“I can’t breathe”. Aria nuova e fresca

Lotte e manifestazioni antirazziste negli USA

16 / 12 / 2014

Domenica a Washington, DC, si è svolta la Justice for All March per recla­mare giu­sti­zia per i gio­vani neri assas­si­nati dalla poli­zia e la fine del raz­zi­smo ende­mico nelle forze dell’ordine, una manifestazione di alcune decine di migliaia di persone chiamate a marciare dal Natio­nal Action Net­work del reve­rendo al Sharp­ton e da una miriade di comitati cittadini che si battono contro i soprusi della polizia nelle strade e nelle caserme. I numeri ci dicono che non è stata una di quelle manifestazioni che fanno la storia dei movimenti, anche perché, lo hanno fatto capire chiaramente, non sono disponibili a farsi gestire da un reverendo che non ha il carisma, neanche da lontano, di un Martin Luter King o  la forza di un Malcom.

Infatti, accanto a questa, altre mobilitazioni si sono date: una marcia nella città di New York che ha visto altrettanti partecipanti [40.000] e in altre metropoli americane. Manifestazioni che chiudono un ciclo di ‘sollevazioni’ degli indignati americani contro l’arroganza della polizia, la connivenza dei Gran Giurì e l’acquiescenza delle Corti di Giustizia nei confronti della violenza usata dalle forze dell’ordine nella vigilanza dei quartieri e nelle caserme. Se, infatti, i casi recenti di violenza hanno infiammato le proteste della popolazione di colore di Ferguson e di New York, riportando alla luce dati che ci parlano di oltre 400 morti ammazzati nell'ultimo anno e mezzo negli USA, con la incriminazione dei poliziotti che si contano sulle dita di una mano, va ricordato che questa situazione è strutturale ed è segnata in profondo dalla discriminazione razziale: nella sola New York gli arresti di neri sono oltre la metà di tutti gli arrestati, pur rappresentando meno di un quarto della popolazione lì residente [vedi link*]. Una violenza razziale che ha fatto da detonatore alle grandi rivolte nei ghetti urbani delle metropoli americani durante tutta la metà del secolo passato, che hanno avuto una breve forma strutturata nel ‘contro potere’ organizzato e sorretto dalle Black Panters, ma molto più spesso hanno prodotto riots furiosi e disperati che hanno lasciato sulle strade morti, distruzione.

Una discriminazione che è stata evidenziata dallo stesso sindaco De Blasio, dal Obama post elezioni di medio termine, in cerca di recuperare consenso, che avevano esecrato i comportamenti della polizia dopo i fatti Ferguson, tanto da determinare, come risposta, una levata di scudi in difesa della polizia da parte della potente associazione sindacale di categoria, che ha proposto una specie di referendum interno a sostegno degli operatori delle forze dell’ordine operanti nelle strade.

Illuminanti, a questo proposito, l’incipit di un recente noir di un grande scrittore e sceneggiatore americano di Washington, la capitale, città che, aldilà della Casa Bianca, è nera, oltre che essere statisticamente la più violenta degli States.

Potere. Roba da poliziotti, ma non da poliziotti qualsiasi. Quelli che stanno dietro la scrivania non ne hanno. Quei cazzoni della Omicidi sono troppo contorti. Forse qualcuno della Buoncostume, ma solo una volta ogni tanto. Chi il potere ce l’ha sempre sono gli agenti di pattuglia, gli unici in grado di saperlo davvero gestire.

Tutt adorava la sensazione di caduta libera che si accompagna al Potere. Non vedeva l’ora di gustarsi gli sguardi che riceveva quando smontava dalla macchina: sguardi che esprimevano paura, ostilità, persino rispetto. Era in polizia da cinque anni, sempre in divisa e sempre per strada. Se li tenessero i loro gradi e i loro distintivi dorati. A lui piaceva sentirsi l’uniforme addosso. Sapeva di non poter indossare altro.**

Ma aldilà di queste considerazioni quello che è da cogliere nelle manifestazioni che hanno segnato le mobilitazioni anti razziste negli USA del post Ferguson è la loro territorializzazione e le nuove forme con cui si sono determinate. Infatti la diffusione e la loro continuità si è incentrata soprattutto dentro le aree metropolitane lungo la costa occidentale e quella orientale, in particolar modo a New York e a S. Francisco, città dove il movimento Occupy aveva espresso i momenti più intensi e massificati. Un diffuso radicamento politico carsico che non ha esitato ad emergere con determinazione, esprimendo forme di lotta mutuate dagli strikers della grande distribuzione Wallmart e MC Donald, bloccando arterie stradali, ponti, autostrade, tunnel, affrontando la polizia con barricate e con massicci picchetti mobili che hanno messo a dura prova il flusso di merci e uomini nelle aree metropolitane interessate dalle mobilitazione. Segnali di disponibilità a lottare, con modalità, determinazione, intelligenza e sedimentazione organizzativa, nuovi, questi che ci arrivano dagli USA, musica per le nostre orecchie.

On The Road Again

  • George Pelecanos, Non temerò alcun male, Piemme 2013, pag. 1