionale degli Stati Uniti da almeno un decennio. Il Segretariato di Stato ha cercato di veicolare l'idea che i trafficanti messicani abbaino una sorta di forma "insurrezionale". Come sostiene il sociologo Luis Astorga, tale designazione darebbe continuità al discorso ufficiale collegando i due "nemici" della politica securitaria degli Stati Uniti dall'11 settembre e, ovviamente, consentirebbe una maggiore ingerenza nel paese vicino. Così gli Stati Uniti legittimerebbero, a livello nazionale, i propri impulsi imperialisti in Messico proprio quando il governo AMLO si è mostrato incline a sfidare la strategia della "guerra alla droga" con un difficile processo di smilitarizzazione. Ora, come argomento nel mio libro I cartelli non esistono, la "guerra alla droga" è stata il veicolo per il saccheggio delle fonti energetiche usando la militarizzazione come strumento per spopolare e controllare le terre collettive. Non sorprende che rivendicando la sovranità sulle risorse naturali, il governo di AMLO influenzi gli interessi delle società transnazionali che nei precedenti governi godevano di un accesso limitato al gas, al petrolio e all'estrazione mineraria in Messico. Quindi, in gioco non c'è la "sicurezza nazionale" del Messico e degli Stati Uniti. Il presidente Trump promuove con questa definizione una forma di pressione per obbligare il Messico a continuare con la militarizzazione e cercare di fermare la politica energetica di AMLO. Giornalisti come Jesús Esquivel hanno sostenuto che gli Stati Uniti sarebbero "costretti" a indagare sul riciclaggio di denaro e sulla circolazione delle armi se la designazione dei "cartelli" come terroristi entrasse in vigore. Nulla di più ingenuo: se gli Stati Uniti facessero rispettare la legge alla lettera, la loro stessa legge sui narcotici dovrebbe imporgli lo stesso. Gli Stati Uniti, come paese imperialista, ha sempre affermato il diritto internazionale in base ai propri interessi politici ed economici. E' ridicolo pensare che in questo caso si indagherebbero da soli, così come credere che dopo aver sottoscritto la Convenzione di Ginevra gli Stati Uniti non avrebbero piu' torturato prigionieri.

A.C. Vedi un filo rosso che collega i fatti di Culiacán - LeBaron e Trump? 

O.Z. Con maggiore chiarezza vediamo apparire dati importanti sui casi di Culiacán e Sonora. Nel primo, sappiamo che una delegazione della DEA (guidata dal suo direttore ad interim) ha tenuto un incontro insolito con il governatore dello stato di Sinaloa e alcuni comandanti militari un mese prima della presunta insurrezione di trafficanti durante l'operazione per fermare il figlio di Joaquín "El Chapo" Guzmán. Nel caso di Sonora, sorge una domanda ancora più importante. La vicinanza delle riserve di litio dello stato e il terribile massacro della famiglia LeBaron ci obbligano a considerare nuovamente la possibilità che la militarizzazione consenta l'accesso alle ricchezze del sottosuolo. E' accaduto, qualcosa di simile, ad esempio con le riserve di gas da argille a Tamaulipas e le presunte guerre tra i Los Zetas. Non può essere una semplice coincidenza che nonostante più di 12 anni di "guerra alla droga", solo ora, con la presidenza di AMLO ed il suo tentativo di smilitarizzazione e di recuperare la sovranità sulle risorse naturali, assistiamo a una spettacolare, nuova, escalation di violenza che va dalla “rivolta” di Sinaloa fino allo spietato omicidio di donne e bambini con cittadinanza statunitense.

A.C. La narrativa attuale parla sempre di più di uno stato debole e di cartelli forti... e AMLO, lentamente, cerca di mettere fine alla guerra contro la droga... possiamo presumere che aumenterà la violenza per giustificare l'operazione?

O.Z. Il Messico ha un apparato di sicurezza molto forte che è stato raddoppiato per dimensioni ed efficacia durante i tre precedenti governi di Fox, Calderón e Peña Nieto. Solo con la militarizzazione del paese, iniziata nel 2007, abbiamo visto l'escalation di violenza che continua fino ad ora. La politica di pacificazione di AMLO, che propone la depenalizzazione della droga, l'amnistia per i detenuti per reati minori (che non includono omicidio o rapimento) e la graduale smilitarizzazione del paese, sono misure che contribuiranno chiaramente a lungo termine a diminuire la violenza. Vale la pena ricordare, in questo contesto, che se la violenza continua è perché il tessuto sociale del Messico è profondamente danneggiato da oltre un decennio di occupazione militare. È impossibile chiedere in un solo anno una politica di pacificazione inverta gli effetti di 12 anni di politica militare di sterminio. Questa realtà è offuscata dal discorso militarista e dall'agenda della sicurezza nazionale statunitense. Dobbiamo affrontare il nuovo tentativo di “incendiare” il Messico con la presa di coscienza della falsa minaccia dei “cartelli” e dei reali pericoli determinati dalla militarizzazione e dall'ingerenza statunitense.