Hong Kong - Movimento inceppato

Il giorno più difficile per #‎OccupyHK‬ è stato ieri, quando dagli altisonanti proclami degli studenti si è passati rapidamente a un ripiegamento. Quanto sia strategico, saranno i prossimi giorni a dircelo, ma il Chief Executive Leung esce rafforzato dalla giornata. Al di là della paura della repressione, pesano divisioni interne e l'assenza di "rabbia".

3 / 10 / 2014

di Simone Pieranni

L’ultimatum degli studenti (dimissioni del capo del governo o occupazione degli edifici pubblici) scadeva alla mezzanotte di ieri, orario asiatico, in una Hong Kong nuovamente occupata da migliaia di manifestanti. Nel pomeriggio la tensione si era leggermente alzata, quando le persone per strada, attraverso i propri leader, avevano accusato la polizia di prepararsi a reagire con lacrimogeni e pallottolle di gomma ad eventuali azioni della piazza.

Già prima dell’ultimatum il movimento Occupy, aveva però cambiato i propri obiettivi: niente occupazioni, pur mantenendo viva la richiesta di dimissioni del chief executive. E Leung, in una posizione difficile, per quanto nella giornata di ieri Pechino avesse comunicato la propria «fiducia» nel capo del governo, mezz’ora prima dell’ultimatum ha fatto sapere la sua idea su quanto stava accadendo ad Hong Kong. Ha confermato di non avere alcuna intenzione di dimettersi, ha chiesto agli studenti di disperdersi e ha avuto parole di elogio per il movimento, definendolo «razionale» e ha sostenuto di essere «sempre stato favorevole» al dialogo.

La «chief secretary», cioè la numero uno della burocrazia governativa, presente alla conferenza stampa, è stata incaricata di organizzare l'incontro con la Federazione degli studenti di Hong Kong. Dopo questa performance, gli studenti in piazza sono piombati nella confusione, sia organizzativa, sia in relazione alle proprie rivendicazioni. Qualcuno ha provato a occupare una strada, altri erano contrari, qualcuno ha cominciato a ripiegare, tornando a casa, altri sono ancora lì. Poi il comunicato nel quale si dava il benvenuto al dialogo e nel quale si ribadiva la necessità di dimissioni del capo del governo locale.

Mentre scriviamo la situazione appare volgere al termine e se non ci saranno sorprese o novità improvvise, la notte di Hong Kong chiude una sorta di primo round dello scontro tra manifestanti e governatore, con quest’ultimo - e con lui Pechino - in chiaro vantaggio. Da una posizione critica, dato per spacciato, Leung ha saputo come rivolgersi ai ragazzi in piazza: duro, in qualche modo «consigliere», ma anche aperto al dialogo.

E in effetti la piazza «giovane» ha mostrato tutti i suoi limiti nella gestione del confronto politico, terrorizzata dal possibile scontro con la polizia, incapace di dare seguito alle «minacce» di occupazione, stretta tra governo locale e il rischio di un intervento di Pechino. Non è sicuramente facile confrontarsi con un governo come quello pechinese, ma quanto accaduto ieri indica anche il segnale dei limiti di una protesta - esaltata in Occidente perché anti cinese e «liberaldemocratica» - nella quale è mancata la forza e per certi versi la «cattiveria» di quelle fasce sociali che sono veramente escluse non solo politicamente, ma anche economicamente (gli studenti, per il meccanismo asiatico di selezione, a loro modo costituiscono un ceto di «privilegiati», rispetto alle badanti filippine o ai lavoratori portuali, ad esempio).

La protesta dunque assumerà nuove forme e contenuti, in attesa dell’incontro - se ci sarà - tra rappresentanti degli studenti e governo.Si è conclusa con questo «accordo» una delle giornate più tese di queste proteste «dell’ombrello». La situazione si era fatta tesa nella mattinata in una delle zone bloccate dai contestatori, quella di Tamar, dove sorgono gli uffici del governo e la sede locale dei militari dell' Esercito Popolare di Liberazione cinese. Un gruppo di giovani ha affermato di aver scoperto all'interno di un'ambulanza, alla quale era stato consentito di passare, rifornimenti di gas lacrimogeno e proiettili di gomma per la polizia. Le dichiarazioni del portavoce della polizia Steve Hui, secondo il quale la polizia «non tollererà nessuna azione illegale contro gli edifici del governo», non hanno aiutato a calmare gli animi.

I leader della rivolta giovanile Joshua Wong e Agnes Chow hanno invitato i partecipanti alla protesta a radunarsi a Tamar per far fronte ad un eventuale attacco della polizia. Poi Leung ha comunicato quanto voleva dire e tutto ha preso una piega di confusione, seppure con minor tensione. E dietro a tutto quanto accaduto ieri, c’è la presenza di Pechino, naturalmente, che può dunque avviarsi verso il quarto plenum del Partito in condizioni tutto sommato tranquille. Accerchiata dai media occidentali, dopo aver accusato le ong sostenute da Usa e Gran Bretagna, che avrebbero fomentato le proteste, la Cina ha mantenuto la calma. Pechino ha di sicuro concepito la possibilità di cacciare Leung (ipotesi che potrebbe non essere tramontata del tutto) salvo poi confermargli la fiducia una volta riscontrata la possibilità di mantenere la posizione anche a fronte delle proteste.

[Scritto per Il Manifesto]

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