La
Francia ha deciso da sola la forma di un intervento militare in Mali
per fermare l'avanzata dei miliziani jihadisti (...). Nonostante l'
union sacrée nell'Esagono, e un ampio sostegno internazionale - compreso
quello africano - attorno a questa iniziativa del presidente Hollande,
degli interrogativi si pongono.
Le finalità della guerra: come
in Libia, nel 2011, esse sono confuse. Si è sentito di tutto:
assicurare la sicurezza dei cittadini francesi all'estero; (...) guerra
contro il terrorismo; (...) impedire la presa di Bamako ecc. Se i
jihadisti hanno sì cercato di avanzare verso il Sud, non è dimostrato
che avessero intenzione di andare fino a Bamako, la capitale (...). Ora
si è agli attacchi contro le posizioni di ripiego dei gruppi armati. A
quando la "pulizia" del terreno?
Le truppe inviate sul terreno: È
proprio quello che era stato evitato in Libia nel 2011. E quello che
cercano di evitare in generale americani, britannici, ecc. Ma quello che
non hanno potuto impedire i francesi in Mali (...).
La durata dell'operazione: essa
è perlomeno variabile («il tempo che sarà necessario», «diverse
settimane», «fino a quando le forze dell'Africa occidentale e l'esercito
del Mali non daranno il cambio», ecc.). Ma il tempo non gioca
necessariamente a favore di chi interviene, e che può ritrovarsi
impantanato, con un'immagine di "occupante" - come è stato in
Afghanistan.
Gli obiettivi: inizialmente erano i
combattenti sulla linea di demarcazione, adesso sono le retroguardie
dei movimenti jihadisti nei loro feudi del Nord (...). Qui nulla è stato
veramente negoziato, discusso, approvato: è a discrezione della potenza
che prende l'iniziativa, quasi in clandestinità. Una guerra senza volto
e senza immagine (...).
Le risoluzioni Onu: sulla
loro interpretazione si basa in teoria la legittimità dell'intervento:
se ne prende ciò che si vuole con una modalità "di scivolamento", che
ricorda anche qui il precedente libico. Così, la risoluzione 2085 del 22
dicembre era imperniata innanzitutto sul necessario negoziato politico,
per separare la questione Tuareg (rivendicazione nazionale o
comunitaria, paragonabile alla questione kurda) dalla costituzione di
poli jihadisti (...) Oggi Parigi pretende di agire all'offensiva nel
nord del Mali sotto la copertura di questa risoluzione che autorizzava
un negoziato politico e la messa in csmpo di forze dell'Africa
occidentale, ma si riservava il via libera militare a un momento
successivo (...).
Le giustificazioni politiche: sono
a geometria variabile, con un lato "grande salto" della sinistra che
assicurava, dopo l'elezione di François Hollande, di non volersi più
comportare da "gendarme dell'Africa" (...). Ora, anche se la causa
sembra piuttosto giusta, la Francia si ritrova nella posizione di agire
in prima linea (...), con i suoi propri mezzi, il suo know-how africano
tradizionale (che risale ai tempi del colonialismo, in particolare per
quanto riguarda la guerra nel deserto). L'immagine rischia di restarle
attaccata ancora a lungo, e non mancheranno "amici" della Francia a
chiederle d'intervenire nell'interesse di questo o quel Paese.
Sul piano militare: (...)
effettivi relativamente limitati dai due lati (qualche migliaio),
terreno conosciuto (il Sahel) e «libero» (deserto), appoggio sulla rete
di basi e di truppe pre-posizionate a Libreville, N'Djamena, Gibuti (che
fanno della Francia, più di cinquant'anni dopo le indipendenze, un caso
a parte). Se la Francia non si fosse lanciata , nessuno l'avrebbe fatto
al suo posto. Essa potrà compiacersi: «Intervengo, dunque sono». Ma
dovrà far comprendere che non torna a essere un gendarme regionale, cosa
della quale - in realtà - non ha più veramente né i mezzi, né la
volontà.
Il posizionamento offensivo: questo
atteggiamento (già rilevato a proposito della Libia nel 2011, e della
Siria nel 2012) fa di Parigi il nemico n°1 dei jihadisti, il nuovo
«grande Satana», col rischio che i suoi cittadini all'estero o le sue
installazioni all'estero, in particolare in Africa, diventino potenziali
obiettivi; o che vengano presi di mira obiettivi nell'Esagono (...).
Benefici politici per Hollande: (...)
il presidente «normale» - più rosa che rosso, più socialdemocratico che
socialista, piuttosto «moscio» in tutto - vi trova l'occasione di fare
il duro, il risoluto, su un terreno sul quale è garantito incontrare un
vasto consenso, in un clima di unanimità nazionale. (...) Unica
incognita: se dovesse succedere qualcosa agli ostaggi attualmente
prigionieri nel Sahel, com'è accaduto per l'operazione condotta sabato scorso in Somalia per liberare l'agente francese (...), che ha avuto l'effetto disastroso che sappiamo.
traduzione di Ornella SangiovanniLa versione integrale dell'articolo su www.lemondediplomatique.fr
Riportiamo la parziale traduzione di un corposo articolo da le monde diplomatique
Hollande indossa l'elemetto
15 / 1 / 2013