Incontro Internazionale “El Sur Resiste” 6-7 maggio 2023. Capitalismo corporativo mondiale, patriarcato planetario, autonomia e ribellione

Racconti dalla carovana El sur resiste

9 / 5 / 2023

Arrivati alla fine della carovana “El Sur Resiste”, dopo aver attraversato sette stati del sud-est messicano, abbiamo partecipato all’incontro internazionale al Cideci, a San Cristobal de las Casas.

Presenti quasi mille persone, 40 le discendenze indigene rappresentate provenienti da comunità messicane e latinoamericane, oltre a delegate e delegati di oltre 30 paesi europei, americani e mediorientali.

Il primo giorno è iniziato con un’analisi geopolitica grazie agli interventi di Raul Zibechi, Vylma Rocio Almendra (indigena Nasa Misak del Cauca Colombiano), Dilda Roj (Movimento de Mujeres de Kurdistan en America Latina), Ana Esther Ceceña (OLAG UNAM) e Carlos Gonzales (CNI).

Fra questi interventi, vorremmo porre l’accento su alcune delle riflessioni di Raul Zibechi che ci sembrano determinanti e che sono state riprese e approfondite nei tanti tavoli di discussione di queste due giornate.

Ribadisce che non possiamo fare altro che schierarci contro ogni forma di guerra e imperialismo, soprattutto in una fase come quella attuale di transizione egemonica dagli USA alla Cina. Come la storia insegna, anche guardando allo scenario messicano (quando passarono dal controllo spagnolo a quello statunitense) ogni transizione di egemonia porta ad accelerare e esacerbare la guerra permanente tra poveri e tra potenze e non si deve cadere nell’ingenua speranza che i vecchi imperialismi si combattano con i nuovi. Non c’è alternativa per i movimenti in questa fase se non quella di insinuarsi nelle crepe delle contraddizioni che emergeranno dal tentativo del capitalismo e del patriarcato di riaffermarsi in un contesto di crisi, in una guerra permanente che non è destinata a estinguersi velocemente. “Il 40% delle terre globali non sono ancora in mano al capitale, appartengono ai popoli, ai piccoli contadini o sono parchi naturali o selvaggi” questo sancisce che ci sono ancora molti territori di conquista che implicheranno una guerra violenta in diverse forme. In questo contesto si inserisce il quadro Sud Americano di grande aumento della forza militare nei territori, a “difesa” dei sempre più numerosi megaprogetti inquinanti, per la gestione della sicurezza delle frontiere si pensi alla sostituzione di tutto il personale di uffici per il controllo della migrazione a sud del Messico con militari e guardie carcerarie. Tutto questo succede con un’avanzata dei governi apparentemente progressisti: dall’Argentina con Fernandez e i nuovi 8 megaprogetti super militarizzati, al Cile di Boric con un numero di militari pari a quelli di Pinochet con il ruolo di difesa delle grandi imprese fino in Messico con AMLO che ha creato un nuovo corpo di polizia di fedelissimi che, come scrivevamo nell’ultimo articolo, sta avendo un ruolo protagonista nel megaprogetto del Tren Maya.

La militarizzazione dei territori è evidentemente una guerra per le risorse, dai combustibili fossili all’acqua. I governi si stanno avvalendo della criminalità organizzata per distruggere le comunità in lotta, sia fisicamente con rapimenti e omicidi, sia in maniera più sociale tramite l’aumento del consumo di droga.

I Narcos sono di fatto una forma di capitalismo estremamente funzionale allo Stato Messicano tanto che è quasi impossibile tracciare una linea di demarcazione tra i due, agiscono infatti nella stessa modalità, reprimendo, intimidendo e soprattutto cancellando la cultura, la storia e la resistenza indigena.

Si può facilmente arrivare alla conclusione che a prescindere dal colore politico i governi, alleati con gli Stati Uniti e i Narcos, si stanno muovendo con l’obiettivo di ripulire i territori dalla loro particolarità per estrarre valore e renderli a immagine e somiglianza della borghesia capitalista.

In questo conflitto aperto ha un ruolo centrale la costruzione di autonomie, in progressiva espansione in tutto il Latinoamerica. Ognuna con i propri modelli dettati dalla cultura, le tradizioni e la storia ma che nascono da un sentire comune tra tutti i popoli e si articolano resistendo ai livelli di oppressione perpetrati dal capitalismo e dal patriarcato, avendo una potenza immaginativa che crea delle alternative di vita possibili e mettendo in pratica forme di autodifesa, disertando la guerra ma non rimanendo immobili di fronte alla violenza dello stato e del capitale.

Un tema centrale nella costruzione di autonomie è la spiritualità dei popoli, come elemento che sta alla base della “tierra comun”, che permette di sopravvivere nel lungo termine e di vedere la lotta per la vita come un ciclo continuo che non termina con la vittoria o con la presa dei palazzi del potere. La potenza propulsiva della spiritualità è proprio la possibilità di ostacolare la logica capitalista dominante che ci costringe alle valutazioni di costi e benefici e alla costruzione solo nel breve termine senza una visione di prospettiva.

Il territorio è cultura, non solo uno spazio fisico, è infatti carico di simboli e forze spirituali che progetti come il Tren Maya e il Corredor Interoceanico stanno spazzando via.

Altri interventi hanno sottolineato quanto la liberazione delle donne sia essenziale e interconnessa di fronte a un sistema machista e patriarcale che ha come scopo il controllo dei corpi e della riproduzione del capitale, per questo decolonizzare le nostre menti è di primaria importanza per costruire un nuovo mondo possibile, come ci hanno ricordano le compagne curde presenti all’incontro: Donna, Vita, Libertà.

L’incontro si è poi sviluppato attraverso tavoli di lavoro che hanno occupato tutto il sabato pomeriggio e la domenica mattina. La divisone in tavoli ha permesso l’approfondimento politico dei temi centrali, partendo dalla condivisione delle diverse forme di aggressione con cui il capitalismo saccheggia i territori. Grandi opere, inquinamento, criminalità organizzata, militarizzazione e controllo dei corpi e dei territori sono solo alcune delle facce con cui “l’hydra capitalista” agisce. Una parte fondamentale è stata la condivisione delle varie pratiche di resistenza delle comunità, organizzazioni e collettivi provenienti dal territorio nazionale e internazionale, un interscambio fondamentale per la contaminazione reciproca e per arricchire la nostra capacità di reazione. Ricorsi legali, occupazioni e blocchi stradali, campagne di informazione e denuncia sono le azioni più comuni che però non esauriscono la complessità delle pratiche messe in atto. 

Dopo molte ore di discussione l’obiettivo finale dei tavoli è stato quello di formulare proposte concrete di articolazione delle lotte e di mobilitazioni comuni. Il punto di partenza è stato quello di riconoscere le differenze fra le organizzazioni partecipanti, le diverse modalità di azione e i contesti particolari in cui agiscono. Da qui fino agli ultimi interventi, tutti i tavoli hanno espresso il tentativo di immaginare delle vie percorribili in comune, perché di fronte ai tanti livelli con cui il capitalismo neoliberale depreda le nostre vite e i territori che abitiamo l’unica sintesi possibile è la resistenza transnazionale.

La plenaria conclusiva, in cui è stato relazionato il lavoro dei diversi tavoli, ha infine deliberato su tre proposte comuni portate all’assemblea, derivate dalla sintesi delle discussioni precedenti. Le proposte sono state:

- Utilizzare la data simbolica del 12 ottobre 2023 per un’azione globale diffusa, mostrando le capacità organizzative e di protesta del sud che resiste;

- Iniziare un processo di monitoraggio sulle comunità attraversate dalla carovana, mantenere la rete per denunciare le aggressioni ai territori e alle popolazioni che li difendono;

- Proseguire il lavoro delle commissioni della carovana, elaborando una relazione delle grandi opere che insistono in questi territori e producendo materiale informativo, scritto e visivo, per il libero utilizzo delle comunità nella loro resistenza.

L’entusiasmo con cui l’assemblea ha approvato queste tre proposte ci restituisce la complicità che si è venuta a creare durante questa carovana, sedimentata ancor di più in questo incontro internazionale. È ancora difficile elaborare quanto visto e ascoltato in queste settimane, siamo consapevoli che l’interiorizzazione di questa esperienza, e soprattutto la sua restituzione alla nostra comunità di riferimento, sarà un processo a lungo termine. Torniamo nelle nostre città arricchiti da discussioni e riflessioni che abbiamo avuto la possibilità di condividere con tante e tanti e con il desiderio di metterle a frutto per sperimentare collettivamente delle forme nuove di comunità, di costruzione di relazioni, di riconoscimento dei territori che abitiamo e di immaginazione politica. Torniamo a casa con la certezza che un’alternativa è possibile, che in tutto il pianeta stanno fiorendo forme diverse di autonomia e che c’è ancora un ampio margine di costruzione di nuovi mondi.