Gorilla dietro le quinte

Honduras - La morbida dittatura clintoniana

Effetti del golpe nella regione Latinoamericana

4 / 8 / 2009

Il colpo di Stato in Honduras non ha avuto solo come obiettivo liquidare l’anello più debole dell’Alba, l’Honduras, con il suo presidente Manuel Zelaya che, nonostante le sue origini conservatrici, aveva cominciato timide riforme sociali e che, per motivi economici, si avvicinava a Venezuela, cosa che lo ha fatto sembrare un pericoloso ’rivoluzionario’. É anche rivolto a rafforzare la destabilizzazione in Guatemala (il cui presidente Colom è attualmente nel mirino dell’imperialismo), El Salvador (dove il Frente Farabundo Martí de Liberación Nacional ha conquistato il governo, ma non il potere, che continua in mano all’estema destra) e Nicaragua.
Gli Stati Uniti, per mezzo dei suoi servitori, vuole rafforzare così, strategicamente, la debole saldatura dell’istmo del Plan Merida, per posizionare dal Messico alla Colombia un corridoio per la dominazione statunitense e convertire quest’ultimo paese, sotto la dittatura di Uribe, in una testa di ponte, una specie di Israele in America del Sud, per controllare Venezuela, i Caraibi, Ecuador, Brasile.

Il golpe civile-militare è stato attentamente preparato nella base statunitense di Soto Cano, con la presenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti, Llorens. Questi se ne è andato, portando la sua famiglia, per cui sapeva del golpe con anticipo, per non sembrare troppo legato ai gorilla honduregni, quelli formati dagli Stati Uniti e che conosce dai tempi di John Dimitri Negroponte e l’Irangate (l’armamento ai contras nicaraguensi con armi introdotte dall’Honduras e pagate con la droga dalla CIA), che è stato anche capo diretto di Llorens. Negroponte, ex segretario nazionale di sicurezza di Bush, ex rappresentante nell’Onu, ex vicerè in Irak, non è l’unico cospiratore di un certo livello: il fantoccio golpista Micheletti, per esempio, ha come consiglieri due aiutanti di Bill Clinton; Lanny Davis (consigliere durante lo scandalo provocato dalla sua relazione con Mónica Lewinsky, è stato il più indegno consigliere di Hillary Clinton nella lotta contro Obama e assessore del ’Consejo Hondureño de la Empresa Privada, cardine dell’oligarchia locale) e Bennet Ratcliff.

Di conseguenza è assolutamente impossibile che il Dipartimento di Stato (come dire, Hillary Clinton) e il Pentagono siano stati sorpresi per il golpe tanto annunciato e tanto grossolanamente organizzato da quattro gorilla sicuri della loro impunità.

Per tutto questo, il golpe è un siluro sulla rotta di navigazione di Obama verso la distensione con l’America Latina e con Cuba stessa, ed è stato lanciato dalla destra conservatrice statunitense, tanto del Partito democratico di Hillary Clinton e del suo clan, che repubblicana (per mezzo dei legami dei bushisti con i militari e la destra latinoamericana).
É il primo serio indebolimento proveniente da Washington dello stesso Obama, per il quale questa destra riserva la stessa carta che Oscar Arias, conosciuto servo degli Stati Uniti, vuole dare a Zelaya: quella di presidente per i saloni, fantoccio e contemplatore, senza la possibilità di nessuna iniziativa, con la politica esterna assolutamente controllata dal Dipartimento di Stato. In effetti, l’opinione che Obama “è un moretto che non sa niente di niente” l’ha formulata il ministro delle Relazioni Esterne dei golpisti honduregni ma, anche se finora non la esprimono liberamente, è condivisa da tutti i santi che i gorilla hanno nel paradiso dell’establishment statunitense.

Il golpe honduregno è contro i paesi vicini legati a Chavez e a Cuba, è contro Venezuela e Cuba, contro tutti i governi “progressisti” dell’America del Sud ed è anche un golpe senza Obama e contro Obama. L’aberrante proposta di Arias è funzionale ai golpisti. Permette loro di guadagnare tempo per organizzare il loro potere di fatto e stancare e demoralizzare i sostenitori del presidente costituzionale. Li ricompensa inoltre con una proposta di amnistia sebbene abbiano fatto un colpo di stato, assassinato persone che difendevano la costituzione e siano “infami traditori della patria”, passibili di fucilazione. In fine, secondo l’Accordo di San Josè, Zelaya dovrebbe inserire in posti chiave del suo effimero gabinetto quelli che lo hanno sequestrato, deportato dal suo paese, insultato, falsificato la sua firma in una lettera di rinuncia e che stanno opprimendo con il terrore il popolo honduregno, e dei quali sarebbe solo l’ostaggio.

Se fosse accettata la “soluzione Clinton” (soluzione per i golpisti), si incoraggerebbero altri golpes e “dittature morbide” (dittature militari con facciate “legali”). L’alternativa è difficile, ma è l’unica positiva: rifiutare l’accordo Arias-Clinton e guidare, in Honduras stesso, un processo di lotta, con tutti i mezzi possibili, per imporre una assemblea nazionale costituente che decida chi e come debba governare il paese. Ossia, cercare di creare una breccia nelle forze armate e la polizia mediante la mobilitazione insurrezionale, come in Bolivia contro Sánchez de Lozada o in Venezuela, con il golpe contro Chàvez.

Zelaya, figlio di un assassino di sinistrorsi, lider di un partito conservatore-tradizionale, orientato verso una politica più avanzata, soprattutto per ragioni di opportunità e per non aver calcolato le conseguenze che questo poteva causargli, ha dimostrato coraggio, ma probabilmente non potrebbe guidare questo tipo di lotta, pur potendola iniziare.
Il popolo honduregno e i settori di sinistra che chiedono il suo ritorno incondizionato al governo sapranno allora come sconfiggere i golpisti e farli pagare i crimini contro la Costituzione con processi pubblici.

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