Il premio Nobel David Card difende l’aumento del salario minimo in Spagna: “le condizioni lavorative stanno regredendo da 40 anni”

17 / 3 / 2022

Agli inizi di febbraio il governo spagnolo e i due principali sindacati del Paese, Ugt e Comisiones Obreras, hanno firmato un accordo per fissare il salario minimo di quest’anno a 1.000 euro al mese, con un aumento di 35 euro rispetto all’anno precedente. Si tratta del primo paese europeo a sfondare questa soglia, e la decisione è stata molto criticata dalle associazioni padronali spagnole, in particolare da Ceoe e Cepyme. L'ultimo premio Nobel per l’economia David Card difende la decisione del governo Sanchez e ne spiega le motivazioni che sono alla base delle sua tesi sul salario minimo al giornalista economico de El Pais Ignacio Fariza. Traduzione a cura di Claudia González Lobo.

Secondo David Card (Guelph, Canada, 66 anni) il salario minimo ha letteralmente cambiato la sua vita. Non perché se lo sia mai guadagnato - almeno, non risulta che lo abbia mai fatto-, ma perché lo ha elevato nell'Olimpo dell'accademia economica ed è stata la chiave per il più grande riconoscimento a cui un ricercatore possa aspirare: il premio Nobel, che ha ricevuto alcuni mesi fa e che condivide con altre due figure di spicco dell'economia sperimentale, Joshua Angrist e Guido Imbens. Il suo merito, secondo la giuria, è stato niente meno che "rivoluzionare la ricerca empirica nell’economia". Ma tra i suoi meriti c'è anche quello di aver approfondito temi tanto vicini ai proiblemi della società quanto lontani dalla matematica, in cui la disciplina si era specializzata negli ultimi anni - o decenni, forse?-.

L'economista canadese, professore all'Università della California a Berkeley, cambia lo sfondo di Zoom a seconda del suo interlocutore. Ha appena finito la videochiamata con la Finlandia e sta ancora utilizzando un paesaggio tipicamente nordico sullo sfondo, che passa immediatamente a un dipinto di Joan Miró per parlare con il nostro giornale. Evita ogni traccia di formalità e la sua risata contagiosa denota una personalità atipica per un accademico della sua levatura, con una lunga lista di venti premi di prim'ordine alle spalle. Lontano, insomma, da qualsiasi posa, pomposità o costrizione. "Il premio Nobel non portato a grandi cambiamenti nella mia vita: continuo a insegnare ogni giorno, continuo a inviare le mie ricerche e continuano a rifiutarle", dice con una risatina.

Il mondo sta guardando a Card con più interesse che mai. Non solo per la cache extra del Nobel, ma per i suoi studi che hanno dimostrato, a partire dagli anni '90, che l'impatto negativo sull'occupazione di un aumento del salario minimo, se c'è, è molto più piccolo di quello che si credeva comunemente.

Un certo numero di governi su entrambe le sponde dell'Atlantico stanno lavorando molto per aumentare la base salariale e per garantire condizioni materiali di vita minime per le persone sottopagate, soprattutto nelle grandi città. È il caso della Spagna, dove in sei anni la soglia salariale è passata da 650 a 1.000 euro, in 14 mensilità. Ma non è stata solo la Spagna a farlo: il nuovo governo tedesco, una coalizione di socialdemocratici, verdi e liberali, ha accettato un aumento del 25% in ottobre, a 12 euro all'ora. E negli Stati Uniti, Joe Biden l'anno scorso ha costretto i numerosi appaltatori del governo federale a raddoppiare i salari più bassi.

Di fronte a questa valanga di aumenti in paesi in cui l'idea che l'innalzamento del minimo salariale distrugge sempre i posti di lavoro era molto radicata, Card difende la validità della conclusione a cui era giunto 30 anni fa. "Gli ultimi studi sull'aumento del salario minimo dicono fondamentalmente la stessa cosa che abbiamo scoperto molto tempo fa: che gli aumenti non hanno ancora un grande effetto sull'occupazione. Avverte, però: “anche se è evidente che non si tratti di una misura così cattiva come molti pensavano, dobbiamo essere preparati al fatto che ci sia ancora ci sostenga che è la cosa peggiore che sia mai successa e che sta inibendo la crescita dell'occupazione".

Nonostante l'incipiente inversione di tendenza nei salari più bassi, solo in alcuni paesi, molti altri rimangono ancorati alla tesi più ortodossa. Card ricorda che in Occidente le condizioni dei lavoratori "sono peggiorate moltissimo negli ultimi 40 anni, a partire dagli anni '80". E i nostri tempi, dice, non fanno eccezione: al contrario. "Negli Stati Uniti, per esempio, è vero che i salari nominali stanno aumentando. Ma l'inflazione sta crescendo ancora più velocemente, quindi il salario medio reale sta diminuendo. Questo è ciò che sta accadendo oggi”. A medio e a lungo termine, tuttavia, la demografia - un freno per l'economia - può essere un alleato dei lavoratori. "In Europa, il mercato del lavoro si ridurrà e ci sarà una carenza di dipendenti”. Un fattore che, secondo lui, può tradursi in salari più alti. "Questo, ovviamente, a condizione che altri fattori, come l'automazione, non lo rovinino”.

Nel sempre acrimonioso dibattito sul salario minimo, il tono generale è cambiato. “Quando nel 1995 Alan Krueger (morto nel 2019) e io pubblicammo la nostra ricerca (sull'impatto limitato degli aumenti salariali per i dipendenti delle catene di fast-food nel New Jersey e in Pennsylvania), non ebbe un grande successo" ride Per 15 anni, dice, l'interesse per la sua teoria fu trascurabile. "Tra il 1995 e il 2010, non è successo niente", osserva. Negli ultimi tempi, tuttavia, la discussione ha cambiato direzione. "Molti economisti hanno cambiato il loro toolkit. E la posizione stessa di questi economisti è più sicura: nessuno oggi pensa che cambieremo l'economia di mercato per il socialismo. Molti di quelli che sono entrati [nella battaglia contro l'aumento del salario minimo] l'hanno fatto per creare una posizione ideologica unitaria contro il comunismo malvagio o qualcosa del genere", aggiunge, di nuovo con una risata.

Tuttavia, Card non osa gettare la prudenza al vento: "Proprio quando dico che qualcosa sta cambiando, si torna indietro". E chiede di non mettere tutto il peso della politica pubblica sulle spalle del salario minimo. "Nella ricerca di fare qualcosa per i lavoratori meno pagati, alcuni governi potrebbero aspettarsi troppo dal salario minimo. È una misura in più da migliorare, ma non è l'unica”.

Fed e rischio di recessione

Il professore di Berkeley, vincitore del BBVA Frontiers of Knowledge Award nel 2015 -un distintivo che in tre casi è stato il preludio al premio Nobel-, dubita che il rapporto tra il salario minimo e il salario mediano che la Commissione Europea raccomanda ai suoi stati membri e che il governo spagnolo ha fissato come obiettivo -il famoso 60%- debba essere scolpito nel marmo. "Forse è solo un altro numero magico", dice. Il caso del Brasile, un paese che conosce bene e sul quale ha appena pubblicato uno studio sull'impatto della razza sui salari, lo porta a pensare che potrebbe essere più alto del 60%: anche se l'alta percentuale di lavoratori informali può distorcere qualsiasi confronto con l'Europa, gli Stati Uniti o il suo nativo Canada, “Luiz Inácio Lula da Silva l'ha portato a circa il 65% e non sembra aver avuto alcun effetto negativo".

Tuttavia, con i mercati del lavoro che si stanno riprendendo rapidamente e, soprattutto, con l'inflazione che sta facendo un sorprendente ritorno dopo molti anni di frenata, la Federal Reserve sta già puntando a tre aumenti dei tassi d’interesse quest'anno. Il primo sarà già il mese prossimo (marzo ndt). Questo spostamento, avverte Card, potrebbe finire per creare un incendio più grande di quello che intende spegnere. "Cercare di combattere l'inflazione creerà una recessione". La Fed sta andando troppo lontana, quindi, nel suo inasprimento della politica monetaria? "Non va mai troppo lontana. La politica monetaria è stata espansiva per molto tempo, dal 2009 o 2010. Ma ora, con l'inflazione, la tentazione di dover per forza fare qualcosa è troppo grande".