Il Tren Maya, testimonianze della Carovana nel Sureste del México Profundo

Carovana por el Mexico Profundo. Prima parte: Penisola dello Yucatan

22 / 8 / 2022

Le prime tappe della carovana dei Centri Sociali del Nordest e dell’associazione Ya Basta! Êdî Bese! hanno attraversato il territorio della Penisola dello Yucatan. 

Vallodolid (Yucatan)

Merida (Yucatan)

Felipe Carrillo Puerto (Quintana Roo)

Xpujil (Campeche)

La devastazione delle grandi opere (mega proyectos) si tocca con mano passando per questi Stati. Le infrastrutture che vengono imposte non hanno alcuna utilità per i popoli che abitano queste zone ma sono volte all’incremento dell’industria del turismo massivo, del commercio internazionale e della produzione di energia. Tutto questo voluto dallo Stato messicano e in molti casi manovrato dai cartelli del narcotraffico.

In pochi decenni migliaia di ettari di selva e di suolo sono stati distrutti, espropriati e inquinati dagli allevamenti intensivi e dalle monoculture. Le falde acquifere contano ad oggi solo il 30% di acqua non contaminata. Sempre più si stanno manifestando patologie dell’apparato gastro intestinale sulle bambine e i bambini. La sanità non è in grado di affrontare tutte le problematiche e le cure che vengono offerte sono spesso dei meri palliativi che producono ulteriori disagi.

A questo si unisce la grande migrazione verso le città di chi si trova senza terra, e va così ad ingrossare le fila del proletariato urbano. Le donne e le soggettività non etero normate costituiscono la parte più colpita della popolazione, di fatto espropriate del bene (la terra) che in molti casi costituisce l’unica possibilità di vivere degnamente e autodeterminarsi nel proprio territorio.

L’aumento della violenza ha numeri vertiginosi, in Messico si consumano undici femminicidi al giorno; anche in città come Valladolid, le donne di Casa Colibrì – Centro Cultural sottolineano che in concomitanza dell’inizio dei lavori per il Tren Maya1 la violenza di genere ha visto episodi sempre più frequenti per la presenza massiccia di operai arrivati in loco per lavorare nei cantieri.

Facciamo un passo indietro, quali sono le grandi opere di cui stiamo parlando?

Non si può che iniziare questo triste elenco dalla più famosa e discussa, il Tren Maya.

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Questa grande opera secondo il progetto governativo ha lo scopo di collegare Cancun e il Caribe alla zona turistica di Palenque (Chiapas) attraverso un’arteria di trasporto su rotaia. Il treno avrebbe la funzione di collegare questi due poli per consentire lo sviluppo omogeneo dell’indotto economico attualmente concentrato sulla costa e garantire il rapido trasporto del turismo massivo sino al famoso sito archeologico.

La grande opera, che diversi governi hanno tentato di promuovere ma che solo con l’attuale presidenza di Amlo ha trovato il definitivo impulso alla realizzazione, è stata da poco dichiarata di interesse nazionale e ha comportato l’ulteriore aumento della militarizzazione delle aree interessate - che coinvolge centinaia di chilometri - anche a causa della pratica che vede l’assegnazione diretta della gestione dei cantieri e degli introiti all’esercito. Il portato dell’opera va però ben al di là del mero treno e delle sue ripercussioni sull’ecosistema e innescherebbe una catena di interessi e speculazioni che costituiscono una preoccupazione altrettanto centrale per le comunità interessate.

Attorno al progetto ruota un corollario di “centri di sviluppo”, i quali dovrebbero dare l’impulso allo sviluppo economico dell’intera penisola, ovviamente secondo il paradigma capitalista. A questo proposito grandi porzioni degli ejidos (terreni agricoli comuni), attraverso la pratica degli espropri, sono stati destinati all’installazione di parchi eolici e solari, cavallo di battaglia del capitalismo verde contemporaneo. Oltre all’impatto ecologico sul fragile ecosistema della penisola dello Yucatan, l’energia prodotta viene indirizzata alla produzione industriale ed al comparto turistico lasciando le comunità senza fornitura elettrica o costringendole a far fronte a prezzi insostenibili. Si disvela così l’ipocrisia della narrazione governativa che presenta questi progetti come l’impulso che dovrebbe guidare le comunità verso un ridente sviluppo mentre nella pratica peggiora le condizioni materiali della popolazione.

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Queste preoccupazioni ci sono state espresse durante il primo incontro ufficiale della carovana, nella città di Merida (Yucatan), nel quale le organizzazioni della zona e i collettivi femministi hanno evidenziato la marginalizzazione della popolazione a fronte dello sviluppo elitario che interessa la penisola.

Una strategia per la tutela delle comunità e dell’equilibrio sociale è la difesa della cultura indigena e del suo retaggio storico e culturale che va di pari passo con la preservazione del patrimonio ambientale. Questo tema è stato al centro del secondo incontro della carovana svoltosi al Centro Comunitario U kúuchil k Ch’i’ibalo’on a Felipe Carrillo Puerto (Quintana Roo). Le compagne e i compagni dello spazio pongono al centro la salute comunitaria e hanno condiviso la strategia che si declina attraverso differenti modalità, dalla cura collettiva e la difesa del territorio al recupero della memoria storica della persecuzione della popolazione Maya. Lo Stato messicano, infatti, perpetra con forme di oppressione contemporanea il genocidio avviato alla fine del XIX secolo. 

Un sintomo evidente è l’aumento esponenziale della violenza quotidiana in contesti storicamente pacifici. Questa si esprime attraverso la militarizzazione dei territori, con l’esercito presente nelle comunità e impiegato in funzioni civili per veicolare una percezione di sicurezza che collide con la realtà dei fatti e la presenza autoritaria di una forza armata in contesti comunitari.

A questo proposito infatti l’implementazione delle forze armate non ha mai tentato di arrestare la diffusione delle narcomafie attirate nella penisola dalle possibilità di guadagno e speculazione favorite dallo sviluppo del turismo massivo. Aumentano quindi vertiginosamente le sparizioni forzate, gli omicidi, le minacce e le estorsioni ai piccoli commercianti.

La stessa testimonianza ci è stata restituita dalle compagne e compagni del CRIPX (Consejo Regional Indigena y Popular de Xpujil, Campeche) nel terzo incontro della carovana. 

L’organizzazione ha posto l’accento sulle conseguenze ambientali e sociali della costruzione del Tren Maya, in particolar modo il destino a cui verrebbero relegate le popolazioni indigene in un’economia turistica che richiede principalmente una buona conoscenza di spagnolo e inglese, requisito che le relegherebbe ai margini costringendole ad accettare lavori degradanti e mal retribuiti.

Un quadro chiaro di un nemico subdolo e strisciante che corrompe le coscienze e distrugge il tessuto sociale al quale questa carovana vuole opporre l’unita e la coesione che passa per l’articolazione delle lotte particolari e la consapevolezza che dal basso e a sinistra è possibile resistere e vincere.

1 "mal llamado Tren Maya"