Insegnanti a contratto in sciopero in Marocco

Si chiede la fine delle assunzioni a contratto e la loro integrazione nel settore pubblico, violenta repressione del governo.

9 / 4 / 2021

2016-2021, in Marocco la storia si ripete come in un disco rotto. Solo che di rotto purtroppo ci sono le teste e le ossa di centinaia di insegnanti scesi in piazza a manifestare per delle condizioni contrattuali meno precarie e più dignitose. 

Negli ultimi mesi la repressione violenta delle forze di sicurezza ha origine e si giustifica nel divieto di manifestare come parte delle misure anti Covid-19. 

Negli anni scorsi - con meno retorica e più in linea con la tollerante, virtuosa e moderna monarchia costituzionale che è il Marocco- si chiamava semplicemente “divieto di organizzare marce di protesta” e la risposta da parte del governo è sempre stata la stessa: violenza, licenziamenti e arresti. 

L’origine del malcontento nasce nel 2016. Sotto la pressione del Fondo Monetario Internazionale, il Marocco - che annaspava in grosse spese e si trovava a rischio di non ottenere più debito - si è visto costretto a ridurre la massa salariale nel bilancio dello stato. Il regno ha quindi emanato due decreti al sistema contrattuale nazionale che hanno duramente colpito i settori della funzione pubblica più importanti: istruzione, sanità e welfare. 

https://globalproject.info/public/resources/images/max/Marocco_1.jpg

tabella con nomi di insegnanti arrestati e scomparsi, Facebook  #احموا_الأساتذة_في_المغرب

Questa decisione ha portato a una serie di crisi politiche e sociali che continuano a intensificarsi con scioperi, manifestazioni e disordini. Da febbraio 2021 sui social è diventato virale l’hashtag #protect_teachers_in_morocco - anche se ormai alle manifestazioni si sono aggiunti anche infermieri e tutte le lavoratrici e i lavoratori precari - dove vengono condivisi video e foto delle proteste ormai settimanali che si riversano nella capitale, l’ultima è di ieri. 

Tra il marasma di materiale audiovisivo che denuncia le violenze inaudite della polizia - molti in borghese, riconoscibili solo da una fascia al braccio - quello che è più inquietante sono le tabelle con i nomi degli insegnanti arrestati e di cui non si sa più nulla. 

Informazioni che tra l’altro difficilmente si trovano al di fuori da queste nicchie social: a livello nazionale i media direttamente controllati dal regime ne parlano nei termini di attacco alla sicurezza sanitaria pubblica causata degli assembramenti o non ne parlano affatto- vedi Assabah, quotidiano ventennale- mentre l’indipendente e più letto sito di notizie Hespress tiene toni “neutrali” pubblicando da una parte i video che inevitabilmente raccontano la repressione violenta e ingiustificata, dall’altra una serie di foto - che rasentano il ridicolo - che mostrano poliziotti sofferenti.

L’onda di indignazione che ha smosso il popolo marocchino, manifestante e non, ha fatto sì che le istituzioni del Marocco abbiano almeno promosso un’indagine sui fatti che ha portato ad un arresto, ma ad essere messo sotto accusa è l’utilizzo che le forze di polizia, non solo in Marocco, fanno delle norme anti-Covid per reprimere le lotte sociali e le proteste di lavoratori e lavoratrici.