Il fragile ruolo della Francia in Mali

3 / 2 / 2013

In Mali, la Francia ha un ruolo molto incerto, ben lontano dalla "grandeur".

Il processo di ricostruzione dello Stato maliano, come in altri paesi occupati militarmente da forze militati occidentali come l' Irak e la Libia, parla di quanto sia "vasto il programma", lo storytelling del "teatro delle operazioni" non è quello che ci raccontano.

La risoluzione adottata dall'ONU lo scorso dicembre prevedeva l'impiego di truppe africane ed ha precisato l'origine del conflitto: le revendicazioni autonomiste e independentiste dei Tuareg. Il Mali è stato invitato ad intervenire per "rendere operativo un piano credibile" con lo scopo di "rispondere alle annose preoccupazioni delle popolazioni del Nord".

Secoli d'antagonismo che il Mali non è riuscito a sormontare, le radici della guerra sono profonde e antiche. Sedentari contro nomadi, agricoltori contro commercianti, uomini neri contro uomini dalla pelle chiara... sud e nord ancora più nemici dopo la secessione dell'Azawad proclamata il 6 aprile 2012 e l'operazione militare franco-maliana lanciata l"11 gennaio 2013. Le rivalità sono inscritte nella terra e nella storia di queste popolazioni.

Questa guerra non può essere ridotta allo scontro tra musulmani integristi e moderati del Sud, la storia coloniale e lo Stato del Mali ce lo raccontano.

Il nord del paese è, oggi, una scena nella quale entrano ed escono Mokhtar Belmokhtar, l'Aqmi (al-Qaida nel Maghreb islamico), il Mujao (Movimento unico per la jihad nell'Africa occidentale), tremila soldati francesi, anche qualche Tuareg.

Non si vede granché delle battaglie in compenso la narrazione è ben collaudata:

la Francia è in guerra e le sue ragioni non sollevano obiezioni, la "guerra contro il terrorismo". Il Mali è il teatro di questa guerra ma la scena è ben più complessa storicamente, culturalmente, etnicamente di come ce la raccontano: un turn-over di predatori si sono succeduti dall'invenzione coloniale del "Sudan francese" (1891-1958), il Mali è diventato indipendente nel 1960. Difficoltà economiche, colpo di Stato militare (sostenuto dalla Francia), esplosione della corruzione. Come si dice in bambara, in Mali, si deve "mangiare il potere".

Lo Stato è una mangiatoia dove ci si serve a turno. E tutti vogliono la loro parte. dall'ufficiale ai graduati della gerarchia militare responsabile di malversazione di aiuti internazionali e traffico di stupefacenti.

Il Mali è un crogiolo di lingue, culturalmente domina la lingua bambara-malinké parlata nel sud e nella parte occidentale del paese ed è la lingua dei funzionari, sconfina nei paesi vicini, Costa d'avorio, Burkina Faso, Guinea, Senegal orientale Ma ci sono Peuls, Senufo, Bobo, Soninké, Songhai e molti altri gruppi etnici... La lingua ufficiale è il francese. Tutti o quasi sono musulmani, l'islam non è la religione di stato ma amministratori o funzionari che non vanno a pregare alla moschea il venerdi non sono ben visti. Non ci sono conflitti etnici, l'appartenenza è rimasta fluida nonostante il censimento della popolazione obblighi gli abitanti a specificare l'"etnia". Dall'indipendenza il nazionalismo emerge con forza e il rapporto di forza tra Tuareg del Nord e popolazioni del Sud si è invertito, un solo dirigente del paese appartiene ai Tuareg. Prima dell'indipendenza i Tuareg si servivano degli schiavi del Sud, non hanno accettato la dominazione dei loro vecchi schiavi e da cinquant'anni si ribellano all'appartenenza nazionale con puntuali tentativi di conciliazione regolarmente falliti, o quasi.

L'antagonismo Nord-Sud è un corollario storico consolidato nel Sahel, i Mauri sono i persecutori dei Neri in Mauritania, "negro-africani" si battono contro arabi in Ciad, gli abitanti di Timbuctù o di Gao sono percepiti come stranieri da quelli di Bamako. E i Tuareg si considerano più "civilizzati" rispetto ai maliani del Sud perché islamizzati. La troppo facile distinzione tra popolazioni del Nord "musulmani fanatici che vogliono instaurare la charia" contro popolazioni del Sud "seguaci di un islam pacifico e tollerante" risale alla fine dell'800, l'amministrazione coloniale parlava già di "fanatici". L'applicazione della 'charia' risale al X secolo quando l'islam è penetrato nell'Africa sub-sahariana, non è dovuta ai gruppi armati del Nord, che siano tuareg, di Aqmi o del Mujao.

Il grosso nodo da sciogliere resta il governo mailiano: il paese è diretto da reti clientelari organizzate sulla base di legami di parentela e dell' origine regionale, si può dire che essere poveri in Mali vuol dire che non si conosce nessuno. Ma per capire il crollo politico-militare è necessario riconoscere il ruolo centrale giocato dalla Libia e il rientro dei Tuareg in Mali con armi e bagagli dopo essere stati accolti a braccia aperte da Gheddafi nella sua guardia pretoriana fino alla caduta del regime. Perché non rianimare la vecchia idea coloniale di uno Stato sahariano, l'Azawad? E scendono armati fino a Tumbuctu con il sostegno logistico di Aqmi e Mujao. Ma alcuni più ingordi, perché non arrivare a Bamako e fare man bassa?

Il vuoto lasciato dallo Stato maliano al Sud è un invito. Anche alla Francia... a suo rischio e pericolo.

Il rischio di uno Stato islamico certo esiste ma chi dice che il presidente maliano ha chiesto l'aiuto della Francia per respingere Aqmi è poco credibile. Più probabile che la Francia l' abbia intimato perché le chiedesse aiuto. Cosa farà la Francia una volta spinti i "dijihadisti" ai confini del Sahara? Difficile andarsene senza uno Stato. Un domani, ci saranno proconsoli e alti funzionari francesi, esperti civili, ong cooperanti per rimettere lo Stato in moto? Come in Ciad dove il presidente Idriss Debry è regolarmente salvato dai Mirage francesi?

È possibile tenere in piedi uno stato-fantoccio in Mali e installare una nuova base militare francese in Africa. Si dovrebbe chiamare questo tipo di operazioni con il loro nome: ricolonizzazione. Cosi comincia il 2013 in Mali.