La fine del governo Bolsonaro

20 / 3 / 2019

Alcuni analisti e non pochi media considerano che il presidente Jair Bolsonaro non governi già più a Brasilia. Il presidente e suo figlio sono considerati come “pagliacci” da Mauro Lopes, del collettivo “Periodistas por la Democracia”, assicurando che «in Brasile comanda una Giunta Militare che ancora non confessa il suo nome ma ha già esteso la sua rete».

Nei primi mesi di governo, Bolsonaro è stato due settimane ricoverato, ha provocato una crisi ministeriale per aver scritto una sciocchezza nel suo account Twitter, che ha portato alla destituzione di Gustavo Bebbiano, capo della Segreteria Generale della Presidenza, che oltre a essere il responsabile della sua campagna presidenziale, ha avuto una interdizione pubblica con uno dei suoi figli. Al suo posto è stato designato un altro militare, il generale Floriano Peixoto Neto. Il giornalista afferma che «il governo di Jair Bolsonaro non esiste più», ma che «continuerà ad esistere nel Palacio Alvorada dove potranno giocare ai videogiochi nell’ufficio di Planalto, sempre che obbediscano ai loro superiori, i generali».

Le affermazioni sembrano esagerate, però riflettono in larga misura ciò che sta succedendo. Persino nei media più conservatori, come O Estado de Sao Paulo, già si parla della “militarizzazione della macchina pubblica federale“. Si tratta, secondo l’opinione di vari giornalisti specializzati nelle Forze Armate, come Tania Monteiro, di «una nuova fase del crescente movimento per scegliere gli ufficiali di riserva delle Forze Armate per posizioni strategiche e per settori storicamente coinvolti nelle denunce di corruzione».

Una nuova rilevazione ha contato fino a 103 militari nel secondo e terzo livello di Governo, ministeri, banche e istituti statali. Tra gli obiettivi dichiarati dalle autorità si coniugano i verbi “sanare” la gestione e “prendersi cura” delle risorse dello Stato. Lo specialista in scienze politiche Eliézer Rizzo de Oliveira stima che la partecipazione dei militari è dovuta al discredito dei politici e all’inesperienza del nuovo presidente. Ma avverte del «rischio di discredito delle Forze Armate in caso di insuccesso».

Ad ogni modo, stanno affrontando problemi che vanno ben oltre le loro capacità di risoluzione. Il primo è la vera scarsità di quadri che non hanno vincoli col sistema politico, che sono sempre stati la fonte di reclutamento degli amministratori dello Stato, incluso nella dittatura militare (1964-1985).

Il secondo sono i salari. È quasi impossibile attrarre specialisti con salari che oscillano tra gli 800 e i 5000 dollari, valori poco attraenti se comparati con quelli che si percepiscono nel settore privato. I militari di riserva hanno già la propria pensione e in caso di lavoro per lo Stato percepiscono un supplemento salariale che porta beneficio alle loro tasche e alle casse statali. Ma il problema rimane la formazione.

L’ex ministro degli Affari Strategici, Hussein Kalout, ha fatto notare che «lo Stato è stato catturato dal corporativismo e dalle corporazioni sindacali», e che se questa realtà non sarà smontata «non ci sarà modo di migliorare la gestione pubblica; migliorare l’efficienza della macchina e razionalizzare il suo funzionamento richiede uno sforzo collettivo e riforme strutturali». 

Gli analisti dimenticano, tuttavia, che la lunga dittatura militare che è stata al potere per 21 anni, ha lasciato spazio alla partitocrazia che ora non riconoscono. Gli uomini in uniforme hanno cominciato la loro gestione promuovendo una forte crescita dell’economia, ma quando è arrivata la crisi dei debiti e l’economia brasiliana è ristagnata, agli inizi degli anni ’80, decisero di tornare nelle caserme.

Dall’altro lato, i problemi che si porta dietro il Governo di Bolsonaro sono molto più gravi della mancanza di quadri direttivi. Tempo fa, il cancelliere Ernesto Araújo, fondamentalista anticomunista, ha avuto un duro scontro con l’ex presidente Fernando Henrique Cardoso, una delle figure più importanti del paese, membro del partito neoliberista PSDB (Partito de la Socialdemocrazia Brasiliana).

Il 28 febbraio, Cardoso, aveva scritto su twitter che «nuove elezioni libere sono il cammino per il futuro democratico in Venezuela», perché «gli interventi militari non portano alla democrazia». La risposta del cancelliere è stata imbarazzante. Araújo ha detto che l’ex presidente «difende tradizioni inutili e retoricamente vuote» e che le «disprezza apertamente».

In una lunga predica piena di pregiudizi ideologici, il cancelliere Araújo ha criticato la tradizione lunga 25 anni di politica estera brasiliana, basata sul “consenso”, che ha descritto come “infame”, dal momento che ha permesso «il predominio crescente del bolivarismo in America del Sud». Ha concluso assicurando che nella crisi in corso «non è stato il Brasile a seguire gli Stati Uniti, ma il contrario».

Tale visione del mondo deve far arrossire molti brasiliani, e in particolare i militari, che si giocano il prestigio della propria istituzione con questo Governo.

Trovo due problemi urgenti per la governabilità brasiliana.

Il primo problema è che non è opportuno attaccare la politica del consenso, in cui tutti gli statisti del mondo, eccetto Donald Trump, sono d’accordo, per lo meno nelle dichiarazioni. L’inquilino della Casa Bianca è isolato e in declino e molto probabilmente non riuscirà a riconfermarsi in carica nelle elezioni del prossimo anno.

Il secondo problema è che i militari non hanno il minimo interesse a tagliare i legami con tutta la classe politica brasiliana, in particolare con un veterano politico come Cardoso, che non è un avversario perché è fuori dal gioco elettorale e oltretutto ha un grande prestigio nel paese e all’estero.

Al di là di ciò che si può pensare di Cardoso, è evidente che in futuro, gli attuali governanti dovranno relazionarsi con questi politici che dicono di detestare. I partiti di Cardoso e di Lula sono i due più solidi della democrazia brasiliana e in qualche modo li stanno mettendo sulla stessa barca, guadagnandosi nemici gratuitamente. Il cancelliere Araújo si è già scontrato con la potente burocrazia di Itamaraty, una situazione che ha appena aggravato licenziando un ambasciatore per aver criticato le sue posizioni.

Il prominente diplomatico ed economista Rubens Ricupero, ex segretario generale della UNCTAD, ha avuto un forte scontro con il cancelliere quando ha dichiarato che sta realizzando «un atto di repressione politico-ideologica che ricorda i momenti più bui della dittatura militare, della quale l’attuale presidente è un ammiratore dichiarato».

Ricupero ha rinforzato la sua critica dicendo che, alla luce della condotta del cancelliere, «qual è l’autorità morale che ha questo Governo per denunciare la repressione del regime di Maduro?»

Sembra evidente che le crepe nella credibilità del Governo del Brasile siano sempre più grandi.

Tratto da Mundo.sputniknews.com e tradotto da Christian Peverieri