La Crimea scalda il cuore della Grande Russia.

Tra dispute in punta di diritto internazionale e incertezze europee si stabilizza il controllo russo.

di Bz
20 / 3 / 2014


Con il voto plebiscitario al 95%, incontestato, nel referendario del 16 marzo scorso, la Crimea ha ufficialmente optato per il ricongiungimento con la Russia, subito, il parlamento della Repubblica autonoma di Crimea (così denominata dalla costituzione ucraina) ha ufficializzato la richiesta di annessione, accolta dal parlamento russo con una legge votata lunedì.

La domanda che molti si pongono riguarda la validità o meno del referendum e cioè la legittimità della secessione della penisola dallo stato ucraino. La materia, attiene al diritto interno ucraino più che al diritto internazionale, seppure non va sottovalutata la portata di quest’ultimo come uno degli strumenti utilizzabili dalla UE e dalla Nato nei confronti delle invasioni di campo effettuate dalla Russia per tramite delle sue truppe dislocate in territorio ucraino. La Costituzione ucraina dichiara il proprio territorio come inviolabile, quindi come fosse un unum indivisibile, la secessione di una parte di esso – la Crimea – avrebbe dovuto essere oggetto di un referendum generale o quantomeno di un pronunciamento istituzionale.

È evidente che forzature ci sono state da parte di Mosca e della Crimea ma si sa che il diritto nazionale o internazionale che sia non è altro che la fissazione – temporanea – dei rapporti di forza dati nella concreta realtà. Da qui si deve partire per argomentare con una qualche avvedutezza sugli avvenimenti prossimi futuri nell’area geopolitica di instabilità che va dal Baltico al Mar Nero.

L’uccisione di alcuni soldati russi e ucraini a Sinferopoli non è un buon segnale, perché fa seguito ad altre uccisioni avvenute nei territori regionali russofoni e ci segnala una possibile escalation tra forze militari russe, presenti in forza di precedenti trattati inter statali, e forze militari ucraine, asserragliate nelle proprie caserme nei pressi delle principali città,  situazioni tese dove possono giocare sporco le forze nazionalistiche ucraine annidate e cresciute durante la rivolta nei centri del nuovo potere.

Di contro si può notare come la Russia fomenti un’accelerazione a tutte quelle spinte separazioniste che sono presenti nei paesi satelliti che la circondano: è il caso della Cecenia che fa dichiarazioni di fuoco contro i leader di ‘settore destro’ che sarebbero implicati nel sostegno attivo al ‘califfato del caucaso’ che ha seminato terrore in tutta l’area; è il caso della Transnistria, regione russofona super autonoma, della Moldavia, che vuole seguire gli stessi passi della Crimea.

Nel frattempo Europa e USA con enfasi dichiarano sanzioni sul piano diplomatico e su quello della ‘governance mondiale’: si fa filtrare la possibile espulsione della Russia dal G8 ma, nei fatti, l’Europa si muove con grande cautela, avendo ben presente cosa vuol dire chiudere i rapporti commerciali con la Russia e sobbarcarsi il peso della crisi economica che attanaglia l’Ucraina, dove il FMI si è impegnato ad intervenire con una quindicina di miliardi in cambio di una seria politica di austerità che nessuno sembra in grado di garantire.

Da alcuni osservatori si segnala come possibile una ‘finlandizzazione’ dell’Ucraina, intendendo con questo termine la posizione neutralista e di legame economico privilegiato con lo Stato limitrofo più potente in cambio di una libertà di movimento e di rapporti sul piano internazionale. Una soluzione sponsorizzata come realpolitik dalla Russia.