Jasenovac - Secondo giorno di viaggio

27 / 8 / 2013

Domenica 25 agosto. Ci siamo recati a Jasenovac, nel luogo in cui sorgeva il più grande campo di concentramento nel periodo della NDH (Repubblica indipendente di Croazia) di Ante Pavelic. 

Nel periodo di attività del campo, dall'agosto del 1941 sino all'aprile del 1945, la superficie si estendeva per 210 km2(km quadrati). La parte dove sorge ora il memoriale è quella del Campo 3 o Fabbrica di mattoni, quella che si trova in territorio croato.

Un'altra grande parte del campo si trova oltre il confine, in Bosnia Erzegovina.

Il numero stimato delle vittime risale a 130mila circa, ma fin ora sono stati identificati con certezza 83mila nomi. La maggior parte dei deportati erano serbi, oltre ad ebrei e Rom. Infatti il regime Ustascia adottó fin da subito le leggi razziali nazifasciste aggiungendo le persone di etnia serba, considerate nemico storico, fra chi veniva colpito da queste leggi. Dal 1943 diviene anche campo femminile. La guida del memoriale (un ragazzo serbo) ci spiega che le atrocità compiute a Jasenovac sono molteplici, dall'olocausto al genocidio di Serbi e Rom,sino ai massacri di massa di altre nazionalità come sloveni, bosniaci e croati (chi aveva preso parte alla Resistenza o gli oppositori politici), e che il metodo usato per eliminarli consisteva in un rapporto uno ad uno: non venivano usati forni crematori o camere a gas, bensì le persone venivano uccise con armi da taglio, o da fuoco, con mazze di legno o di ferro, in un contatto molto ravvicinato fra vittima e carnefice.

Il 22 aprile del 1945 cessa l'attività del campo di Jasenovac.

I Partigiani di lì a pochi giorni sarebbero arrivati a liberare Zagabria, passando proprio da Jasenovac. Poco prima del loro arrivo gli Ustascia inizia a smantellare, radere al suolo e bruciare tutto quello che c'era, per non lasciare tracce. Il 21 aprile erano ancora presenti 1700 persone fra donne e uomini, solo 89 di questi ultimi sono riusciti a salvarsi. 3 sono ancora in vita. I partigiani istituirono una loro base di comando sopra le macerie di quell'inferno e i mattoni rimasti dalla produzione del campo vennero presi da chi tornava ad abitare in quei territori per ricostruire le abitazioni. Per venti anni é stato un luogo cancellato dalla memoria.

È solo all'inizio degli anni '60 che Tito inizia a pensare di fare qualcosa lì data la richiesta di monumentalizzazione che viene dalle istituzioni locali. Infine è Bogdan  Bogdanovic, architetto serbo che fece parte della Resistenza, sindaco di Belgrado dall'82 all'85, a realizzare un'opera. Ad oggi questo luogo consiste in un'immensa distesa verde con una piccola strada di legno, composta dai pezzi della vecchia linea Zgabria-Belgrado che passava di là, che conduce ad un grande monumento in pietra raffigurante un fiore. Nel prato tutto attorno piccole collinette poste accanto a depressioni del terreno entrambe artificiali e facenti parte dell'opera. L'intento di Bogdanovic era quello di depotenziare sentimenti come odio e rancore senza però nascondere quello che era successo. Il 4/7/66 avviene l'inaugurazione del sito monumentale. 

Dopo la guerra le visite sono diminuite drasticamente arrivando ad essere poco più di dieci mila all'anno, fra le quali la presenza serba costituisce una minima percentuale.. La percezione storica che si ha visitando questo posto è minima e non viene affatto resa dal monumento di Bogdanovic; il piccolo e scarno museo presente in loco non restituisce tutta la complessità storica di cui un luogo della memoria come questo dovrebbe essere denso. Dai numeri delle visite e dalla provenienza si capisce come ancora oggi sia difficile accettare la differenza etnica in questi territori. Basta pensare che a pochi km di distanza, nelle altre zone del campo che sono in territorio bosniaco e dove è stato istituito un altro memoriale si parla di quasi 700 mila morti serbi.

Le verità sono ancora molte e molteplici nei Balcani, il dialogo difficile. C'è chi si sta muovendo però, come i ragazzi di Adopt Stebrenica che sono in viaggio con noi: serbi e bosnjaci che collaborano in un progetto nella città di Srebrenica per il recupero della memoria, per affrontare il passato e sviluppare il dialogo interetnico...

Ma questa è un'altra storia che racconteremo nei prossimi giorni.