Gaza – Quei muri invisibili più alti di quelli di cemento

28 / 2 / 2019

Desidero ringraziare Alberto Mascena, psicologo sociale referente per l’Italia del Gaza Mental Health Program della ONG PCRF, per avermi fornito i dati raccolti durante il suo intervento del 2018 nella Striscia di Gaza.

Sono da poco rientrato da Gaza. Insieme a me c’erano dei giovani medici italiani che si recavano per la prima volta in Palestina. Alcuni di loro, nonostante si fossero informati sulla Storia del conflitto arabo-israeliano, faticavano a comprendere la realtà intorno a loro. Mentre eravamo in viaggio dall’aeroporto di Tel Aviv a Gerusalemme, dove avremmo trascorso la notte prima di oltrepassare il valico di Erez ed entrare nella Striscia di Gaza, ho cercato di rispondere alle loro domande anche attraverso la lettura di un estratto dell’intervista di Mustafa Abu Sneineh ad Ilan Pappe, apparsa su Middle East Eye a Novembre del 2017, e che voglio riportare di seguito, proprio per l’assoluta chiarezza, che non sarei in grado di rendere in maniera altrettanto precisa e semplice al contempo.

Gli  israeliani  controllano  i  territori  occupati  direttamente  o  indirettamente  e cercano di non penetrare all’interno delle città e dei villaggi palestinesi con alta densità di popolazione. Hanno separato la Striscia di Gaza dalla Cisgiordania nel 2005 e stanno ancora suddividendo la Cisgiordania in parti. Esistono una Cisgiordania ebrea ed una Cisgiordania palestinese, che non è più una zona dotata di contiguità territoriale. A Gaza gli israeliani sono i guardiani che tengono chiusi i palestinesi dal mondo esterno, ma non interferiscono con ciò che essi fanno all’interno. La Cisgiordania è come una prigione a cielo aperto in cui si mandano piccoli criminali a cui si consente più tempo per uscire e lavorare all’esterno. E non c’è un regime duro all’interno, ma è sempre una prigione. Persino il presidente Mahmoud Abbas, se si sposta dall’area B [sotto controllo amministrativo dell’ANP e controllo militare israeliano, ndt.] all’area C [sotto totale controllo israeliano,ndt.],  ha  bisogno  che  gli  israeliani  gli  aprano  il  cancello.  E  secondo  me  è veramente emblematico il fatto che il presidente non possa spostarsi senza che il carceriere israeliano apra la gabbia.

La Striscia di Gaza, stretta nella morsa di Hamas e bloccata militarmente tra Israele e l’Egitto di Al-Sisi, soffre di una crisi umanitaria senza precedenti nell’epoca moderna, difficile da raccontare in sintesi. Il popolo gazawo, circa 2 milioni di persone di cui la metà minori, già stremato da oltre 70 anni di occupazione militare violenta, da 12 anni è vittima di un assedio che li constringe dentro una grande prigione a cielo aperto grande 365 kmq, dalla quale la maggior parte di loro non sarà mai autorizzata ad uscire. Ecco presentate le vittime civili di cicliche distruzioni, croniche crisi idriche, petrolifere e sanitarie, inquinamento, epidemie, malnutrizione e la clamorosa impossibilità di  ripartire con un piano socio-economico sostenibile. A Gaza si registrano alcuni tristi record: il tasso di disoccupazione più alto al mondo, il numero di tumori infantili in rapidissima crescita, una spaventosa incidenza di cardiopatie congenite e 8 abitanti su 10 che dipendono completamente dagli aiuti umanitari (Dati UNRWA, UNICEF, OCHAPT). I crescenti sentimenti di frustrazione, rabbia e disperazione alimentano un clima di angoscia e disperazione, sfociato recentemente anche nelle manifestazioni della “Grande Marcia del Ritorno” che, sebbene siano condivisibili e certamente di grande impatto mediatico, stanno però creando una nuova generazione di invalidi e ciò complicherà ulterioriormente la situazione socio-economica dei prossimi anni.

Tra gli innumerevoli problemi che affliggono quotidianamente la vita dei palestinesi a Gaza, ce ne sono almeno un paio che farete fatica a farvi raccontare dalla gente del luogo, in quanto sono tabù a causa dell’eccesso di conservatorismo della società palestinese, dal quale molto spesso non sono esenti neppure gli operatori della salute. 

Secondo una dichiarazione del Centro Al Mezan per i diritti umani, i tentativi di suicidio a Gaza sono aumentati dell’80% a seguito delle due grandi operazioni militari “Piombo Fuso” e “Margine Protettivo”

Durante la mia ultima permanenza a Khan Younis, a pochi chilometri dal confine con l’Egitto, proprio in una delle zone definite più “calde” della Striscia, ho avuto la fortuna di incontrare Noura (nome di fantasia, nda), una psicologa ma prima di tutto una donna emancipata e che ama definirsi “una femminista a Gaza”! Ha accettato di rispondere alle mie domande su quelli che, sotto il blocco militare, anzi, proprio a causa di esso, da problemi isolati sono velocemente degenerati in vere e proprie piaghe sociali: stiamo parlando della dipendenza da Tramadol e degli abusi sessuali sui minori, spesso da parte dei familiari.

Scrivo di seguito alcuni spunti per inquadrare questi problemi, prima di lasciarvi alla visione della video-intervista, che non ha bisogno di ulteriori commenti.

 “I bambini di Gaza vivono all’inferno” titolava Haaretz qualche mese fa, riportando l’esperienza di uno psicologo volontario a Gaza, il quale racconta come più di un terzo dei bambini che vivono nella Striscia ha subito abusi sessuali, dall’essere toccato allo stupro. Il muro di omertà sull’argomento rende quasi impossibile condurre una ricerca scientifica sistematica, e quindi programmare un intervento capillare che possa portare sollievo. Gli psicologi fanno quel che possono, ma spesso sono solo piccole gocce in un mare di sofferenza.

Per quanto riguarda il Tramadol, questo è un farmaco prevalentemente antidolorifico, della classe degli oppioidi, utilizzato anche come antidepressivo. Secondo il report OMS del 2017 “Tramadol: Expert Committee on Drug Dependence - Thirty-ninth Meeting” questo farmaco è generalmente considerato a basso rischio dipendenza ma, da quanto si evince dalle analisi di polizia dopo i sequestri, le pastiglie di Tramadol che arrivano a Gaza sono “arricchite” con altre droghe, tra cui cocaina oppure, in altri casi, come mostrato da Al Jazeera nel documentario “Uncomfortably Numb”, al mercato nero vengono spacciate altre sostanze, etichettate come Tramadol.

Già nel 2010, quando il Tramadol iniziò ad entrare attraverso i tunnel di comunicazione con l’Egitto (oggi per la maggior parte distrutti da Al-Sisi) ed invadere il mercato nero, Yusef Progler pubblicava sulla rivista scientifica “Journal of Research in Medical Sciences” i dati allarmanti che raccontavano come quasi un terzo della popolazione gazawa tra i 14 ed i 30 anni abusasse o fosse dipendente dal Tramadol adulterato. A nove anni di distanza, e con un’altra guerra di mezzo, questi numeri sono aumentati esponenzialmente, così come si è ridotta l’età di chi inizia ad assumere quella che è una vera e propria droga a Gaza.

Continuo a riporre fiducia nel sumud: la proverbiale resilienza e perseveranza del popolo palestinese, divenuta simbolo di resistenza ed identità nazionale. Perdo, invece, sempre più, la speranza che l’umanità si svegli dal suo torpore e tenda l’orecchio al grido d’aiuto della popolazione di Gaza che sprofonda verso il baratro.