In Chiapas è caccia al migrante: il governo disposto a tutto per fermare l’esodo verso gli Stati Uniti

4 / 9 / 2021

Dopo mesi di tranquillità apparente è riesplosa la settimana scorsa la drammatica questione migrante in Messico: nel giro di pochi giorni tre carovane, composte in totale da circa due mila persone, si sono messe in viaggio sperando di poter raggiungere la frontiera nord. Sulla loro strada hanno però trovato tutta l’inflessibilità dello Stato messicano, disposto a tutto per fermare l’esodo.

Se in un primo momento le carovane hanno potuto circolare indisturbate, con il passare delle ore le forze di sicurezza si sono organizzate, hanno teso imboscate, hanno eseguito retate, utilizzando in molti casi anche la violenza e le intimidazioni, sia contro i migranti, sia contro i difensori dei diritti umani che le accompagnavano e sia contro i giornalisti, quasi tutti free lance, che documentavano gli eventi.

La prima carovana

Come già raccontato in un articolo precedente, la prima carovana è partita sabato 28 agosto da Tapachula, quando almeno ottocento persone si sono messe in cammino. Il primo scontro con la Guardia Nacional, l’esercito e i funzionari della “Migración” è avvenuto dopo trenta chilometri, nei pressi di Huehuetán: le immagini della violenta detenzione di alcuni migranti hanno fatto il giro del mondo, portando all’attenzione generale il dramma vissuto da migliaia di persone a Tapachula. Con questa azione le forze di sicurezza sono riuscite a detenere un centinaio di persone, mentre la maggioranza è riuscita rompere l’accerchiamento e a proseguire il viaggio fino a Huixtla. Il lunedì successivo, la carovana è arrivata a Mapastepec senza particolari problemi, anche grazie all’accompagnamento della Comisión Nacional de Derechos Humanos.

A Mapastepec, mentre i “reduci” riposavano dopo tre giorni di cammino e oltre cento chilometri percorsi, la prima retata della Guardia Nacional ha avuto come risultato l’arresto, e la conseguente deportazione, di un centinaio di migranti, provocando di fatto la dissoluzione di questa prima carovana: chi non è stato fermato, o ha preferito desistere, o ha continuato in piccoli gruppi verso nord, facendo, per il momento perdere le proprie tracce.

La seconda carovana

Lunedì 30 agosto è partita la seconda carovana. Composta come la precedente in prevalenza da richiedenti asilo haitiani, ha visto partecipare circa seicento persone. I primi chilometri sono trascorsi tranquilli, con la Guardia Nacional e la “Migración” che si sono limitate ad osservarli da lontano. La notizia della retata in corso a Mapastepec ha messo in allarme questa seconda carovana che la notte ha preferito continuare il viaggio invece di riposare per sperare di ricongiungersi al primo gruppo il prima possibile. Timori fondati, perché all’arrivo a Mapastepec all’alba del primo settembre, sono stati accolti ancora una volta dagli uomini in divisa che hanno approfittato della stanchezza dei migranti per compiere una seconda retata. Con l’arresto di un altro centinaio di migranti anche questa seconda carovana è stata dissolta dalle forze armate.

La terza carovana

Sempre il primo settembre, è partita la terza carovana da Tapachula, composta da circa cinquecento persone. Questo terzo gruppo ha potuto camminare senza problemi fino a Huixtla dove si è riposato la prima notte. Il giorno seguente, a meno di cinque chilometri da Escuintla, cinquecento agenti sono stati impegnati nella retata che ha dissolto la terza carovana. In un crescendo di forze impiegate e di violazioni dei diritti umani, gli uomini in divisa hanno prima bloccato il passo alla carovana e in seguito dato la caccia ai migranti fuggitivi nelle piantagioni ai bordi della strada al grido di “valieron verga” (“non valgono un cazzo”) e negli hotel di Escuintla dove intere famiglie si erano rifugiate sperando di scappare alla deportazione. In questa terza retata, sono stati aggrediti e minacciati anche giornalisti e difensori dei diritti umani che hanno denunciato l’uso sproporzionato della forza da parte degli agenti dello stato. Con questa grande operazione militare anche la terza carovana è stata dissolta, imponendo la “legge di AMLO”, che a più riprese in questi giorni ha dichiarato che «faremo ciò che è necessario perché [i migranti] rimangano nel sudest del paese», aggiungendo poi che permettere che arrivino alla frontiera nord è mettere a rischio la loro sicurezza, oppure che i blocchi sono stati disposti per «evitare violazioni dei diritti umani».

Tapachula, la città carcere.

Questa nuova “crisi migratoria” nasce dall’insofferenza e dalla rabbia dei migranti, in particolare di quelli di origine haitiana, bloccati da mesi a Tapachula in attesa di una risposta alle loro richieste di asilo politico e senza nessuna speranza di vedere sbloccata la situazione nel breve periodo. Con la riapertura delle frontiere avvenuta a inizio 2021 è ricominciato il flusso migrante verso gli Stati Uniti, in particolare dei migranti da Haiti, colpita negli ultimi mesi dall’aggravamento della crisi politica e da un nuovo devastante terremoto. Tapachula è una città di trecento mila abitanti che “ospita” circa centoventicinque mila migranti in transito, un numero considerevole se rapportato agli abitanti. Le risposte delle autorità alle domande di asilo o di permessi temporanei può arrivare anche un anno dopo e nel frattempo i migranti sono abbandonati al loro destino, senza possibilità di lasciare questa città che non offre né strutture né possibilità lavorative che consentano ai migranti e alle loro famiglie di sopravvivere nell’attesa. Senza alcuna possibilità, con il rischio di finire in qualche retata ed essere deportato o di cadere in mano alla criminalità, ai migranti non è rimasta molta scelta se non quella di provare a forzare il “muro di AMLO”.

La mano dura di López Obrador ha di nuovo fermato l’esodo verso gli Stati Uniti, tenendo fede agli impegni presi con Trump e confermati con Biden. Retate, violenze su uomini, donne e bambini, nuclei familiari separati, intimidazioni ad attivisti e giornalisti, deportazioni e abbandono sono le risposte che la cosiddetta “quarta trasformazione” sta dando a migliaia di persone, sacrificate sull’altare di accordi politici razzisti che ledono i diritti umani e la dignità delle persone. Ma nonostante questa (non) risposta, Tapachula rimane una pentola a pressione e altre carovane partiranno: già sabato 4 settembre, infatti, potrebbe partire una nuova carovana composta da oltre due mila persone. Perché, per chi vive la sofferenza dell’essere migrante in Messico non c’è propaganda sui diritti umani che tenga, non c’è, nella realtà, nessun programma di governo che permetta di costruirsi una vita nella città-carcere, non c’è alcuna speranza di sopravvivere in quell’inferno. Rimane una sola cosa da fare: camminare.