In Kazakhstan è strage

19 / 12 / 2011

Col passar delle ore si prospetta sempre più drammatica la situazione nella provincia petrolifera del Kazakhstan, dove la repressione del regime contro gli operai in sciopero potrebbe aver causato 70 morti e centinaia di feriti nella città di Zhanaozen e dove arrivano voci di rivolte di massa in diverse città. Le comunicazioni telefoniche e via internet sono state bloccate dalle autorità, che hanno inoltre messo praticamente tutta la regione di Mangystau in stato d’assedio, con posti di blocco lungo le strade di accesso. Tre giornalisti russi che stavano indagando sugli avvenimenti di questi giorni sono stati arrestati. Il bilancio ufficiale dei “disordini” di venerdì, il cui contorno comincia a chiarirsi con le testimonianze che filtrano dalla zona isolata, è ancora fermo a 13 morti e 86 feriti, ma diversi sindacalisti e testimoni oculari affermano che le vittime dovrebbero essere molte di più, almeno 70, e i feriti contarsi a centinaia.

Quel che è peggio, la repressione sta continuando con arresti in massa e anche con nuovi scontri e sparatorie. A prender parte alle azioni, che sembrano mirate a stroncare definitivamente una protesta operaia in atto da sette mesi, sono stati chiamati anche reparti d’assalto dell’esercito. Da parte loro gli operai, in gran parte appartenenti all’azienda petrolifera OzenMunaiGas, avrebbero risposto proclamando nuovi scioperi “a gatto selvaggio” che coinvolgono gran parte delle attività petrolifere nella regione e con azioni di sabotaggio – pare ad esempio che abbiano divelto le rotaie su interi tratti della ferrovia che serve per trasportare petrolio e macchinari. Nella capitale regionale Aktau sono stati segnalati scontri fra manifestanti e polizia, e anche ad Almaty, la città più importante del Kazakhstan, ci sono state manifestazioni di protesta per la sanguinosa repressione, le cui notizie cominciano a circolare in tutto il paese nonostante la censura dei principali media.

Silenziosa o quasi, finora, la morbidissima “opposizione” ufficiale, che si è limitata a sollecitare un’inchiesta sui fatti di Zhanaozen – peraltro già ordinata dal presidente Nazarbaev, che ha anche proclamato lo stato d’emergenza fino al 5 gennaio. Circa la dinamica della strage, la ricostruzione più credibile sostiene che c’è stato un preordinato piano di provocazione: nella piazza principale di Zhanaozen, dove gli operai petroliferi da sette mesi mantengono un presidio con tende e striscioni, le autorità hanno fatto installare un grande palco per le celebrazioni del 20esimo anniversario dell’indipendenza e la polizia ha iniziato a mandar via gli operai; a quel punto sulla scena avrebbe fatto irruzione un gruppo di uomini con le tute dell’azienda petrolifera statale KazMunaiGas, che avrebbe attaccato direttamente i poliziotti (come si vede in alcuni brevi filmati) e cercato di dare alle fiamme alcuni veicoli e un paio di uffici governativi; a questo punto è scattata una reazione violentissima della polizia che si è messa a sparare facendo una strage. Poco dopo le comunicazioni telefoniche sono state interrotte e grossi contingenti militari hanno bloccato gli accessi alla città.

La lotta degli operai petroliferi è iniziata questa primavera, con ripetuti scioperi per ottenere migliori condizioni di lavoro e paghe più alte; la totale chiusura incontrata da parte delle aziende e in particolare le due più importanti semi-statali – KazMunaiGas e OzenMunaiGas – ha spinto i lavoratori ad azioni più clamorose, in particolare a stabilire un presidio permanente nella piazza principale di Zhanaozen (90.000 abitanti), dove ogni giorno gruppi di lavoratori erano presenti con striscioni e cartelli. Nel corso dei mesi le autorità e i dirigenti delle compagnie hanno tentato in vari modi di spezzare la resistenza degli operai, sia con licenziamenti in massa (più di tremila hanno perso il lavoro) sia con arresti sempre più numerosi (tra cui anche gli avvocati che difendevano la causa operaia) sia infine con attacchi diretti e provocazioni condotte da gruppi in abiti civili, che hanno portato all’uccisione di due scioperanti. Questa lotta è stata circondata da un silenzio molto fitto, rotto solo da una tv privata locale, Kplus, e da qualche giornale russo, nell’indifferenza più totale dei media occidentali sempre sensibili alle proteste di qualche politico liberale a Mosca ma assai poco sensibili alle proteste di migliaia di lavoratori orientali – tantopiù che tra le aziende petrolifere della regione ce ne sono parecchie occidentali, in testa Eni, Chevron, ecc.