Il regime settario deve finire - Un’intervista sulle proteste in Iraq

26 / 11 / 2019

I manifestanti a Baghdad non sembrano volersi fermare. Anzi, sono sempre più organizzati. Dopo oltre un mese e mezzo dall’inizio delle proteste, la cui repressione ha portato ad oltre duecento o addirittura trecento morti secondo alcune fonti di informazione, un gruppo di attivisti di piazza Tahrir, cuore della capitale irachena, ha deciso di lanciare il proprio giornale. Il quotidiano di quattro pagine, che viene pubblicato in duemila copie dal 4 novembre scorso, si chiama “Tuktuk”. Un nome preso in prestito da uno dei mezzi caratteristici delle strade di Baghdad, una sorta di auto-risciò che normalmente offre servizio taxi ma che, trasportando i feriti e portando viveri ai manifestanti, si è trasformato in uno dei simboli della protesta. Il “Tuktuk” cartaceo è nato, secondo i redattori, con lo scopo di veicolare e diffondere le idee e le richieste che animano la piazza, nonché di raccontarne le storie e gli incidenti, nel resto della città e del paese.

Nel suo primo numero, la redazione ha deciso di elencare le dieci richieste da essa ritenute più pressanti, ovvero:

1) Dimissioni immediate del governo; 2) costituzione di un governo di transizione che non duri oltre tre mesi; 3) il governo di transizione non deve includere persone che abbiano legami con partiti politici né chiunque abbia servito il governo iracheno; i membri di questo governo di transizione non potranno partecipare alle future elezioni e devono pubblicamente dichiarare trasparenza, coraggio e amore per il paese; 4) riscrivere la legge elettorale in modo che i candidati corrano individualmente in collegi uninominali e siano tenuti a rispondere della loro attività, dove chi ottiene più voti viene eletto; 5) la creazione di una nuova commissione elettorale, per la quale valgano gli stessi criteri di membership del governo transizionale; 6) implementare la legislazione, in vigore ma non applicata, che richiede trasparenza nel finanziamento ai partiti e che proibisce ad ogni formazione politica di imbracciare le armi per mezzo di milizie; 7) tenere nuove elezioni sotto l’egida delle Nazioni Unite entro un mese dalla formazione del governo di transizione; 8) riformare la costituzione in modo che i livelli di governo provinciale e municipale vengano eliminati per essere sostituiti da un sistema deciso dalla volontà popolare; 9) processare urgentemente i responsabili dell’uccisione dei manifestanti e la riparazione per le famiglie delle vittime; 10) istituire una commissione giudiziaria che investighi sui beni raccolti grazie a corruzione e furto da parte di politici, ufficiali governativi e dipendenti del settore pubblico; restituzione del denaro rubato all’Erario pubblico.

A due settimane dall’inizio di questa esperienza editoriale, sono riuscito a mettermi in contatto con il giornalista iracheno Ahmed al-Sheykh Majid, uno degli autori di “Tuktuk”. Quest’ultimo ha spiegato che alla base delle proteste, oltre alla lotta alla corruzione e al carovita, c’è anche la voglia di voltare pagina rispetto alla divisione settaria – tra curdi, sciiti e sunniti – del potere e delle sue risorse. Resta da capire, ovviamente, quanto questa piattaforma rivendicativa rappresenti effettivamente la diversità della composizione delle piazze irachene.

Quali sono le cause profonde che hanno spinto gli iracheni a protestare?

Il regime in Iraq si basa su un meccanismo di saccheggio che prende il controllo di tutto e non offre niente. Tutto è soggetto alla corruzione. Inoltre, il regime si basa su una distribuzione delle risorse settaria tra i vari partiti. Ora c’è un cambiamento nella consapevolezza dei giovani, che vogliono un’identità nazionale unica che non sia soggetta all’allineamento con l’una o l’altra componente [religiosa o etnica, ndr] o alle etichette delle sub-identità. È per questo che i giovani levano lo slogan: “Vogliamo la nostra nazione”.

Dove e quando sono iniziate le manifestazioni? Perché ci sono state in alcune regioni e non in altre?

Le manifestazioni sono iniziate il primo ottobre a Baghdad e hanno affrontato la repressione del regime per poi diffondersi nelle province irachene solidali con la capitale. Il regime si è inasprito nella sua repressione delle proteste tanto da usare i cecchini, finendo per uccidere oltre 200 persone (martiri) e causando circa 6.000 feriti. La protesta è ripresa poi il 25 ottobre e non si è fermata fino ad ora. La richiesta più importante è quella delle dimissioni del governo che ha ucciso i manifestanti a sangue freddo, oltre alle riforme radicali che riguardano la legge elettorale. Questa permette ai più grandi partiti settari di dominare i processi decisionali e di non lasciare alcuna occasione ai partiti più piccoli. Oltre a ciò, si chiede il cambiamento della commissione (costituzionale) e la riforma della costituzione.

Come descrivi il movimento (di protesta) a Baghdad e soprattutto a piazza Tahrir? È variegato? Quali sono le più grandi correnti presenti nella piazza?

Il movimento di protesta non ha alcuna identità settaria, né fa riferimento ad una scuola giuridica [islamica, ndr] o a qualsiasi altra identità frammentaria. Il movimento è invece un cammino nazionale iracheno la cui identità è unicamente quella dei diritti. Coloro che sono presenti in piazza sono in disaccordo con gli allineamenti settari e con il regime settario. 

Cosa chiedete al governo e all’élite politica in generale?

Le dimissioni del governo e le riforme radicali che riguardano l’aggiustamento del percorso democratico. Vogliamo la democrazia in un sistema liberale sviluppato. Una democrazia che concede il potere ai partiti delle varie sette religiose non è una democrazia.

Che cos’è “Tuktuk”, come è nato e qual è il suo obiettivo? Chi ci scrive?

È un giornale di piazza Tahrir ed è specifico delle manifestazioni. È nato per contribuire alla diffusione di ciò che riguarda le manifestazioni e i protestanti. A scriverci sono giornalisti ed attivisti iracheni. 

Perché un giornale cartaceo come “Tuktuk” è importante nell’epoca di internet?

Perché il potere affronta le proteste oscurando internet ed isolando gli iracheni dal mondo.

Che idee esprimete tramite questo giornale?

Le idee politiche che specificano la consapevolezza protestataria, sociologica e culturale nonché articoli che parlano delle proteste in Iraq.

Come finanziate questa esperienza?

Facciamo autofinanziamento tra di noi come giovani e giornalisti della protesta.

Fino a quando continuerete la diffusione di “Tuktuk”?

Fino alla realizzazione delle richieste del movimento.

I manifestanti sono quindi determinati ad andare avanti, nonostante la brutalità della repressione nei loro confronti. Questa è stata denunciata anche dall’Alta Commissione Irachena per i Diritti dell’Uomo, che ha chiesto infatti a tutte le parti di far cessare subito la violenza e gli spargimenti di sangue. L’ente ha denunciato inoltre la violazione dei “Principi base dell’Onu sull’uso della forza e delle armi da fuoco da parte delle forze di polizia”. Queste si sarebbero rese colpevoli, secondo la commissione, di un uso eccessivo di gas in mezzo alla folla; il che avrebbe portato a diversi decessi. I sintomi provocati da questi gas, inoltre, non sarebbero quelli associati ai normali lacrimogeni, tanto che la commissione ne ha definito “allarmante” l’uso e ha chiesto di verificarne la natura. Il maggior numero di morti, tuttavia, sarebbe dovuto, sempre secondo la Commissione, all’uso di proiettili di gomma sparati all’addome e alla testa.