In Colombia un nuovo mondo in costruzione

21 / 6 / 2021

«Il vecchio mondo muore, il nuovo mondo nasce. E i popoli si organizzano per costruire il potere degli oppressi».

Le rivolte che in questi ultimi due anni stanno interessando il continente latinoamericano hanno messo in luce alcuni aspetti interessanti e innovativi nell’organizzazione delle lotte anticapitaliste. Se da una parte la violenza del sistema per mantenere il controllo del potere e dei privilegi dei los de arriba si è intensificata, dall’altra parte le resistenze desde abajo, abbandonando le storiche forme di rappresentanza politica, si sono aperte a nuovi modi, liberi ed autonomi, di lotta, di organizzazione e di stare insieme. Che a tutti gli effetti sono nuovi mondi in costruzione.

Cile, Ecuador, Colombia e in parte anche Bolivia, dimostrano come le vecchie forme di rappresentanza di partiti, sindacati e perfino movimenti, sono in crisi proprio come il sistema capitalista, e sono superate a sinistra da forme di auto organizzazione e mutuo aiuto popolari, nate durante quelli che vengono chiamati “estallidos sociales”. Il motivo principale è l’esigenza di organizzare la resistenza nelle strade e garantire ai manifestanti la difesa durante le manifestazioni, un piatto caldo nei momenti di riposo, l’assistenza sanitaria e legale in caso di ferimento o di arresto arbitrario da parte di autorità sempre più repressive. Questi spazi, fisici e politici, sono totalmente ingovernabili e liberi, hanno un’autonomia decisionale derivante dalle assemblee che legittimano e difendono le scelte comuni prese e si alimentano, da una parte dalla rabbia generata dalla violenza del sistema e dall’altra dalla capacità di coinvolgere coloro che sono scesi in piazza attraverso una solidarietà di classe che garantisce, a chi decide di aderire, la certezza di non esser lasciato mai solo.

Il principale strumento del nuovo potere popolare sono le assemblee comunitarie. Nell’intervista all’attivista Dario Vega abbiamo letto come una struttura consolidata come il Comité Nacional del Paro sia stata fondamentalmente cooptata dal sistema, sia scesa a compromessi con il governo genocida di Duque e i suoi rappresentanti abbiano annunciato la fine del paro per mire elettorali e senza consultare la base popolare che sta facendo vivere lo sciopero rischiando direttamente in prima persona. Proprio per questo motivo è nata la Asamblea Nacional Popular, con l’obiettivo di articolare la protesta sociale e difendere il paro dagli interessi individuali perché “el paro es del pueblo”. Le assemblee popolari sono diventate quindi lo strumento decisionale di chi resiste nelle strade, senza padroni e senza leader.

La loro genesi trae sicuramente ispirazione dai cabildos e dalle forme assembleari comunitarie e indigene, ma un ruolo importante lo ha giocato la crescente sfiducia nei governi e nei partiti politici, siano essi conservatori o progressisti: se da una parte abbiamo governi e partiti, i primi, autoritari e sempre più repressivi, dall’altra parte, i secondi, non sembrano aver interesse né scelta nel perseguire politiche differenti, imitando le prime in chiave sicuramente meno rigorose, ma dagli effetti altrettanto devastanti. Le tante contraddizioni in tema di lavoro, diritti civili, ambiente, migrazioni hanno finito per far perdere fiducia alla popolazione sulla reale capacità di cambiare il sistema attraverso il meccanismo della delega elettorale.

Così, in questi mesi di estallidos, abbiamo assistito alla forza prorompente delle manifestazioni convocate dal basso, senza alcun leader o dirigente di partito capace di governare le masse scese in piazza. Manifestazioni che se in un primo momento sono convocate da strutture politiche tradizionali, come i sindacati o i partiti politici in risposta a una determinata riforma, come successo in Colombia, finiscono poi per continuare scavalcando le decisioni degli organizzatori iniziali.

In Colombia, il Comité Nacional del Paro, ha smesso ben presto di essere il riferimento delle proteste perché in molti non si sono più sentiti rappresentati e hanno cercato nuovi modi di organizzare la protesta nelle strade. Proprio in questi giorni il Comité Nacional del Paro infatti ha chiesto di sospendere i blocchi in tutto il paese ma l’appello è caduto nel vuoto e tantissime resistenze da Medellin a Cali, da Bogotà a Bucaramanga hanno deciso di continuare il paro.

Anche la lucha callejera ha costruito forme diverse di stare in piazza: soprattutto in Colombia stiamo assistendo a parate artistiche, culturali, a vere e proprie feste popolari che il più delle volte sono interrotte dall’intervento totalmente sproporzionato e violento della forza pubblica. Sono loro infatti che provocano le violenze e la reazione dei manifestanti che sono costretti a difendersi. La violenza, soprattutto verso strutture e simboli del capitalismo, è spesso rifiutata dagli stessi manifestanti che però non hanno nessun problema a individuare nelle forze armate i responsabili della violenza strutturale sia sui corpi in lotta sia sui beni comuni. Così facendo, gli incendi ai CAI della polizia, per esempio, vengono rivendicati in quanto risposta popolare alla violenza perpetuata dalla polizia nei confronti dei manifestanti.

Le manifestazioni indette in questi mesi sono eventi nella maggior parte pacifici comprendendo spesso giovani, donne, famiglie intere con bambini. Nonostante questo, la repressione si è sempre abbattuta con brutale ferocia. Per questo è nata la necessità di difendere la libertà di manifestare e sono sorte quindi le “primeras lineas”. Le ragazze e i ragazzi che le compongono sono diventati fondamentali per poter manifestare: le leggi repressive, incentivate anche dalle leggi contro gli assembramenti durante la pandemia, infatti, hanno dato ai governi una scusa ulteriore per impedire le legittime manifestazioni di protesta e intervenire col pugno di ferro.

L’organizzazione dal basso di queste manifestazioni, come visto in Cile e in Colombia, ha visto nascere poi le importantissime esperienze delle brigate sanitarie. La durissima repressione messa in atto dai governi ha fatto si che ogni espressione di dissenso sia colpita in modo crudele dalle forze armate e senza il lavoro volontario, e pericoloso, di centinaia di attiviste e attivisti i già drammatici dati su feriti e vittime sarebbero superiori. Sono moltissime infatti le vite salvate grazie al loro intervento tempestivo, considerato che spesso sono le stesse forze armate a impedire l’arrivo dei soccorsi ufficiali.

A fianco delle brigate sanitarie, è diventato fondamentale il lavoro dei difensori dei diritti umani: in cinquanta giorni di paro nacional, sono oltre 3000 le persone arrestate arbitrariamente, inseguite fin dentro le proprie abitazioni, torturate, abusate e private della libertà. In Cile, ci sono ancora centinaia di attiviste e attiviste chiusi in carcere ingiustamente dall’ottobre 2019, senza che si intraveda all’orizzonte la possibilità di una liberazione. Grazie a loro la società civile ha la possibilità di sapere quante sono le persone arrestate, quelle uccise, quelle che hanno subito violenze di genere, quelle scomparse e attivarsi per denunciare alla comunità internazionale il terrorismo di Stato.

C’è stata poi l’importante diffusione delle cosiddette “ollas populares”, letteralmente le “pentole popolari”. Le ollas popolares si sono diffuse anche a seguito della pandemia che ha provocato un aumento drammatico della povertà in tutto il continente e sono state la modalità con la quale le comunità dei los de abajo hanno affrontato sia le conseguenze della crisi sanitaria globale, sia l’organizzazione delle lunghissime proteste popolari. Le ollas populares sono spesso spazi pubblici occupati, come lo spazio umanitario itinerante “Al calor de la olla” a Bogotá e per questo sono altrettanto spesso attaccate dalle forze armate che intervengono per sgomberarle.

Infine, gli spazi liberati. Plaza de la Dignidad a Santiago del Cile, Portal de la Resistencia a Bogotá o Puerto Resistencia a Cali ci raccontano di nuovi mondi in costruzione e della necessità di riscrivere la storia dal basso: dove il colonialismo ha messo statue di genocidi, Baquedano, Colombo e compagnia, a ricordare la nascita violenta degli Stati coloniali, le attiviste e gli attivisti latinoamericani costruiscono reti di solidarietà e, riappropriandosi di quelle statue colorandole, dileggiandole, abbattendole mettono al giusto posto nella storia quei sanguinari conquistatori.

La Wipala o la Wenüfoye che sventolano in faccia al general Baquedano in Plaza de la Dignidad, il già citato spazio umanitario itinerante “Al calor de la Olla” a Portal Resistencia o il monumento “Resiste” inaugurato recentemente a Puerto Resistencia simboleggiano la costruzione di nuovi mondi proprio dove il sistema capitalista ha espresso tutta la sua violenza e crudeltà. Sono simboli vivi che ci parlano di come dalle rovine di una civiltà, durante questa Tormenta che pare interminabile, ci sia chi con determinazione e coraggio non si arrende e costruisce un nuovo inizio. Per tutte e per tutti.