La guerra alle organizzazioni sociali nell’Arauca colombiana

Intervista a Juan Carlos Torregroza, attivista per i diritti umani con la ONG Fundación Joel Sierra.

24 / 1 / 2022

Minacce, massacri, attentati e sequestri. L’inizio dell’anno in Arauca, dipartimento nel centro oriente della Colombia al confine con il Venezuela, si è aperto con un’escalation di violenza che sembra inarrestabile e che vede le comunità indigene e campesinas della regione in mezzo al fuoco incrociato di gruppi guerriglieri, gruppi paramilitari ed esercito.

Uno degli eventi che ha sicuramente suscitato più rabbia e indignazione è l’attentato contro la sede del Movimiento Politico de Masas Social y Popular del Centro Oriente de Colombia a Saravena la notte di mercoledì 19 gennaio. L’auto bomba, esplosa a pochi metri dalla sede, ha causato la morte di una persona e il ferimento di alcuni leader sociali e cittadini, oltre agli ingenti danni alla sede del movimento.

L’attentato, si inserisce in uno “scenario di guerra” per il controllo del territorio e delle sue risorse tra gruppi paramilitari, guerriglie e stato e ad andarci di mezzo è la popolazione civile. Come il due gennaio scorso, quando in diversi scontri a fuoco tra dissidenti dell’estinta FARC-EP e ELN oltre 27 persone hanno perso la vita. A fare da cornice, lo storico contesto del conflitto sociale e politico che coinvolge il paese e che con il governo di Duque è aumentato.

Poche ore prima dell’attentato, il leader sociale della ONG Fundación Joel Sierra e difensore dei diritti umani José Avelino Pérez Ortiz è stato ucciso in uno scontro a fuoco in pieno giorno nella zona rurale che conduce alla vereda Clarinitero. Qualche giorno dopo, infine, un gruppo di uomini fortemente armato, ha fatto irruzione nella vereda Botalon del municipio di Tame sequestrando 6 uomini della comunità e facendo perdere le proprie tracce.

Per chiarire che non è solo “una guerra tra guerriglie” e il ruolo complice dello Stato nelle violenze e nei massacri, di seguito l’intervista a Juan Carlos Torregroza, attivista per i diritti umani con la ONG Fundación Joel Sierra che da oltre 25 anni documenta il conflitto armato nel dipartimento.

La notte di mercoledì 19 un attentato ha colpito la sede di alcune organizzazioni sociali a Saravena, nel dipartimento di Arauca. Puoi spiegarci cosa è successo, cosa si sa al momento degli esecutori e dei mandanti dell’attentato e perché vengono attaccate le organizzazioni sociali?

«Il paese sta soffrendo da decenni un conflitto sociale e politico armato al quale non sono estranei il dipartimento di Arauca e la regione centro orientale. Questo conflitto ha un’origine politica e cause strutturali che lo hanno generato. È in questo contesto che è successo l’attentato criminale contro il tessuto sociale araucano, contro le organizzazioni sociali che fanno parte del Movimiento Politico de Masas Social y Popular del Centro Oriente de Colombia con un auto bomba che ha causato enormi danni materiali e alcuni feriti tra i leader sociali e la morte di una guardia di vigilanza dell’Instituto Agropecuario ICA.

Questo evento si è prodotto dopo che all’inizio di questo mese sono arrivate minacce con un messaggio audio presumibilmente dalla dissidenza delle FARC attraverso la voce di uno dei comandanti, il signor Antonio Medina, comandante del Frente 28, dove minacciava i leader sociali, il presidente della Junta de Acción Comunal e i loro progetti e processi. Le organizzazioni sociali sono attaccate come prodotto della stigmatizzazione, la segnalazione e la criminalizzazione di tutto il tessuto sociale che si è creata nel contesto di questo conflitto».

Dall’inizio dell’anno si sono verificati già numerosi casi di violenza, attentati, omicidi, scontri a fuoco nel dipartimento e una crescita degli scontri tra dissidenze delle FARC e ELN. Cosa sta succedendo e quali sono le radici storiche e sociali di questo conflitto?

«Il conflitto ha a che fare con la disuguaglianza, l’iniquità, con un modo di produzione obbrobrioso, il capitalismo, che converte tutto in merce. A questo si aggiunge la pretesa del mondo imperialista e dell’oligarchia colombiana di saccheggiare il nostro territorio, con la spoliazione dei beni della natura, innanzitutto il petrolio; inoltre siamo anche una delle frontiere più estese con la hermana repubblica bolivariana del Venezuela. In questo contesto di conflitto sociale e politico armato che stiamo vivendo si inserisce lo scontro tra la resistenza ribelle dell’ELN e la cosiddetta “dissidenza” delle FARC. L’attentato non è un fatto isolato ma è inserito in questo contesto di conflitto sociale e politico le cui radici, come detto, sono il saccheggio dei beni della natura e di servirsi del territorio come punta di lancia per la pretesa imperialista di ingerenza nella repubblica bolivariana del Venezuela».

Il presidente Dunque ha condannato l’attentato e ha promesso un maggior controllo territoriale da parte della forza pubblica. Pensi sia sufficiente per fermare la violenza?

«In relazione alla risposta dello Stato colombiano è chiaro che la militarizzazione non risolverà il conflitto sociale e politico armato e non proteggerà la popolazione. Di fatto, non mira a questo: il nostro è uno dei dipartimenti più militarizzati del paese in relazione al numero di abitanti che non supera i 300 mila. Inoltre c’è una politica dello Stato che è una politica di guerra con la cosiddetta “zona strategica di intervento integrale” o “zona futuro” dove si pretende continuare a militarizzare questo territorio e questo ha a che fare con le mire del mondo imperialista e della oligarchia colombiana che come ho già detto è relazionata allo sfruttamento del petrolio e alla politica interventista nei confronti del Venezuela.

Il conflitto in Arauca non è nuovo, non è di questo anno né di questo mese. L’anno scorso per esempio si è concluso, secondo i dati che abbiamo raccolto, con la morte di 148 morti civili nel contesto di questo conflitto e nonostante questa militarizzazione. È chiaro dunque che la militarizzazione non risolverà il problema perché punta a difendere gli interessi imperiali e oligarchici che hanno in questo territorio. La militarizzazione invece di pacificare attizza il fuoco. Noi abbiamo rifiutato questo, così come abbiamo rifiutato per esempio l’imposizione a governatore di un ex militare che è indagato per crimini di guerra e di lesa umanità per la sua presunta partecipazione a esecuzioni sommarie. Crediamo quindi che non sia una risposta che possa proteggere la leadership sociale, la popolazione, i progetti e i processi del tessuto sociale e storico dell’Arauca».

In maggio si terranno le elezioni presidenziali e sembra che il candidato progressista Petro abbia buone possibilità di vincere. Pensi che una ipotetica vittoria di Petro possa fermare questa spirale di violenza? Come vedi il panorama nei prossimi mesi?

«C’è un processo che è sedimentato dallo Stato che ha causato questo terrore e questo sacrifico del popolo colombiano e che ha che fare con il tema della spoliazione, del saccheggio, della privatizzazione, dei diritti, delle classi popolari. Se osserviamo il contesto quindi si può pensare che difficilmente si può risolvere con una elezione ma è chiaro che se vincerà un’idea diversa di paese ovviamente potrebbe aiutare a costruire questo paese in maniera differente. Se vincerà questa proposta del Pacto Historico secondo me potrebbe aprirsi uno spazio di dialogo che possa affrontare il tema delle cause strutturali di questo conflitto e avanzare proposte per cercare di superarne le cause. Crediamo quindi che potrebbe essere utile, tuttavia la risoluzione del conflitto è qualcosa che va oltre il processo elettorale».

L’attentato alla sede del Movimiento Politico de Masas Social y Popular de Arauca de Colombia è stato rivendicato dal Frente 28 delle dissidenze dell’estinta FARC-EP con un video in cui dichiarano che l’obiettivo era quello di colpire un fronte urbano dell’ELN. Attentato, massacri, sequestri e violenze che invece colpiscono innanzitutto le comunità indigene che cercano di costruire un “Plan de Vida” lontano dalla violenza imposta da paramilitari, ex guerriglieri e Stato.

«Le affermazioni ciniche fatte da Antonio Molina della dissidenza delle FARC – si legge nel comunicato del Movimiento Politico de Masas - son dello stesso stile dei report dell’intelligence militare con i quale, assieme alla procura hanno modellato i montaggi con cui ci hanno imprigionato, montaggi che abbiamo sconfitto nelle stesse aule giudiziarie.

Ciò che è stato costruito nel dipartimento in termini di salute, istruzione, strade e assistenza sociale, è stato il prodotto della lotta, dell'organizzazione e della mobilitazione sociale degli araucanos e di ciò hanno beneficiato collettivamente i residenti e i visitatori, indipendentemente dal fatto che abbiano partecipato o meno a questi processi sociali. 

Il nostro è un lavoro in difesa della vita, dei diritti umani; resistere al saccheggio e all'espropriazione dei territori e dei beni della natura; l'incapacità di co-infettare con colture illecite, motivo per cui ne abbiamo promosso l'eradicazione e promosso la produzione agricola e l'agro industrializzazione; e pretendere il rispetto dei diritti dei popoli all'autonomia e all'autodeterminazione, fanno parte del nostro lavoro sociale per il quale lo Stato ci ha stigmatizzato, perseguitato, assassinato e imprigionato e oggi queste azioni si ripetono attraverso queste strutture dissidenti delle FARC che, per giustificare l'ingiustificabile, come hanno fatto i gruppi dell'asse del paramilitarismo, intendono metterci allo stesso livello di un obiettivo legittimo nel quadro della guerra e non riconoscerci o rispettarci per quello che siamo, un popolo organizzato attorno a un Piano di Vita che si oppone agli interessi del capitale nazionale e straniero,  e che si impegna a trasformare radicalmente questa società costruendone una nuova dove la vita e la dignità delle persone, dei popoli e dei territori siano una realtà».

Il cammino verso la pace in Colombia appare ancora lungo e costellato di ostacoli, di dolore e di violenza, ma grazie alle organizzazioni sociali di base, comunitarie e indigene, che non si arrendono e resistono alla violenza strutturale si può ancora credere che sia possibile costruire un futuro diverso.

Foto di copertina: Congreso de los Pueblos.

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