Gaza. Secondo giorno di tregua, la diplomazia al lavoro

In Egitto team di negoziatori palestinesi e israeliani: i primi chiedono la fine dell’assedio, i secondi la smilitarizzazione della Striscia in cambio della ricostruzione.

6 / 8 / 2014

Secondo giorno di tregua, dei tre previsti dall’accordo stipulato al Cairo tra la delegazione palestinese e Israele. E mentre proseguono gli sforzi per allungare di altri due giorni il cessate il fuoco, si contano i danni subiti dalla Striscia in quasi un mese di offensiva militare, la più dura di sempre. Oltre 10mila case, uffici governativi, scuole, moschee, università distrutti. Una montagna di macerie mai vista prima, interi quartieri rasi al suolo che gli stessi residenti non riconoscono più. Oltre 1.875 morti e tanti altri ancora sotto le rovine delle case di Gaza, quasi 10mila feriti e danni quantificabili – dice il vice ministro dell’Economia – in almeno 6 milioni di dollari.

Ieri nel primo giorno di calma, sono tre i palestinesi morti per le ferite riportate nei giorni precedenti: Fayiz Ismail Abu Hammad, 34 anni, colpito a Khan Younis; Salah Ahmad al-Ghouti, 22 anni, ferito a Rafah; e il 12enne Nidal Raed Eleiwa, anche lui colpito a Rafah.

Ieri il team di negoziatori israeliani (che non parlerà direttamente alla delegazione palestinese, ma lo farà tramite la mediazione egiziana) ha ripetuto la propria richiesta: sì alla ricostruzione della Striscia ma solo in cambio del disarmo dei gruppi armati palestinesi. Ofer Gendelman, uno dei tre rappresentanti israeliani in Egitto, ha detto che Israele – che ieri ha ritirato le truppe da Gaza – è interessato ad un cessate il fuoco duraturo ma che questo dipenderà dal rispetto di Hamas per le 72 ore di tregua. Alle richieste israeliane si contrappongono quelle palestinesi, portate avanti dai mediatori egiziani: ritiro delle truppe israeliane, apertura dei confini e fine dell’embargo contro la Striscia, rilascio dei prigionieri e diritto dei pescatori ad utilizzare 12 miglia nautiche dalla costa di Gaza.

L’Egitto, secondo i media israeliani, starebbe facendo pressioni su Israele perché accetti l’Autorità Palestinese come responsabile della ricostruzione di Gaza. Un passaggio che sottintende che l’amministrazione della Striscia passi direttamente al governo di Ramallah, e indirettamente un allontanamento di Hamas dall’enclave, seppure il governo di unità nazionale con Fatah sia ancora ufficialmente in piedi.

Restano in un angolo gli Stati Uniti. Il segretario di Stato Usa Kerry, dopo aver proposto una tregua nelle scorse settimane e essere stato imbarazzato dal governo israeliano che ha rifiutato all’ultimo momento e dalla sua stessa amministrazione, ha detto che non volerà al Cairo per i negoziati. Da Washington si è limitato a dire che l’attuale cessate il fuoco deve essere precursore di più “ampi” negoziati per una soluzione a due Stati tra Israele e Palestina, obiettivo a cui ha lavorato nel corso dell’ultimo anno senza alcun successo: “Dobbiamo cominciare a rendere la vita dei palestinesi migliore – ha detto Kerry – Aprire i confini per far entrare cibo e ricostruire, per avere più libertà. Questo deve arrivare con una maggiore responsabilità verso Israele, ovvero abbandonare i missili”

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