Il ruolo del Sudan nel processo di normalizzazione con Israele

12 / 2 / 2021

La rivoluzione del 2019 ha rappresentato un punto di discontinuità all'interno del processo di evoluzione sudanese, inaugurando una fase di rottura dal regime di Omar al-Bashir. L'incarcerazione di quest'ultimo, dovuta a motivi legati alla corruzione, segna la rottura con un regime dittatoriale sorto nel 1989, a seguito del colpo di stato contro il governo democraticamente eletto di Sadek al-Mahdi. 

A seguito di anni di isolamento internazionale il Sudan inizia ad affacciarsi sul panorama globale. Tuttavia il Paese è privo di una visione complessiva che gli consenta di trovare un proprio spazio.

La fase insurrezionale che ha concluso il secondo decennio del 21° secolo non ha portato, come molti speravano, ad un radicale ribaltamento degli equilibri interni. Ciò che ha fatto seguito a tale processo di cambiamento è stato un governo di transizione. Il quale, almeno formalmente, è tenuto a guidare il Paese nel controverso percorso di democratizzazione. Trattasi dunque di compiti legati all'amministrazione e al mantenimento delle condizioni atte ad evitare un peggioramento della situazione economica. 

Eppure, alla luce dei molteplici aspetti controversi che affliggono il Sudan, quali il peggioramento della situazione economica e l'isolamento internazionale, l'esecutivo ha avviato una serie di misure vincolanti volte ad essere durature nel tempo e finalizzate a restituire un nuovo volto al Paese. 

A tale proposito, sono diversi gli elementi in materia di relazioni internazionali che necessitano di esser presi in considerazione per comprendere il percorso di cambiamento del Paese arabo-africano. Percorso che, seppur nelle sue contraddizioni, mostra elementi singolari.

La prima componente di tale mutamento che merita di essere menzionata concerne la nuova politica internazionale inaugurata dal governo di transizione. 

Nello specifico, dopo decenni in cui il Sudan si è mostrato agli occhi degli interlocutori internazionali come uno degli Stati sostenitori del terrorismo, mediante l'accordo con gli Stati Uniti che sancisce il riconoscimento ufficiale dello stato di Israele, il Paese ha conquistato la cancellazione dalla rispettiva black-list, nella quale si trovava dal 1993. Decisione, quest'ultima, che non è avvenuta in maniera silenziosa e che anzi rappresenta la più grande discontinuità se la si considera in rapporto alla storia del Paese. Il Sudan infatti si è da sempre distinto per il suo ruolo da sostenitore della causa palestinese. 

Il coronamento di tale processo è rappresentato dalla visita ufficiale del segretario di stato americano, Mike Pompeo, a Khartoum, capitale del Sudan nonché località di alto valore simbolico per i conflitti arabo-israeliani. Fu proprio la capitale sudanese che...

Tutto questo è utile per poter immaginare la portata assai ampia di tale cambiamento. Il processo di normalizzazione, sostenuto dagli Stati Uniti e da Israele, mira ad una stabilizzazione nei rapporti geopolitici con tutti quei Paesi che fino a poco tempo fa si distinguevano per la loro vicinanza alla causa araba. Tutto ciò non va osservato da un'ottica che guardi i soli rapporti locali dei singoli paesi, bensì secondo una prospettiva che prenda in esame i rapporti continentali e, più in generale, globali. A rappresentare una fonte di alimentazione in tale situazione è il ruolo della Cina nel continente africano: in tal senso il processo di normalizzazione e di riconoscimento dello Stato di Israele è funzionale al consolidamento degli Stati Uniti sul continente africano.

L'accordo stipulato con Trump sembra rappresentare un momento di rottura dal regime islamico precedente. Tuttavia, al di là della componente governativa che si dichiara soddisfatta del lavoro svolto, sono numerosi i partiti e le forze politiche, alcune delle quali che hanno guidato l'insurrezione, a condannare la decisione assunta. Molti di questi, infatti, non si sono mai espressi sull'accordo o hanno addirittura condannato l'azione del governo di transizione; sostenendo che l'assunzione di una tale iniziativa non rientrava fra i compiti dell'esecutivo.

Il processo appena descritto non è da intendersi unicamente come atto simbolico.

Il Sudan, con la firma dell'Accordo di Abramo avvenuta il 15 settembre presso la Casa Bianca, inaugura una nuova fase di sviluppo che porterà a rilevanti conseguenze sul piano internazionale. Non è difficile dedurre che lo scenario relativo agli equilibri geopolitici sia mutato rispetto a quando il mondo arabo si dichiarava unito nel sostegno della causa palestinese. L'impressione è quindi quella che la componente ideologica che si celava alle spalle del mondo arabo sia venuta meno e che il vuoto da lei lasciato sia stato colmato da accordi internazionali di natura strumentale. Il sospetto è che il Paese africano, con una popolazione ridotta alla fame, sia in un certo senso divenuto vittima dei diktat di Trump. Secondo cui non sarebbe potuta avvenire in assenza dell'avvio del percorso di normalizzazione.

** Lorenzo Villani, classe '98, nato a Napoli, attualmente residente a Firenze. Studia Scienze Politiche presso l'Università degli studi di Firenze. Ambisce all'osservazione delle dinamiche contemporanee, del conflitto sociale e delle diseguaglianze.