Il segno dei tempi: polarizzazione più che destrificazione

21 / 12 / 2020

Un articolo di Pablo Ospina Peralta pubblicato il 1° dicembre 2020 su palabrasalvaje.com. Traduzione a cura di Emma Purgato.

Circola (e ha il suo seguito) l’interpretazione che, dopo l’”onda rosa”, stiamo assistendo ad un ciclo di destrificazione della politica e della società latino-americana. I governi di sinistra o centrosinistra sono stati rovesciati fraudolentemente (Dilma ed Evo), traditi (Correa) o sostituiti democraticamente (Cristina e Tabaré Vázquez) da governi neoliberali.

Come un pendolo, la politica latino-americana oscilla e si muove tra un estremo e l’altro. Le vittorie di Luis Arce in Bolivia, di Alberto Fernàndez in Argentina o di Lòpez Obrador in Messico; così come le resistenze “eroiche” di Daniel Ortega e Nicolàs Maduro di fronte all’aggressione imperialista e alla guerra economica, hanno fatto esclamare a diversi analisti che l’oscillazione del pendolo è meno chiara. Il pendolo sembra lievitare a volte a sinistra, sfidando la forza di gravità; così come una decina di anni fa lievitava a destra in Colombia o in Perù, quando l’onda progressista si è diffusa.

La metafora delle “onde” o delle “oscillazioni” a sinistra e a destra non ci servono per capire cosa sta succedendo, ma non perché queste non esistano. Ciò che accade è che non si spostano a destra e a sinistra. L’oscillazione che ci interessa per comprendere la situazione dura da più tempo. Ed è mondiale, non latino-americana. Stiamo vivendo una ristrutturazione del capitalismo a livello globale, che si caratterizza per il caos geopolitico, l’incertezza economica e culturale, l’assenza di qualsiasi capacità di regolare stabilmente i flussi economici e la tendenza al crollo del tasso di profitto e del commercio mondiale. Non sono un esperto di questi temi, ma la miglior spiegazione che ho letto rispetto a ciò è quella di Giovanni Arrighi, che sostiene che l’attuale ciclo di caos e disordine globale sia iniziato a metà degli anni ’70, e che ricorra storicamente nel capitalismo mondiale. Questa fase preannuncia la fine dell’egemonia nordamericana sul sistema mondiale (e quindi dell’ordine che essa comporta), dei suoi sistemi aziendali e delle sue forme statali di regolamentazione[1].

Il meccanismo di polarizzazione

Qualunque sia l’origine del caos che ci circonda, ciò che si è impossessato del mondo e dei suoi abitanti è la paura. L’incertezza, la mancanza di fiducia nel futuro, il deteriorarsi di qualsiasi sicurezza economica e sociale, il pericolo impellente della mobilità verso il basso, alimentano interpretazioni cospiratorie, il disagio culturale e civile, e le mire catastrofiche. L’ecatombe del coronavirus non fa altro che avvallare un percorso già in atto. Un ambiente politico e culturale del genere è ricettivo verso qualsiasi progetto politico che proponga un altro tipo di ordine e una sicurezza rinnovata. 

Ciò a cui assistiamo a livello globale, e in America Latina, è una disputa sempre più aspra, che si svolge in scenari diversi, per la progettazione di un ordine alternativo al caos che ci circonda. Le migrazioni accadono da secoli, ed è difficile ipotizzare che ci sia stata un’intensificazione negli ultimi anni, quando abbiamo assistito ad ondate di migrazioni di massa alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX. Tuttavia, nel contesto attuale, sono diventate il capro espiatorio perfetto per la paura crescente e il fulcro del discorso di coloro che propongono ordine nel mezzo del disordine. Sono state il principale strumento politico delle destre in Europa e negli Stati Uniti. Ma non l’unico.

Anche la globalizzazione del capitale è stata combattuta e trasformata in nemica della sicurezza personale, non solo da diverse destre, ma anche dalle sinistre. Così come le “ideologie di genere”, che attaccano la cellula di base della cura e della solidarietà, ovvero la famiglia, sono servite come controparte per raccogliere e centralizzare le energie distillate dal malcontento per il disordine vigente. 

Il contesto globale di incertezza, timore e insicurezza economica, sociale e culturale, è ciò che ha fatto aumentare il numero di orecchie ricettive alle profezie radicali. Sia a sinistra che a destra. Questa è la polarizzazione. I vecchi sistemi politici e le sgangherate strutture dei partiti che erano emersi nel periodo precedente del capitalismo hanno sussultato in quest’epoca incerta, e molti hanno ceduto, aumentando così l’incertezza. Le prediche radicali si possono manifestare sotto forma di movimenti politici più o meno centralizzati che si sfidano ai seggi elettorali, o possono prendere la forma di mobilitazioni più o meno inorganiche di protesta, come entrambe le opzioni, in proporzioni differenti. Sono i contesti nazionali e locali, caratterizzati da distinte strutture sociali e traiettorie storiche particolari, a determinare quanto saranno ascoltati i diversi “poli” delle soluzioni al disordine proposte, e il livello di centralizzazione o di espressione elettorale che possono acquisire.

Non è il “pendolo” che oscilla a destra e a sinistra, sono i progetti politici che propongono soluzioni a spostarsi da un lato all’altro. Non esiste alcuna tendenza nel loro apparente successo, salvo quella che deriva dalla massima generale che dice che chi si schiera dalla parte del potere politico ed economico del capitale ha sempre più opportunità, rispetto a chi lo mette in discussione. 

In Colombia e in Perù, prima e durante l’”onda rosa”, Álvaro Uribe e Alberto Fujimori furono in grado di capitalizzare la polarizzazione perché riuscirono a fabbricare un “asse di polarità” collante attorno alla guerra civile interna. Invece di girare intorno al neoliberismo, in questi due paesi la polarizzazione fu ricondotta allo scontro nella guerra interna. L’”ordine” venne identificato nello scontro a fuoco contro le guerriglie, mentre queste si trasformarono con successo nell’identità del disordine, il crimine, l’incertezza e l’instabilità. La “destrificazione” in questi paesi non ha avuto bisogno della migrazione, anche se avrebbe potuto usarla.

Nei paesi andini in cui hanno trionfato, i governi progressisti sono riusciti ad ottenere che il disordine e l’incertezza si identificassero nel modello economico neoliberale. La linea di frattura che sono riusciti a istituire è stata chiaramente a sinistra. Senza dubbio, nei progetti economici e politici che stanno portando avanti a partire da questa concentrazione di potere non si intravede nessuna economia alternativa. Daniel Ortega e Nicolàs Maduro rappresentano due estremi nell’emergere di nuove élite tanto marce e perverse quanto quelle che sostituiscono. Ortega ha poco da invidiare al somocismo che imita, come Maduro alla corruzione di Punto Fijo che sostituisce.

Senza arrivare a tali estremi di degenerazione, il correismo in Ecuador e l’evismo in Bolivia sono giunti al termine esprimendo a modo loro le lotte delle nuove élite che utilizzano lo Stato per imporsi, e che tentano di addomesticare i movimenti sociali che una volta le guardavano speranzosi. Mentre in Ecuador questi movimenti sociali si sono prontamente distanziati dal correismo ed hanno cercato di costituire una propria “polarità”, in Bolivia la maggior parte è rimasta nell’orbita del Movimiento al Socialismo, lottando per l’autonomia. Per la “destrificazione” dei progressismi non è stato necessario un cambio di governo: è bastato che lo spazio di autonomia statale aperto dall’aumento dei prezzi delle materie prime evaporasse perché i tentativi più o meno timidi di eterodossia economica cedessero il posto alle politiche perfettamente ortodosse di Dilma Roussef, Alberto Fernández o Nicolás Maduro.

Perché polarizzazione?

Nell’azione politica, la polarizzazione è molto frequente e generalizzata come strategia di crescita e consolidamento. Qualsiasi politico deve presentarsi come unica alternativa al disastro di chi lo ha preceduto. Il bipartitismo che ha predominato in quasi tutta l’Europa dal dopoguerra, o che ancora oggi predomina negli Stati Uniti, è stato forgiato su un tipo di polarità che escludeva o limitava le terze opzioni. Ritirare l’appoggio al PSOE equivaleva ad assicurare la vittoria del PP e viceversa. La nota teoria di Ernesto Laclau su “l’aggregazione discorsiva di domande” è la formalizzazione, in chiave del cambiamento linguistico, di questa efficace formula politica[2].

Cosa ci offre di diverso questo vago termine, per comprendere l’epoca attuale? In questi tempi incerti, il vecchio ordine è stato screditato, e sono aumentate le opportunità per chi vi si oppone. La polarità si sposta attraversando tutto il sistema. Che il suo titolo “anti sistemico” sia vero o figurato, la politica attuale si situa al di fuori delle polarità precedenti. Bisogna costruire una (o varie) nuove polarità per capitalizzare il malcontento, l’ira, l’indignazione di fronte all’ambiente di chiusura e smarrimento, di cui si da la colpa al sistema nella sua interezza. Quest’intenzione esisteva già da prima, ma non ha avuto lo stesso esito. Non è la strategia politica ad essere cambiata, ma l’ambiente di ricezione: è il contorno sociale ad essere in crisi e legittimare l’utilizzo del termine per descrivere lo spirito del tempo. La polarizzazione sociale si esprime (o non lo fa) politicamente.

Gli Stati Uniti sono probabilmente il paese in cui la polarizzazione si presenta nella sua forma più pura, tanto nella scena sociale quanto nel sistema politico. Un ciclo ascendente di mobilitazioni sociali iniziato nel 2008 convive con una tendenza al rafforzamento di settori ultraconservatori che hanno colonizzato il partito Repubblicano. La polarizzazione sociale non riesce tuttavia a penetrare il sistema di partiti in entrambi i poli con lo stesso esito. Mentre ciò che Trump simbolizza ha occupato durevolmente lo spazio repubblicano, non è successo nulla di analogo tra i democratici. Il caso del Regno Unito mostra come le strategie di polarizzazione delle destre attorno alla Brexit abbiano avuto molto più successo rispetto agli sforzi di Jeremy Corbyn per riposizionare l’asse di polarità attorno alla tensione per l’uguaglianza economica. Parafrasando Perry Anderson, è sempre più probabile che vinca il sistema[3].

In Cile, nel corso degli anni le rimostranze per il successo incontestato del neoliberismo si sono accumulate fuori dal sistema partitico, e si sono espresse sotto forma di astensione e disincanto. Il ciclo ascendente di mobilitazione sociale ha visto come protagonisti principali le vittime del sistema, coloro che erano considerati i più apatici e maggiormente plasmati dall’egemonia culturale del consumismo: la nuova generazione di giovani. Lo scoppio delle rivolte nell'ottobre 2019 è stato preceduto da alcuni segni di ribaltamento del potente sistema di partiti, il cui monopolio si è incrinato definitivamente. È chiaro come l’accumularsi e il conseguente sfogo del malcontento sociale contro tutto il sistema politico e l’esclusione economica abbia creato un “polo” sociale che manca di un’espressione elettorale. Il caso cileno esemplifica quindi, per ragioni radicate nella traiettoria storica del suo sistema politico, una variante della polarizzazione che non necessita della cristallizzazione dei “poli” nel sistema politico. La dispersione politica potrebbe impedire a nuovi attori di impossessarsi della polarizzazione dal basso. Tuttavia, è evidente come tutti gli attori politici, vecchi e nuovi, stiano ricalibrando le loro strategie rispetto al nuovo scenario di polarizzazione e cercando di capitalizzarlo. 

In Ecuador, la gigantesca mobilitazione popolare e indigena di ottobre 2019 contro un pacchetto di misure economiche di rettifica fiscale che eliminava i sussidi ai combustibili, guidata dalla Confederazione di Nazionalità Indigene dell’Ecuador (CONAIE), ha permesso di contestare la polarità attorno all’opposizione al modello economico, egemonizzata fino ad allora dalla contesa tra il correismo e la destra aziendale. Mentre il governo e la destra, nel momento decisivo di ottobre, hanno preteso di convertirla in una disputa contro il correismo, quest'ultimo invece ha voluto trasformarla in un’operazione per spodestare il presidente Moreno. Da parte sua, la CONAIE è riuscita a condurre politicamente l’episodio dal suo inizio nelle strade, fino alla negoziazione finale di fronte alle telecamere. Prima del 7 febbraio 2021, lo scenario elettorale si presenta come un panorama incerto con tre opzioni di candidati: quello della destra aziendale, quello correista e quello della CONAIE. Il cambiamento politico del correismo in ottobre apre la precaria opportunità di mobilitare la polarizzazione verso la costruzione non più di un progetto personalista, ma invece di un progetto alternativo centrato nella più grande organizzazione popolare in Ecuador.

Questi brevi esempi vogliono mettere in risalto l’utilità del concetto di polarizzazione per comprendere il clima mondiale e regionale che stiamo vivendo. Sono sempre le condizioni storiche particolari di ogni paese a permettere di comprendere le ragioni per cui il contesto mondiale, che spinge verso la polarizzazione, si manifesta in un modo piuttosto che in un altro, si intensifica o si modera. Perché il bolsonarismo non mette radici in Uruguay, in Argentina o in Ecuador, dove le destre dominanti continuano ad essere abbastanza tradizionali? Perché la polarizzazione sociale si esprime elettoralmente con più facilità in alcuni paesi, piuttosto che in altri? Perché la coesione organizzativa è quasi sempre più difficile a sinistra rispetto a destra, ma a volte sono le destre le più divise?

Per concludere, serve un’analogia storica per mettere in chiaro un ultimo punto: la polarizzazione rende più difficile il lavoro delle opzioni moderate di centro, ma in nessun caso le elimina. Un’epoca di polarizzazione simile avvenne in Europa negli anni ’20 e ’30. Il Fascismo e il Comunismo erano i poli più evidenti nel contesto anti-sistemico che si era creato grazie alla fine dell’egemonia mondiale britannica. Non fu una polarizzazione uniforme, e non si espresse allo stesso modo in tutti i Paesi. Alla fine, contro ogni pronostico, prevalse la soluzione “di centro”: emerse uno Stato del Benessere ispirato tanto dalle esigenze socialdemocratiche e operaie, quanto dalle esperienze democristiane tributarie dell’enciclica Rerum Novarum. Non è da escludere a priori la possibilità di un percorso analogo nella situazione attuale.

È tuttavia certo che lo scenario di polarizzazione amplia il ventaglio di possibilità di accumulare forze in favore di cambiamenti radicali in un contesto di ordine sociale debilitato. Gli equilibri delle forze all’interno di ogni paese, nati a loro volta da percorsi storici passati e strutture sociali particolari, definiranno chi li potrà capitalizzare e chi invece sarà cacciato. Ad avere un peso sul risultato finale saranno anche l’intelligenza strategica dei gruppi sociali organizzati, e la capacità di centralizzazione politica di ognuno di loro.

Rimanere attaccati a progetti politici screditati e indesiderabili, come le esperienze venezuelana o nicaraguense, non aiuta i movimenti sociali latinoamericani. Li aiuta e gli conviene costruire un’autonomia che cementi, con il fango della loro storia, progetti alternativi che non dipendano da condottieri volubili, nuove élite corrotte né giocatori presi in prestito.

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Note:

[1] Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo: denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore, Milano, 1996, 1999 e 2014; 

[2] Ernesto Laclau, La ragione populista, Roma-Bari, Laterza, 2008. Altri autori preferiscono usare il termine “antagonismo” al posto di polarizzazione. Subalternidad, antagonismo, autonomía: marxismos y subjetivación política. Buenos Aires: Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales – CLACSO / Prometeo Libros. 

[3] Perry Anderson 2017. Why the system will still win. In Le Monde Diplomatique. Marzo. Disponibile su http://mondediplo.com/2017/03/02brexit