Kurdistan - Un voto che non vuole nessuno

Il referendum del 25 settembre sull’indipendenza del Kurdistan iracheno rischia di trascinare la regione in un nuovo conflitto armato; il ruolo di Iran e Stati Uniti; le responsabilità politiche di Massoud Barzani

21 / 9 / 2017

Sono ormai settimane che generali e diplomatici iraniani e americani scorrazzano su e giù per il Bashur (Kurdistan iracheno) con l’unico obiettivo di convincere i curdi, un importante alleato nella lotta all’Isis, a posticipare o addirittura cancellare il referendum sull’indipendenza indetto e previsto per il prossimo 25 settembre.

Sia il Generale Qassem Soleimani, il comandante delle potentissime Quds Force iraniane e uomo cardine della politica estera di forza di Teheran in Siria e in Iraq, sia l’inviato speciale della Coalizione anti-Isis Brett McGurk hanno letteralmente fatto la spola negli ultimi giorni tra Baghdad, Erbil e Suleimaniyah, per cercare di mettere attorno ad uno stesso tavolo i vari attori politici del Kurdistan iracheno e raggiungere un accordo sul referendum.

Sia gli iraniani che gli americani, così come i turchi e l’Unione Europea, sono totalmente d’accordo sul fatto che il referendum non debba aver luogo. A supporto di queste indicazioni, tutti i partiti politici del Kurdistan del Sud confermano in via ufficiale di aver ricevuto particolare “raccomandazioni” dagli inviati dei paesi sopracitati. Sembra che il messaggio recapitato possa essere tranquillamente riassunto in queste parole: “Se andate avanti con il referendum, non avrete più il nostro sostegno, politico ed economico, e sarete quindi da soli, in balia degli eventi”.

Le minacce iraniane, giunte per bocca dello stesso Generale Soleimani, sono meno velate e più dirette rispetto a quelle relative all’isolamento politico paventato dagli americani. Soleimani ha direttamente minacciato di non interporsi ad un eventuale intervento delle milizie sciite Hasid Shaabi nelle zone contese con il Governo Regionale Curdo, come per esempio l’importante città di Kirkuk, se il referendum non verrà cancellato. Queste milizie, note anche come PMU (Unità di mobilitazione popolare) sono una formazione combattente che opera soprattutto nelle provincie irachene a maggioranza sciita e sono il vero braccio armate di Teheran in Iraq. Addirittura Hadi Ameri, capo della Brigata Badr che è una componente molto importante e prestigiosa delle PMU, ha rincarato la minaccia, già di per sé pesante, di Soleimani, avvertendo che se il referendum sull’indipendenza del Kurdistan stesso, o una vittoria del sì, pongono una minaccia seria all’unità dell’Iraq e che la conseguenza più prossima e probabile sarà una guerra civile.

Nel frattempo, il presidente-padrone del Governo Regionale Curdo (KRG) e mente politica del referendum, Massoud Barzani ha risposto che da parte del governo regionale non è stata pensata alcuna alternativa al voto del 25 settembre, né tantomeno è stato pensato un suo rinvio o una sua cancellazione: ha respinto con toni forti le minacce di guerra civile, ribadendo che le forze armate curde, i Peshmerga, sono pronte a qualsiasi tipo di azione per difendere i confini del Kurdistan.

Sia l’Iran che gli Stati Uniti si oppongono al referendum, ovviamente per ragioni diametralmente opposte. Washington è preoccupata dal fatto che un possibile plebiscito in Kurdistan possa indebolire il primo ministro sunnita Haider al-Abadi, il quale viene ampiamente sostenuto economicamente e militarmente, in vista delle prossime elezioni politiche che dovrebbero tenersi nell’aprile 2018. Nella logica degli strateghi americani una qualsiasi perdita di potere di Abadi, può rinforzare il suo maggior nemico regionale, la Repubblica Islamica dell’Iran, e i suoi sostenitori entro i confini iracheni, ovvero le milizie sciite organizzate nelle PMU.

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La mappa mostra la situazione della Siria e dell’Iraq. I curdi – che occupano praticamente tutto il nord della Siria e dell’Iraq – sono indicati in giallo; le forze governative siriane e irachene e i rispettivi alleati sono indicati in rosso, mentre lo Stato Islamico è indicato in grigio. La Turchia confina a sud sia con la Siria che con l’Iraq: nella parte meridionale del territorio turco ci sono ampie comunità di curdi. Il timore della Turchia è che un’eventuale indipendenza del Kurdistan Iracheno possa alimentare le simili aspirazioni dei curdi turchi (Liveuamap)

Teheran, dall’altro lato, vede il referendum come un complotto organizzato da Stati Uniti ed Israele, ad oggi l’unico paese che spende risorse politiche sul buon esito del voto, al fine di destabilizzare ulteriormente la regione mediorientale minando la sicurezza interna dell’Iran influenzando verso l’autonomia gli 8 milioni di curdi che, ad oggi, vivono all’interno dei confini della Repubblica Islamica.

Leggendo l’investimento personale di Barzani e del suo partito (KDP) nella causa del referendum e della vittoria del sì, sembra sempre più che l’unica opzione accettabile per tutte le parti in causa di una posposizione del voto a data da destinarsi, così che tutti gli attori politici interni ed internazionali possano raggiungere un accordo in modo da scongiurare in prima istanza una nuova guerra civile in Medio Oriente. Sembra puntare in questa direzione l’atteggiamento di Washington, seguito a ruota da altre cancellerie occidentali, Francia e Gran Bretagna su tutte, che si faranno garanti delle istanze curde verso il governo centrale di Baghdad. 

E’ altrettanto chiaro da questo quadro generale che le ingerenze esterne nelle questioni politiche dell’Iraq sono ormai la norma. Sono gli stessi paesi che con aggressive politiche militari hanno contribuito a creare il caos in ogni angolo del Medio Oriente. Ancora una volta i popoli della regione vedono le loro istanze derise, i loro appelli inascoltati. Fa ancora più riflettere il fatto che paesi europei si propongo di essere garanti di una soluzione politica in cui non credono lontanamente. E’ indubbio il fatto che il caos sia maggiormente governabile.

La condizione minima per la risoluzione della presente contesa, nata da una giusta e sacrosanta richiesta di autonomia, è che non si sfoci nell’ennesimo scontro fratricida tra le varie componenti del mondo curdo. Il nodo della matassa è nelle mani di Massoud Barzani e sta a lui, al padre-padrone di questa parte di Medio Oriente, prendere una decisione sul futuro dei popoli che vi abitano. La decisione dovrà essere presa però mettendo da parte le sue aspirazioni personali ed economiche, per fare un favore proprio a quei popoli che da troppo tempo sono martoriati dalla guerra.