La finale del mondiale. Retroscena e pestaggi.

Polizia brutale arresti e ferimenti. Una storia che continua, i retroscena della manifestazione prima della finale

15 / 7 / 2014

Per capire cosa è suc­cesso il giorno della finale mon­diale a Rio de Janeiro biso­gna tor­nare a feb­braio. El Pais il 22, in un arti­colo che ha pro­vo­cato diverse rea­zioni in Bra­sile, rac­con­tava che il sabato nella metro­poli pau­li­sta c’era più poli­zia mili­tare che mani­fe­stanti. Que­sti ultimi erano qual­che migliaio. Secondo i dati uffi­ciali circa due2mila, ma a leg­gere e guar­dare qua e là si capiva che dove­vano essere almeno il dop­pio. Comun­que non numeri para­go­na­bili anche solo a qual­che mese prima.

In mezzo, va detto, c’era stata la vicenda dello sfor­tu­nato gior­na­li­sta morto pro­prio durante una di que­ste mani­fe­sta­zioni, a Rio de Janeiro. Col­pito da un potente petardo, durante una guer­ri­glia, il came­ra­man San­tiago Andrade perse la vita. Fu arre­stato un dicias­set­tenne e comin­cia­rono atti di accusa pesanti nei con­fronti di tutti coloro che anda­vano in piazza. Quando si dice cri­mi­na­liz­zare un movi­mento. A Rio ven­nero stati ese­guiti fermi e i lea­der stu­den­te­schi della pro­te­sta risul­tano tutti inda­gati. Alcuni, addi­rit­tura, sono dete­nuti in car­cere e altri ricer­cati. A tutt’oggi.

Que­sto epi­so­dio dram­ma­tico ha pro­vo­cato l’inasprimento dei prov­ve­di­menti e un elenco di fer­mati (soprat­tutto tra i gio­va­nis­simi), in que­sti mesi che hanno pre­ce­duto la Coppa del Mondo. Il tutto con­dito da una cam­pa­gna media­tica che ha cri­mi­na­liz­zato i movi­menti di piazza. Dome­nica 13 luglio, il giorno della finale Rio, il sole splen­deva come mai i giorni pre­ce­denti. Ma nell’aria, oltre all’attesa per la finale, c’era anche la tipica atmo­sfera dei grandi eventi. Mili­tari a ogni angolo, in ogni strada. Dai Ninja al Bope ai corpi speciali.

Oltre natu­ral­mente la poli­zia di Rio. Eli­cot­teri in cielo, fre­gate in mare, mezzi blin­dati lungo tutta Ipa­nema e Copa­ca­bana. La notte pre­ce­dente, una mas­sic­cia ope­ra­zione aveva por­tato all’arresto, pre­ven­tivo, di atti­vi­sti e pro­mo­tori delle mani­fe­sta­zioni. Così quando si è giunti a Praca Sans Pena l’aria era pesante. Tutte le vie attorno a que­sta piazza — di medie dimen­sioni se si pensa a Rio de Janeiro — erano chiuse da poli­ziotti Ninja o quelli del Bope. A cavallo, su moto­ci­clette e divisi in plo­toni da una doz­zina di uomini si muo­vono com­patti e veloci.

Un cor­teo ha pro­vato a pren­dere la dire­zione Mara­canà, che dista qual­che chi­lo­me­tro. Ma non c’è stata una for­za­tura. Solo un paci­fico virare del cor­teo che, ancor prima di pro­vare a girare l’angolo, è stato aggre­dito con una bru­ta­lità disar­mante. A fine gior­nata, si sono con­tati una qua­ran­tina di arre­stati, chissà quanti feriti. E la deter­mi­na­zione e la fer­mezza delle azioni di repres­sione ha impres­sio­nato non poco. Non c’è mai stata una trat­ta­tiva tra chi è in piazza e le forze di poli­zia mili­tare. Molte per­sone spa­ven­tate si sono rifu­giate nella metro­po­li­tana, ma era una trap­pola. Sono rima­sti lì, chiusi den­tro e accer­chiati. E la poca aria che si respi­rava era inqui­nata dai gas Cs. Anche Amne­sty Inter­na­tio­nal si era pro­nun­ciata su que­ste moda­lità, pro­prio il giorno prima della manifestazione.

Le riven­di­ca­zioni in piazza sono cam­biate, dopo le noti­zie di quanto acca­duto la notte di sabato. Gli arre­sti hanno sicu­ra­mente spa­ven­tato molti, ma hanno anche evi­den­ziato quanto sia dif­fi­cile fare emer­gere voci di dis­senso in Bra­sile. Anche oggi, nel 2014. Quando si assi­ste a pestaggi di ragazzi col­pe­voli solo di avere detto una parola in più o di gior­na­li­sti che stanno sem­pli­ce­mente facendo il loro lavoro, diventa tutto arduo. Molti ope­ra­tori dell’informazione sono rima­sti feriti. Alcuni fer­mati. Lunedì l’associazione dei gior­na­li­sti di Rio de Janeiro ha chie­sto al governo di rife­rire sui fatti acca­duti, ovvia­mente non c’è stata risposta.

Si tende a mini­miz­zare, ma in rete cir­co­lano diversi fil­mati che testi­mo­niano la vio­lenza dei pestaggi. Biso­gna dire che la com­po­si­zione del cor­teo — che di fatto non è mai par­tito, anche se auto­riz­zato — era ete­ro­ge­nea. Dai bam­bini agli adulti. Lo era altret­tanto la folla, più di qua­ran­ta­mila per­sone, che sulla spiag­gia di Leme si era data appun­ta­mento al Fan Fest per assi­stere alla finale. Tan­tis­simi argen­tini. La stra­grande mag­gio­ranza. Cori e magliette di squa­dre che mai si vedono vicine di solito. Il solito tor­men­tone su Papa Fran­ce­sco e Mara­dona, birra a fiumi e tanta passione.

Il cal­cio in Ame­rica Latina è vis­suto con meno fana­ti­smo del nostro. Nes­sun pro­blema, a parte un malore e un paio di spet­ta­co­lari inter­venti degli eli­cot­teri di sal­va­tag­gio per ripe­scare chi in mare che non riu­sciva a tor­nare a riva. Non si scherza con l’Oceano, nep­pure in una spiag­gia di città.

Tanto tifo si diceva, il Cri­sto che dall’alto del Cor­co­vado con un occhio teneva a bada cosa stesse acca­dendo al Mara­canà e con un altro osser­vava la folla sulla spiag­gia. Si sta­gliava nitido, come rara­mente suc­cede. L’atmosfera era tal­mente magica che gli argen­tini hanno ini­ziato a cre­derci. Poi il goal di Mario Goe­tze. Il deflusso è stato amaro, ma molto tran­quillo. Una cosa si notava: i bra­si­liani hanno rico­min­ciato a pren­dere colore. Sono stati, anche cal­ci­sti­ca­mente, giorni duri.