Jin, Jiyan, Azadî e il femminismo confederale

12 / 12 / 2022

Le manifestazioni - che onorano la memoria di  Jina Amini - sono diventate il più grande movimento per i diritti delle donne nella storia recente dell'Iran. Le parole "Jin, Jiyan, Azadî" hanno preso nuova vita nella sua traduzione in farsi - "Zan, Zendegi, Azadî" - e il messaggio continua a riverberare nelle proteste di solidarietà in tutto il paese. In realtà, il rischio in alcuni casi è che si trascurino gli elementi chiave del background di questo slogan che pulsa nelle proteste di massa scatenate dalla morte di Jina Amini. In seguito la traduzione dell'articolo di Rojin Mukriyan, a cura di Anna Irma Battino e Lorenzo Feltrin.

Jin, Jiyan, Azadî (donna, vita, libertà) è uno slogan curdo e il motto principale del movimento rivoluzionario cominciato il 16 settembre 2022 in Iran. Le mobilitazioni sono state innescate dall'uccisione di Jîna Aminî per mano della polizia "morale", tristemente nota per la sua brutalità. Da allora, uomini e donne cantano Jin, Jiyan, Azadî in tutto il paese. Questo slogan va oltre l'identità monolitica dello Stato-nazione e rompe tutte le divisioni artificiali come i confini etnici, linguistici, religiosi, di classe e, soprattutto, di genere. Ma la domanda è: cosa comporta questo slogan? Perché è diventato una motivazione unificante per questo movimento rivoluzionario?

Il pensiero alle origini della frase Jin, Jiyan, Azadî nasce nelle montagne curde di Qandil dalla filosofia politica di Abdullah Öcalan, il leader incarcerato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan e delle sue varie diramazioni. Per Öcalan, i cinquemila anni di storia della civiltà sono innanzitutto la storia della schiavitù delle donne. Si può dire che la civiltà è, per Öcalan, una serie di forme sovrapposte di dominio e schiavitù. Questa schiavitù si è perpetuata su tre livelli.

In primo luogo, c'è una schiavitù ideologica che domina la mente e che consiste in una sorta di auto-illusione di massa a livello sociale, o falsa coscienza, riguardo la legittimità della serie di dominazioni che rende possibile la civiltà. L’esempio più chiaro è quella della religione. In secondo luogo, c'è l'uso più letterale e fisico della forza che i processi di civilizzazione richiedono, fino alla schiavitù vera e propria. In terzo luogo, attraverso il sequestro dell'economia e la monopolizzazione delle forze produttive del lavoro umano, c'è la condizione universale di schiavitù salariale. Öcalan insiste sul fatto che questi tipi di schiavitù - che erano essenziali per le civiltà antiche, come testimoniato dalla prima civiltà conosciuta, ovvero quella dei Sumeri - sono persistiti nella nostra epoca, che lui chiama "modernità capitalista". Il neoliberismo è l'ideologia politica che sostiene la modernità capitalista e quindi le varie forme di schiavitù che rendono possibile la civiltà.

Per Öcalan, i diversi tipi di schiavitù che costituiscono la civiltà non sarebbero possibili senza la riduzione in schiavitù delle donne. Secondo Öcalan, le donne sono state il primo gruppo schiavizzato e, quindi, sono anche il gruppo più profondamente dominato. Era necessario che le donne venissero prima schiavizzate e dominate affinché ci potesse essere poi un processo di civilizzazione. Öcalan ritiene inoltre che una rivoluzione di genere sia fondamentale per spezzare la catena di queste forme di dominio sovrapposte. Nessun altro tipo di liberazione dalla schiavitù potrà migliorare pienamente la condizione umana finché le donne non saranno liberate. Pertanto, Öcalan sostiene che la società non sarà mai libera senza la liberazione delle donne, poiché queste ultime rappresentano il potere delle società organiche, naturali ed egualitarie che caratterizzavano la vita da cacciatori-raccoglitori-foraggiatori degli esseri umani prima che cadessero nella civiltà.

La frase Jin, Jiyan, Azadî esprime questo intento liberatorio della comprensione di Öcalan dell'origine e del superamento della civiltà e delle relative forme di schiavitù. È diventata da tempo lo slogan principale del movimento di liberazione delle donne curde, soprattutto nella lotta rivoluzionaria delle forze femminili curde contro l'ISIS nella Siria settentrionale, chiamata anche Rojava. Si può dire che alcune donne curde stanno guidando, sotto la bandiera di questo slogan, una nuova ondata di femminismo. Quest’ultimo si potrebbe chiamare femminismo confederalista, in quanto si basa sul progetto politico complessivo di Öcalan volto a superare e sostituire la civiltà, il confederalismo democratico. Il femminismo confederalista sostiene una nozione repubblicana radicale di libertà come non-dominio, non solo come non interferenza. È costituzionalmente egualitario, ma anche profondamente libertario. Privilegia una libertà autentica rispetto a un'uguaglianza meramente formalistica o a un tipo di inclusione legato allo Stato. In altre parole, il femminismo confederalista crede che l'uguaglianza basata su un'autentica diversità sia raggiungibile se, e solo se, viene fornita un'autentica libertà, un tipo di libertà in cui le donne non sono soggette a nessun grado di interferenza arbitraria. La libertà femminista confederale è quindi intesa sia in termini positivi che negativi. In termini positivi, è intesa come mezzo individuale e collettivo per la realizzazione del potenziale umano di autodeterminazione e prosperità. In senso negativo, è intesa in modo radicalmente repubblicano come l'impedimento sistematico del realizzarsi di qualsiasi asimmetria di potere attraverso la sovrapposizione delle schiavitù e forme di dominio che costituiscono la civiltà.

Ora, la domanda è: come possiamo raggiungere questa libertà? Da una prospettiva femminista confederalista, la società potrebbe raggiungere questa libertà se riuscisse a stabilire una forma di governo basata sul confederalismo democratico. Öcalan propone il concetto di confederalismo democratico come soluzione alla questione curda e ai decenni di oppressione e violenza imposti ai curdi. Per dirla in altri termini, egli cerca di risolvere la questione curda, e persino il conflitto prevalente in Medio Oriente, attraverso un ripensamento dei concetti di nazione e democrazia. Öcalan ridefinisce il concetto di nazione in senso soggettivista. Una nazione è così una comunità di persone che condividono una mentalità comune basata sulla solidarietà e sull'uguaglianza. In altre parole, la condivisione di una mentalità e di una cultura fa sì che si possa essere classificati come nazione nonostante i diversi background "nazionali", etnici, razziali, linguistici e di genere. Queste nazioni, come descritto da Öcalan, possono diventare veramente democratiche se si organizzano sulla base dei principi del confederalismo democratico, formando così una "nazione democratica". A differenza dello Stato-nazione, una nazione democratica significa pluralità e comunità inclusive in cui cittadini liberi e uguali coesistono in modo solidale. Per Öcalan, questa nazione democratica non cerca di diventare una nazione nel senso di uno Stato nazionale gerarchico, razzista e violento.

Tuttavia, come afferma Öcalan, definire la nazione solo attraverso il prisma di una mentalità collettiva sarebbe di per sé piuttosto incompleto. Come una mente non può esistere senza il suo corpo, lo stesso vale per la nazione. In uno Stato-nazione, lo Stato è il corpo della nazione. È il popolo inteso come entità collettiva. Ma in una nazione democratica, il confederalismo democratico stesso dovrebbe essere il corpo della nazione. Öcalan formula il confederalismo democratico come un'alternativa allo Stato-nazione. In senso stretto, si tratta di una democrazia diretta non statale. Lo descrive come una rete di auto-amministrazioni politiche non gerarchiche, basate su una politica etica inclusiva. È un sistema flessibile, multiculturale, antimonopolistico e orientato al consenso. Il "femminismo (Jineologî)", l'"ecologia" e l'"autonomia democratica" sono i suoi tre pilastri costitutivi.

Secondo questa teoria, l'autonomia democratica indica essenzialmente l'autogoverno di comunità e individui che condividono volontariamente una mentalità simile. Questo fenomeno potrebbe anche essere chiamato governance o autorità democratica. Come osservato da alcuni, il progetto di autonomia democratica si basa sul duplice meccanismo della democrazia diretta di tipo ateniese e dell'autonomia kantiana. Secondo la democrazia ateniese, tutti i cittadini potevano e dovevano partecipare direttamente alle decisioni politiche per creare e alimentare una vita comune. In altre parole, la vita pubblica e quella privata dei cittadini erano intrecciate e l'etica e la politica erano integrate nell’esistenza della comunità politica. Nel modello ateniese o classico di democrazia non c'è distinzione tra città-stato e società. In altre parole, il popolo - inteso all'epoca come un gruppo di soli uomini - si governa da solo e possiede il potere sovrano o l'autorità suprema nel prendere decisioni legislative. In questo senso, la democrazia è una forma di vita, non solo una forma di governo. L'autonomia democratica è simile all'autonomia kantiana, in quanto è il popolo stesso che deve deliberare e decidere per il proprio futuro. In base a un principio di autonomia democratica, tutti i cittadini hanno il diritto di decidere liberamente le politiche da adottare per governare la loro vita comunitaria.

Nello spirito della democrazia ateniese, l'autonomia democratica è un tentativo di uscire dalla centralizzazione e dal sistema di rappresentanza che accomunano gli Stati democratici attualmente esistenti. A differenza della democrazia contemporanea, l’autonomia democratica cerca di dare potere alle comunità locali. In altre parole, il potere politico non è concentrato. Piuttosto viene delegato a livello locale attraverso assemblee e consigli che poi si coordinano a livello confederale. I comuni autonomi, in quanto unità locali più piccole, sono il principale organo decisionale politico. Le unità amministrative autonome superiori esistono per garantire che le decisioni dei diversi comuni non entrino in conflitto. In questo sistema, le persone prendono liberamente le decisioni riguardanti le loro comunità e organizzazioni attraverso una democrazia partecipativa di base. In altre parole, le persone si governano da sole.

Come possiamo vedere, il femminismo confederalista si inserisce perfettamente nel confederalismo democratico. Questa prospettiva cerca di apportare un cambiamento fondamentale alla struttura delle istituzioni statali dominanti e di liberare la donna generando una società egualitaria che permetta la coesistenza e la partecipazione diretta ed equa al processo politico. In questo modo, si tenta di stabilire una forma di governo in cui la distribuzione del potere sia orizzontalmente equilibrata. Si tratta di un'alternativa a tutte le altre ondate di femminismo. In nessuna corrente del femminismo occidentale si trova un'identificazione esplicita con la democrazia diretta come condizione necessaria per il raggiungimento della libertà delle donne.

Un esempio di femminismo confederalista in azione è il sistema utilizzato nel Rojava, o Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale (AANEAS). Le donne del Rojava si governano da sole sulla base dei principi del confederalismo democratico. Il potere politico in Rojava è stato distribuito in modo equilibrato e orizzontale, o almeno questa è l'intenzione. Sono stati istituiti consigli composti da sole donne che si occupano di questioni specifiche come il divorzio, l'eredità, la custodia dei figli, la violenza domestica, l'accesso alla sfera pubblica e altro ancora. Allo stesso tempo, le donne hanno una presenza paritaria in tutte le altre istituzioni dal basso e dall'alto. Un uomo e una donna sono infatti co-presidenti in tutte le istituzioni del Rojava. Cosa ancora più importante, le donne possiedono le proprie unità di autodifesa. La forma di governo del Rojava è affascinante per molte ragioni. Innanzitutto, il popolo curdo è riuscito in qualche modo ad attuare la versione più radicale della governance e del femminismo in una delle società più patriarcali del mondo. In secondo luogo, sono riusciti a organizzarsi nel bel mezzo della guerra civile siriana. E, terzo, hanno raggiunto questo obiettivo mentre affrontavano minacce per la propria stessa esistenza come l'ISIS e la Turchia. Nonostante tutto ciò, il progetto del Rojava continua a migliorare.

È tuttavia importante comparare il femminismo confederale con altre ondate del femminismo. Nessun'altra forma di femminismo ha cercato di raggiungere la liberazione dalle strutture dominanti della civiltà stessa. Il femminismo confederalista, sotto la bandiera di Jin, Jiyan, Azadî, offre un'alternativa universale ma concreta per le donne. I movimenti femministi sono emersi in genere alla fine del XIX secolo per porre fine all'oppressione delle donne e portare l'uguaglianza di genere in diversi ambiti della vita, ad esempio nella politica, nell'economia e nella società in generale. Da allora, diverse ondate di femminismo si sono formate per raggiungere questo obiettivo. Ad esempio, il femminismo liberale, la prima ondata di femminismo, ha cercato di porre fine all'oppressione delle donne cercando di ottenere diritti legali per le donne. Pertanto, ha tentato di portare l'uguaglianza tra i sessi nella sfera legale, per esempio con il diritto di voto e di proprietà, il divorzio, l’inclusione femminile. Le femministe liberali in generale aspirano all'uguaglianza di opportunità all'interno del quadro esistente di dominio gerarchico. In altre parole, le femministe liberali cercano l'inclusione all'interno del sistema esistente, che è gerarchico e dominante. Per il femminismo liberale, la libertà è solo un fenomeno negativo e individualista. Questa forma di libertà è intesa come non interferenza interpersonale. Un sistema adatto a far prosperare le pratiche del femminismo liberale sarebbe quello che esiste già in Occidente, la democrazia rappresentativa con un'economia capitalista.

Le alternative femministe della seconda ondata, come il femminismo marxista, sono emerse intorno agli anni Sessanta. Dal punto di vista del femminismo marxista, la causa dell'oppressione delle donne è il sistema economico capitalista. Anche questa ondata di femminismo non riuscì, alla fine, a rompere il legame con la struttura esistente dello Stato. Credeva che uno Stato socialista avrebbe potuto sostituire lo Stato capitalista. La terza ondata di femminismo si considera come la forma più radicale. È emersa intorno agli anni '90 e ritiene che la radice dell'oppressione delle donne sia la natura patriarcale della società stessa. Secondo questa prospettiva, il patriarcato, lo Stato e il sistema economico capitalista sono interdipendenti e quindi rafforzano reciprocamente il loro dominio. Questa ondata di femminismo è molto più vicina al femminismo confederalista. Tuttavia, essa trascura ancora un'intersezionalità veramente egualitaria. Questa critica ha portato alla nascita della quarta ondata di femminismo, che ha enfatizzato molto l'intersezionalità. L'idea è che le identità sono diverse e non tutte le donne sono oppresse allo stesso modo. Ad esempio, le donne curde sono oppresse sia come donne che come curde. Queste oppressioni intersecate fanno sì che gli sforzi verso la liberazione non siano uguali per tutte le donne, poiché alcune sono più oppresse di altre.

Con il femminismo confederalista possiamo dire di avere una versione del femminismo della quarta ondata che si concentra sul raggiungimento di un grado di egualitarismo costituzionale che superi realmente le profonde strutture di dominio che caratterizzano la civiltà umana. Si possono avere diverse letture dello slogan Jin, Jiyan, Azadî in base alle diverse ondate di femminismo. Tuttavia, se si coglie il vero significato di questo slogan, è chiaro che il popolo iraniano non chiede semplicemente la fine del regime iraniano, ma di instaurare un sistema di governo basato su principi di autentica uguaglianza e libertà. Il vero significato di Jin, Jiyan, Azadî si trova nel femminismo confederalista che rende possibile un confederalismo veramente basato sull’uguaglianza e la democrazia diretta. Il vero significato della frase è che tutti i sistemi di gerarchia, schiavitù e dominio devono essere superati. Jin, Jiyan, Azadî non è quindi uno slogan privo di fondamenta teoriche. Piuttosto, la sua complessa analisi, critica di tutte le gerarchie di potere e di oppressione, indica che esiste una formula specifica per la liberazione dei diversi gruppi di persone entro i confini di uno Stato come l'Iran.