Germania - Sorpasso a destra

5 / 9 / 2016

Le elezioni in Meclemburgo-Pomerania le ha vinte formalmente l’Spd. Nonostante i socialisti abbiano perso il 5% netto dei consensi, il governatore uscente Erwin Sellering potrà continuare a governare il Land nord-orientale. Quale sia la coalizione di governo è ancora troppo presto per dirlo, anche perché ci sarebbero i numeri per apparentarsi sia con Cdu sia con Die Linke.

Sul piano politico non è questo l’elemento chiave del passaggio elettorale appena terminato, bensì lo storico sorpasso che l’Afd (Alternativa per la Germania) compie ai danni del partito della Merkel. Un sorpasso che ha ancora di più il sapore della beffa per la Cancelliera, perché è avvenuto nel Land espressione del proprio collegio elettorale.

Non si tratta del primo exploit elettorale di Afd che, alle elezioni regionali del marzo di quest’anno, è diventata la terza forza nel Baden-Württemberg ed in Renania-Palatinato (ottenendo rispettivamente il 15,1% ed il 12,3%). Ma soprattutto ha sfondato in un altro Land dell’ex Germania Est, Sassonia-Anhalt, dove si è imposta come seconda forza con oltre il 24% dei voti.

Se è vero che l’ascesa del partito guidato da Frauke Petry si iscrive in un aumento generalizzato dei consensi per le cosiddette forze “populiste di destra” nella Mitteleuropa ed in altre aree del vecchio continente, è vero anche che ci sono alcune peculiarità che vanno prese in considerazione.

In primo luogo l’attuale leader, nel sottrarre le redini del partito all’economista anti-euro Bernd Lucke, si era proposta di costruire un aggregatore politico per l’intero bacino culturale e sociale della destra tedesca. Rispetto alla vecchia leadership, molto ancorata ad una critica all’Unione Europea sul piano economico e monetario, Petry accentua il carattere nazionalista ed anti-islamico del partito, flirtando con Pegida e segnalandosi per alcune dichiarazioni poco usuali nell’oratoria politica tedesca. «Bisognerebbe sparare ai clandestini che vogliono attraversare le nostre frontiere», dichiarava agli inizi di quest’anno, suscitando indignazioni di facciata, ma aumentando notevolmente il proprio consenso nei sondaggi d’opinione. L’Afd si è dunque connotato a tutti gli effetti come un partito di estrema destra, riuscendo a leggere in maniera vantaggiosa quella radicalizzazione della società tedesca, ed europea in generale, prodotta dalle trasformazioni avvenute nel corso della crisi sistemica. Trasformazioni che impediscono al corpo sociale di sentirsi parte di quella dialettica bipolare tra “grandi centri” che, su basi liberal-moderate, ha egemonizzato la scena politica continentale negli ultimi due decenni.

Un altro elemento che ha consentito all’Afd il sorpasso a destra è legato al modo in cui la Petry è riuscita a comunicare alla “pancia” degli abitanti del Land baltico. Meclemburgo e Pomerania sono tra le aree dell’ex DDR che maggiormente hanno faticato ad agganciarsi economicamente alla locomotiva tedesca dopo la riunificazione. Ancora oggi il tasso medio di disoccupazione si aggira intorno al 10% (oltre il doppio di quello nazionale), con punte del 20% nelle aree più rurali. La crisi dell’industria portuale e delle esportazioni di derrate agricole, principalmente in seguito delle sanzioni europee imposte alla Russia, hanno accentuato negli ultimi anni la sofferenza sociale delle fasce medio-basse della popolazione. Ed è proprio nel rapporto tra impoverimento di massa e “paura dell’invasione” che l’Afd ha impostato la propria campagna elettorale. «Non possiamo condividere con profughi e clandestini quel briciolo di benessere che ci rimane e che a fatica siamo riusciti a conquistare dopo la riunificazione» ha tuonato più volte Petry in queste ultime settimane. Lei, imprenditrice ed originaria dell’Est, sa bene come toccare le corde di una popolazione da ormai diversi anni molto suscettibile alla propaganda dell’estrema destra.

La strategia politica della Petry ha decisamente pagato in termini di consensi elettorali. L’Afd non solamente sottrae voti a tutti gli altri partiti presenti nella competizione (il cui saldo negativo è unanime), ma prende voti anche da quel 9% in più di elettori che si sono recati alle urne rispetto alle ultime elezioni regionali. Si tratta di un dato estremamente significativo, anche perché si pone in decisa controtendenza con il trend elettorale europeo degli ultimi anni.

Lo scossone avvenuto in Meclemburgo-Pomerania ha immediate ripercussioni negli assetti politici nazionali, a poco più di un anno dalle prossime elezioni federali. Si apre per la Merkel un fronte interno che non avrà esiti scontati, soprattutto nel momento in cui si scioglierà il nodo di una sua eventuale ricandidatura alla cancelleria. Il rischio più grande è che la Cdu apra la propria partita “a destra”, rincorrendo l’Afd proprio sul terreno dell’immigrazione, condizionando ancora di più le politiche restrittive che si stanno definendo attualmente nella fortezza Europa. L’altro rischio è quello di lasciare maggiori margini di manovra a Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze ed uno dei maggiori sostenitori di quell’ordoliberismo che ha segnato la fase più acuta delle politiche di austerità europee.

Su un piano politico generale, le elezioni in questione segnano un passo importante nella parabola discendente della grösse Koalition, quel modello politico-istituzionale che è stato uno dei traccianti fondamentali su cui si è retto il governo della crisi in Europa. Ed è fortemente indicativo il fatto che quel modello viene messo definitivamente in crisi laddove si è affermato, a casa della Merkel, nel cuore di quella Germania che in questi anni ha trainato le redini del nuovo liberismo europeo, basato sulla contrazione generalizzata dei diritti sociali, Welfare e spesa pubblica.

Il problema reale è che lo spazio politico in via di apertura viene occupato, quantomeno alle latitudini centrali e settentrionali d'Europa, da quelle forze politiche che si sono forgiate attorno alla cultura della paura, all’ideologia della guerra tra poveri, ad un’idea mono-etnica di comunità. Se da un lato è vero che il massiccio aumento dei flussi migratori verso l’Europa è parte delle condizioni materiali che alimentano la massificazione di vecchie e nuove retoriche “nazionaliste”, dall’altro è proprio la diminuzione generalizzata di ricchezza e sicurezza sociale a favorire una competizione estrema tra individui. Una competitività che trova nella dimensione etnica e razziale un importante aggregatore, riproponendo un archetipo noto nella cultura politica dell’estrema destra, il cui rapporto con le classi dominanti si è retto storicamente su una visione interclassista della società.

E' sempre più necessario, in questo contesto, che i movimenti sociali si facciano carico della responsabilità di costruire un nuovo patto costitutivo europeo. Un patto che nasca dall'alleanza trasversale tra sfruttati e che miri non solamente a porre un'argine nei confronti dell'avanzata dei partiti xenofobi, ma alla sovversione dei rapporti di forza tra governance finanziaria e moltitudine che la storia recente ha determinato. E' necessario allo stesso tempo riqualificare la relazione tra territori e spazio europeo, perché solamente una prospettiva confederativa tra comunità che lottano per il comune può realmente ridefinire dal basso l'Europa.