Il colpo di grazia al sistema sanitario libanese

L’esplosione del porto di Beirut ha portato al collasso definitivo la sanità del paese. Ieri oltre 5 mila persone sono scese per protestare contro il governo.

9 / 8 / 2020

Nel mezzo della crisi economica e dell’emergenza coronavirus, l’esplosione del porto di Beirut ha portato al collasso definitivo la sanità del paese. Adesso si affida completamente alle donazioni. Nel frattempo, nella capitale oltre 5 mila persone sono scese in piazza sabato 8 agosto per protestare contro il governo, prendendo d’assalto le sedi dei ministeri degli Esteri, dell’Energia, dell’Ambiente e dell’Economia.

Immediatamente dopo le 18.00 del 4 agosto, l’ora dopo la quale Beirut è cambiata per sempre, nelle strade ormai irriconoscibili della città hanno iniziato a risuonare grida di disperazione accompagnate dalle sirene delle ambulanze. Nella città è calata un’atmosfera apocalittica. L’esplosione di un magazzino situato nel porto della capitale libanese e contenente quasi 3000 tonnellate di nitrato di ammonio ha causato più di 150 morti e migliaia di feriti. Persone insanguinate, colpite dalle schegge dei vetri andati in frantumi, si muovono tra le macerie di quelle che fino a pochi minuti prima erano le loro abitazioni. Qualcuno ha già cercato di tamponare le ferite con medicazioni casalinghe.

Gli ospedali si sono trovati in poche ore ad accogliere centinaia di pazienti in condizioni critiche, nonostante l’incapacità delle strutture di affrontare una tale emergenza. Il solo Centro Medico dell’Università Libanese Americana ha ricevuto nell’arco della notte 300 feriti e ha effettuato 65 operazioni chirurgiche, riferisce il direttore dell’ospedale Sami Risk al quotidiano libanese L’Orient Le Jour. Le strutture ospedaliere più vicine al porto sono state quasi completamente distrutte. Gli ospedali più distanti hanno subìto danni meno importanti: vetri frantumati, parti del soffitto crollate, oggetti scaraventati a terra e tavoli ribaltati.

L’ospedale Saint George, situato a meno di un chilometro dal luogo dell’esplosione, è stato fortemente danneggiato e circa l’80 percento della sua struttura è attualmente inaccessibile. Il responsabile della Gestione Emergenze dell’ospedale ha comunicato che almeno 11 persone presenti nell’edificio nel momento dell’esplosione sono morte, tra queste si contano 4 infermieri, mentre più di 150 sono rimaste ferite. L’ospedale, rimasto senza elettricità, ha ricevuto nella sera altri 300 pazienti, che sono stati collocati ovunque possibile nell’edificio. Gli ultimi arrivati sono stati soccorsi direttamente nel parcheggio adiacente, illuminati solamente dalla torcia del cellulare di un membro dello staff. A poche centinaia di metri si trova l’ospedale libanese di Geitawi, non più operativo a seguito dell’esplosione. Almeno 12 persone hanno perso la vita e l’obitorio ha raggiunto il limite della sua capienza. Quattro corpi, riferisce un infermiere, sono stati trasferiti in un’altra sede. Molti pazienti che erano già presenti nell’ospedale sono stati immediatamente evacuati e trasferiti in altre strutture per lasciare il posto ai casi più urgenti, creando ulteriore confusione tra i famigliari in cerca dei propri cari dislocati.

La tragedia ha inferto il colpo finale al sistema sanitario libanese, che già da mesi si trovava sull’orlo del collasso. L’arrivo nel paese del coronavirus, combinato con l’inesorabile peggioramento della più severa crisi economico-finanziaria degli ultimi trent’anni, ha messo definitivamente in ginocchio una sanità già in bilico da mesi. Il numero dei pazienti nel settore pubblico è salito esponenzialmente negli ultimi mesi, in parte a causa del diffondersi del Covid-19, in parte perché molti libanesi non possono più permettersi l’assicurazione medica privata. Sono aumentati anche i pazienti in condizioni gravi, poiché sempre più persone sono restie a contattare il medico per il timore di dover affrontare spese troppo alte.

A questo si aggiunge la difficoltà delle strutture ospedaliere di ottenere nuove attrezzature mediche. Queste sono normalmente importate dall’estero e quindi acquistate in dollari. La svalutazione della lira libanese, che in meno di un anno ha perso l’85% del suo valore, e le restrizioni imposte dalla Banca Centrale sul prelievo dei dollari rendono di fatto impossibile il rifornimento di materiale medico necessario per trattare l’elevato numero di pazienti.

La durata dei blackout quotidiani, da sempre limitata alle 3 ore giornaliere nella zona di Beirut, ha toccato le 18 ore a causa della scarsità di carburante nel paese. Anche il consumo dell’elettricità dei generatori elettrici privati ha raggiunto costi difficili da coprire. L’ospedale Rafik Hariri, uno dei più attivi nel trattamento del Covid-19, ha dovuto chiudere due sale operatorie e disattivare i macchinari non essenziali. All’inizio di luglio ha spento l’aria condizionata negli uffici amministrativi per cinque giorni.

Il presidente del sindacato degli ospedali privati Sleiman Haroun ha dichiarato che il 60 percento delle strutture private del paese ha ridotto le attività a causa dell’aumento dei costi, limitando l’accesso alle cure solo ai casi più gravi. In tempi normali, il settore privato curava l’85 percento della popolazione libanese. A metà del mese scorso, l’Università Americana di Beirut, la più prestigiosa del paese, ha licenziato 850 impiegati, di cui almeno 500 afferenti al centro medico universitario.

Il 4 agosto, il Libano ha toccato un fondo che non immaginava neanche di avere. Il sistema sanitario è stato inondato da un numero di pazienti che non poteva – e non può tutt’ora - supportare. Se prima mancavano le risorse e il materiale medico, ora mancano anche le strutture fisiche.

La Croce Rossa libanese, insieme a diverse strutture ospedaliere, ha immediatamente lanciato un appello alle persone illese invitandole a donare il sangue per sostenere le centinaia di feriti. In poco tempo il messaggio è diventato virale sui social media e la sera stessa decine di abitanti della città si sono attivati. “Abbiamo improvvisato un punto di raccolta in mezzo alla strada. Ora stiamo convincendo i passanti a salire in macchina con noi per recarci insieme all’ospedale”, riferisce un ragazzo attraverso una nota vocale.

Senza attendere un appello ufficiale da parte delle autorità, la popolazione si è attivata per raccogliere donazioni di medicinali e materiale per il primo soccorso. Nelle altre regioni del Libano e in molte città straniere continuano a moltiplicarsi i punti di raccolta per le donazioni mediche. In prima linea dall’estero si sta mobilizzando la diaspora libanese, che conta quasi 15 milioni di persone (circa tre volte tanto la popolazione del Libano), raccogliendo donazioni da spedire al paese d’origine.

Nei giorni successivi all’esplosione, numerosi professionisti si sono proposti attraverso le piattaforme social per venire incontro alle necessità della popolazione: medici generali, dentisti, infermieri, oculisti hanno offerto visite e servizi gratuiti a chiunque li richiedesse. Sono apparsi anche innumerevoli messaggi di psicologi che mettevano a disposizione il proprio numero di telefono per offrire sostegno psicologico post-traumatico.

La comunità internazionale ha mostrato il suo sostegno al Libano inviando tonnellate di materiale sanitario e decine di equipe mediche. Non stupisce la rapidità di risposta della Francia, antica potenza mandataria e storico alleato del paese. Immediata anche la risposta del Qatar che, tra le altre cose, ha spedito centinaia di brandine e una dozzina di pallet di cibo. Allo stesso modo, hanno prontamente reagito la Turchia, l’Arabia Saudita, il Kuwait, gli Emirati Arabi, gli Stati Uniti, la Germania, l’Italia. L’Australia promette di sostenere il paese con 1 milione e mezzo di dollari, mentre il Canada rassicura la popolazione libanese che gli aiuti finanziari non andranno al governo, ma saranno versati direttamente a “collaboratori fidati”. Nonostante le cause del tragico avvenimento siano ancora oscure, molti libanesi accusano la classe politica di essere il vero colpevole dell’incidente, ulteriore evidenza della sua disfunzionalità e inefficienza. Le offerte di assistenza umanitaria giungono suscitando qualche perplessità anche da Israele, storico nemico con il quale il Libano è ancora ufficialmente in guerra. Nella Striscia di Gaza dozzine di palestinesi rispondono all’appello della Mezzaluna Rossa per donare il sangue in supporto dei libanesi.

Nella giornata del 7 agosto sono circolate notizie secondo le quali le autorità libanesi avrebbero tentato di ostacolare l’ingresso sul territorio nazionale di una squadra di soccorso olandese e avrebbero rifiutato un’offerta di aiuti dagli Emirati Arabi. È stato anche diffuso un video in cui una squadra dei Soccorritori senza Frontiere francesi afferma di aver ricevuto l’ordine di non partire per il Libano poiché non più necessario il loro aiuto. La presidenza del Consiglio libanese, tuttavia, ha prontamente smentito queste notizie, reiterando l’invito rivolto alla comunità internazionale a sostenere la popolazione libanese.

Qualunque sia la verità, le autorità libanesi hanno ormai perso la loro credibilità. La capacità dello Stato di rispondere alle numerose domande dei libanesi sulle dinamiche dell’avvenimento è pari alla capacità di rispondere all’emergenza. Quello che è sicuro è che senza gli aiuti internazionali, le donazioni individuali e il supporto dei volontari in loco, il sistema sanitario libanese non sarebbe capace di fronteggiare una tale sventura in autonomia. Rimane da scoprire quanto sangue ancora dovranno perdere i libanesi prima che il loro paese sia in grado di chiudere le ferite.