“Il biancorosso”: passato, presente e futuro nelle piazze bielorusse

24 / 8 / 2020

Domenica 9 agosto, al termine delle elezioni presidenziali bielorusse, il presidente uscente Alexandr Lukaschenko ha annunciato la vittoria con l’80% dei voti. Immediatamente, sono scese in piazza migliaia di persone per contestare questo risultato, dando vita al più grande movimento di piazza della storia bielorussa. 

In queste ultime due settimane la popolazione bielorussa sta sperimentando un momento storico cruciale, nella sua trentennale esperienza di indipendenza. Candidandosi al suo sesto mandato consecutivo, l’attuale reggente Alexandr Lukashenko ha dovuto affrontare mesi e mesi di contestazioni a lui inedite. 

Lukashenko, ex direttore di un kolhkoz, è in carica dal 1994 ed è uscito da numerose elezioni e referendum sempre con percentuali molto robuste a sancirne la popolarità. Popolarità che, per molti anni, è stata vera e tangibile. Nel turbolento periodo del crollo dell’Unione Sovietica e della nascita delle numerose repubbliche ex sovietiche, che per la prima volta sperimentavano l’autonomia nazionale ed economica, molte di loro hanno retto malamente all’ondata neoliberista dei primi anni Novanta. 

La Bielorussia ha però sperimentato questo percorso solo nei primi anni. Dal 1991 al 1994 il primo governo bielorusso indipendente guidato da Stanislas Kuchkevich tentò di accodarsi al treno della rinascita nazionale e dell’apertura economica: i tentativi di imporre la lingua bielorussa sul russo e le prime avvisaglie di privatizzazioni non trovarono però il favore della popolazione. Non esiste, infatti, un forte senso nazionale tra i bielorussi così come non viene percepita una netta distinzione con i russi. La Bielorussia inoltre, forte della sua posizione strategica al confine dell’Unione, vide negli anni precedenti un importante processo di industrializzazione e urbanizzazione garantendo uno dei livelli di vita più alti dell’URSS. 

Questa idea di passato rassicurante fu vittoriosamente cavalcata da Alexandr Lukashenko, che subito dopo la prima elezione passò dalle parole ai fatti. Mettendo fine alla svendita delle industrie di Stato e mantenendo la chiusura verso gli investimenti occidentali ha fatto si che la Bielorussia uscisse meglio di altre repubbliche dai primi anni di indipendenza. Aiutata anche dal forte legame che è rimasto con la Russia, i primi anni di Lukashenko videro crescite del PIL a doppia cifra e alti livelli di occupazione. Venne anche sostituita - tramite referendum - la storica bandiera biancorossa, scelta nel 1991 per seguire l’ondata nazionalista che stava travolgendo tutto l’Est Europa, con il vessillo dell’epoca sovietica, più rassicurante in quegli anni di shock, proprio per evitare pericolose derive nazionalistiche, venne anche reintrodotto il russo come une delle lingue ufficiali, rendendola di fatto la lingua più parlata.

Sin dai primissimi anni della presidenza Lukashenko numerosi osservatori internazionali lo hanno accusato di brogli, corruzione e derive autoritarie, come la riforma del parlamento, ma il consenso nel paese è rimasto alto grazie alla stabilità economica e un welfare relativamente ampio. Ma nel corso degli anni questi sforzi economici, per un paese privo di risorse e con un terzo settore molto marginale, le crisi non sono state evitate. L’inflazione è stata una questione centrale degli ultimi anni, tanto da indurre nel 2016 la decisione di eliminare i numerosi zero dalle banconote (ad esempio la banconota da 50’000 rubli da un giorno all’altro è diventata da 5), così come il livello salariale è rimasto ancorato nonostante il costante aumento dei prezzi. 

Lo stretto legame con la Russia, che concede risorse energetiche scontate, ha visto la sempre maggiore crescita di investimenti russi nel mercato immobiliare e si è registrata inoltre una sempre maggiore apertura ai capitali stranieri e conseguenti processi di privatizzazione di portata notevole: emblematica l’idea di rendere Minsk la “Las Vegas” dei russi. 

Ma non sono (solo) queste turbolenze economiche e la perdita di sicurezza sociale ad aver reso sempre meno popolare il presidente nel corso degli anni. Per la generazione di bielorusse e bielorussi nati dopo la fine dell’Unione Sovietica e desiderosi di esplorare il mondo, la figura di Lukashenko li continua ad ancorare a tempi differenti. La mobilità internazionale è molto complicata per le giovani e giovani, generalmente molto formati grazie ad un ampio accesso all’istruzione e desiderosi di levarsi di dosso l’etichetta impostagli da altri di “abitanti dell’ultima dittatura europea”. Il limitato supporto alla creatività ha sfavorito l’emergere di avanguardie culturali e politiche così come la costante discriminazione delle persone LGBTQ ha stufato una generazione di millennials che non si sentono secondi al resto degli europei. Nel corso dei decenni poi Lukashenko ha continuato a consolidare potere, costruendo attorno a lui un culto della personalità di altre memorie. In tutti i modi Lukashenko ha continuato a seguire la sua idea di maschio alpha rendendosi sempre meno sopportabile dalla popolazione.

Le dimostrazioni di forza e invincibilità più simboliche, come le sfide a Hockey con l’amico Putin, si sono affiancati ad azioni presidenziali sempre più detestabili. I costanti arresti di avversari politici e dei (pochi) contestatori susseguitesi nel corso di numerose elezioni, così come le condizioni poco chiare dei detenuti politici (la Bielorussia resta l’unico paese europeo a mantenere la pena di morte introdotta prima di Lukashenko e mai abrogata), restano le principali battaglie degli oppositori storici. La recente, incredibile, introduzione di una tassa per chi si trovi in stato di disoccupazione, rinomata “tassa anti-parassiti”, ha aumentato e generalizzato il dissapore nei confronti del presidente in carica che ha dovuto fare dietrofront in seguito alle proteste e cancellare la legge.

Nei mesi precedenti alle elezioni il risentimento della popolazione è cresciuto di giorno in giorno. Gli arresti dei principali leaders dell’opposizione davano adito ad un copione già noto, ma le mogli dei candidati hanno preso immediatamente il loro posto continuando la campagna elettorale e sfidando il clima repressivo messo in piedi da Lukashenko. Sono continuati comizi e conseguenti arresti di sostenitori dei candidati dell’opposizione, così come sono continuati gli attacchi sessisti e misogini di Lukashenko nei confronti delle sue avversarie. 

A dare il colpo definitivo alla popolarità del Presidente in carica è stata la gestione della pandemia da Covid-19, dapprima negata poi minimizzata invitando la popolazione a farsi saune e bere vodka, celebrando la parata per la il giorno della liberazione di Minsk (importantissima festa nazionale) nonostante conclamati rischi sanitari e opponendosi all’idea di chiudere le scuole, inimicandosi ancora di più le donne bielorusse. 

Questi eventi hanno rafforzato la consapevolezza dell’opposizione, tanto che un sondaggio informale dava Lukashenko al 3%. Questo numero è diventato poi uno dei simboli dei primi giorni delle proteste, a simboleggiare il rifiuto di accettare il risultato annunciato dal presidente uscente. Le violenze da parte dei reparti dello stato dei mesi precedenti sono esplose immediatamente dopo l’annuncio della vittoria di Lukashenko con l’80%. 

Questa volta sono state migliaia, e non poche centinaia come nelle elezioni precedenti, a scendere in piazza per contestare il risultato e la polizia e gli agenti antisommossa hanno mostrato una violenta prova di forza per disperdere manifestanti pacifici. La quasi trentennale presidenza di Lukashenko si è infatti svolta senza contestazioni o violenze sia per la relativa stabilità, ma anche per il carattere mite e pacifico con il quale storicamente il popolo bielorusso si identifica. Le violenze contro i manifestanti sono state infatti uno shock inusitato per le bielorusse e i bielorussi che si sono uniti in questo primo storico momento di aperta contestazione. Una marea si è estesa per tutto il paese con le donne sempre in prima fila, dimostrando come questa sia anche una lotta contro il machismo e il sessismo che la figura di Lukashenko trasuda da anni, riunendosi sotto i colori biancorossi che sono diventati il segno universale dei manifestanti. 

La bandiera biancorossa, conosciuta come Pahonya, è storicamente un simbolo tradizionale del popolo bielorusso: il territorio storicamente abitato dai Ruteni (gli antichi bielorussi) divenne parte del Granducato di Lituania, enorme entità territoriale dove la lingua bielorussa era parlata anche negli ambienti ufficiali, che scelse la bandiera biancorossa come proprio vessillo. Per i secoli successivi il biancorosso sono rimasti i colori tradizionali sia sotto l’Unione Polacca che l’Impero Russo.

Il nastrino biancorosso è stato riproposto come simbolo di una Bielorussia indipendente nel breve periodo della Repubblica Popolare Bielorussa (1918-19) e poi nei primi anni dalla fine dell’Unione Sovietica (1991-1995). Questi colori accompagnano a lungo la tradizione e la cultura del popolo bielorusso (ne è attualmente riconosciuta l’importanza storica), che non ha mai avuto un forte senso di identità nazionale e particolari pretese territoriali come altri della zona. Il fatto che nel corso della storia siano stati utilizzati come simbolo di pericolose derive nazionaliste (durante la seconda guerra mondiale e nei primi anni dell’indipendenza) non toglie l’universalità di questi colori, come dimostrato dalla squadra di calcio popolare antirazzista Partizan Minsk, che l’ha scelta come proprio simbolo.

In queste settimane la bandiere biancorossa è diventato simbolo generalizzato dell’opposizione a Lukashenko, e a differenza di altri vessilli nazionali sventolati in altre piazze e altri tempi, questo non sembra voler richiamarsi al mito di un passato glorioso (le bielorusse e i bielorussi sono perfettamente consapevoli di averlo mai avuto), ma come il simbolo di una nuova Bielorussia. 

A differenza di altre nazioni infatti, per la Bielorussia questo movimento, che continua a essere costantemente represso con morti e sparizioni misteriose di oppositori, è una novità assoluta per la sua storia. Un momento che pare necessario per chi non hai avuto momenti di piazza cosi e che sicuramente serviranno per nuovi futuri momenti di consapevolezza e azione. Momenti importanti di rottura si stanno vedendo negli scioperi, nell’autorganizzazione assembleare e comunicativa, ma è ancora presto per fare analisi rispetto al percorso che questo movimento (estremamente giovane se comparato ai sostenitori dell’attuale presidente in carica) sta imparando a fare di giorno in giorno.

Si tratta di un momento formativo che non sarà privo di contraddizioni, errori e marce indietro per cittadine e cittadini che stanno crescendo e condividendo giorno dopo giorno; è importante quindi continuare a seguire con curiosità ed attenzione questo processo senza peccare di supponenza, o di velato colonialismo, volendo cercare a tutti i costi dei manovratori.

** Pic Credit: Vasily Fedosenko ©Reuters. Proteste contro il risultato delle elezioni presidenziali. I manifestati richiedono le dimissioni del presidente bielorusso Alexander Lukashenko e il rilascio dei prigionieri politici a Minsk.