La guerra del governo colorado contro le donne dell'Esercito del Popolo in Paraguay

4 / 2 / 2021

Lo scorso settembre, il vergognoso infanticidio di due cuginette di undici e dodici anni ha riportato l'attenzione della stampa latinoamericana sulle tragiche conseguenze dell'uso di una forza sempre più disumana impiegata nelle operazioni militari condotte dall'esercito governativo paraguayano. Operazioni mirate allo sterminio di intere famiglie, alla persecuzione sistematica di quel movimento guevarista, costituito in Ejército del Pueblo Paraguayo, formato da “marxisti- leninisti che praticano la lotta rivoluzionaria per l'emancipazione dei poveri, degli operai, dei contadini, dei nativi”, pronti anche ad azioni di guerriglia, capaci di rispondere alla rappresaglia. Dopo l'infame attacco costato la vita di due bambine, l'EPP aveva risposto con il rapimento dell'ex-vicepresidente Óscar Denis, finalizzato al riscatto di due milioni di dollari in derrate alimentari da distribuire in quaranta comunità rurali affamate e alla scarcerazione di Carmen Villalba e Alcides Oviedo, militanti del partito di opposizione Patria Libre, comandanti dell'EPP, in carcere dal 2004. 

I fatti riportati dimostrano come la violenza e il terrore di stato in Paraguay non si fermano di fronte a nessuno scrupolo, nessun richiamo formale, nessuna convenzione sui diritti umani e dell'infanzia. 

Sono ormai passati quattro mesi da quando non si hanno più notizie di Carmen Elizabeth “Lichita” Villalba, una ragazzina di quattordici anni, figlia di Carmen Villalba e cugina delle due bambine uccise solo un paio di settimane prima dalle FTC – Fuerzas de Tareas Conjuntas, i nuclei speciali d'offesa delle forze armate, appositamente creati per la repressione della storica guerriglia e concentrati nella regione di Concepción (non lontano dalla Cordillera Mbaracayú, che la separa dal confine con l'Amambay, Brasile), zona di influenza storica dell'EPP, dove le giovani erano temporaneamente in visita dai parenti nel villaggio di Yby Yaú. 

Laura Villalba, non è una militante, né ha mai partecipato al confitto, ma si prendeva cura delle bambine le ha cresciute lontano dalle tensioni, al riparo dalle violenze. In due diverse occasioni, è stata testimone oculare del fatto che sua figlia e le nipoti furono portate via dall'esercito vive. Il 23 dicembre 2020 viene arrestata, ed è attualmente detenuta illegalmente in una struttura militare. Intanto, si estende in ogni parte del continente la campagna internazionale #EranNiñas, che esige giustizia e verità per sua figlia María Carmen e la nipote Lilian, e l'aparicion con vida di Lichita. 

L'America Latina contemporanea non smette di confrontarsi con un fenomeno mai estinto, con il riproporsi ossessivo del lessico comune: sequestro, tortura, sparizione forzata. La pratica dell'eliminazione fisica dell'oppositore, del ribelle, di chi denuncia i crimini commessi dallo stato, fa del Paraguay un caso emblematico della spaventosa continuità che allinea il modus operandi tradizionale di una classe politica oligarchica fortemente radicata con la prassi adottata dai regimi totalitari di stampo militare e fascista del XX secolo. Ma con la recente escalation di efferatezze compiute durante operazioni non convenzionali svolte dalle FTC, assistiamo alla palese applicazione di un apparato repressivo che agisce sfacciatamente in base alle logiche criminali della vendetta trasversale e della ritorsione, con una modalità da una faida. 

paraguay_sparizione_forzata

Firmando con una scia di sangue, il dittatore Stroessner lasciò in eredità al paese, che si affacciava agli anni Novanta, un'impostazione dello stato arretrata e lo schema latifondista sul quale aveva sviluppato la ripartizione di otto milioni di ettari di suolo coltivabile tra imprese dei propri familiari e affini a membri del suo governo. Il sistema di potere instaurato durante il regime, costato decine di migliaia di vittime, tra torture ed esecuzioni, detenzioni ed esili, non è mai stato smantellato, ma si è evoluto mantenendo solida la sua struttura, sposando l'identità nazionalista originaria con politiche ultraliberiste, accelerate negli anni successivi dai governi Duarte e Cartes. Il potere istituzionale ed economico é rimasto stabilmente e sostanzialmente nelle mani del partido colorado (ANR – Asociación Nacional Republicana), che ha gestito il paese come hub del narcotraffico, lo ha reso un paradiso fiscale, e controlla militarmente il proprio territorio interno attraverso l'utilizzo metodi propriamente mafiosi, con l'appoggio della Colombia, “il braccio armato nordamericano”. 

Il Paraguay, oltre a registrare i tassi di povertà e lavoro sommerso tra i più alti del continente oggi detiene, a livello mondiale, il triste primato della diseguaglianza nella distribuzione della terra: il 90% della superficie coltivabile è in mano a un 2% di proprietari, grandi imprese che sfruttano e avvelenano il suolo per le coltivazioni e speculano sull'esportazione della soia, del tabacco e altri prodotti dell'agrobusiness. 

Proprio in questo scenario di assoluta miseria, generato dalla cieca applicazione del modello estrattivista, i ribelli dell'EPP hanno trovato appoggio nelle organizzazioni contadine che resistono come possono allo sfruttamento delle loro vite e della terra. E in questa regione rurale, poverissima, oggetto di militarizzazione, si iscrivono gli episodi di violenza, gli attentati, i rapimenti, e le decine di contadini, come Vicente Ojeda, i fratelli Ovelar e Julian Ojeda Espínola, spesso “confusi” con guerriglieri, morti nell'ultimo decennio in circostanze mai chiarite dal FTC. 

L'attuale capo del governo, Mario Abdo Benítez, figlio dell'omonimo segretario personale del generale Stroessner, ha ghignato per l'esito positivo dell'operazione militare che, secondo la prima versione resa pubblica, aveva stanato due pericolose terroriste dell'EPP, per poi dover essere richiamato, tra gli altri, dal responsabile ONU per i diritti umani in America Latina a provare a giustificare l'assurdo delitto di due minorenni innocenti. 

Nel frattempo si rafforzava il coro di voci che denuncia le evidenti manipolazioni della scena del crimine, le scorrettezze nello svolgimento delle indagini, e la conseguente diffusione da parte delle autorità di una serie di elementi di difesa molto discutibili (come l'assurda ipotesi, non confermata dagli esami forensi, che delle bambine di undici anni potessero prendere parte attiva in un confitto a fuoco). E ancora omissioni, falsificazioni di prove (come i vestiti delle bambine che sono stati fatti sparire, poi riapparsi bruciati) e irregolarità nello svolgimento dell'autopsia (in principio negata con la scusa delle procedure di prevenzione da contagio del corona-virus, è stata poi svolta impedendo la presenza di un legale rappresentante delle famiglie delle vittime). In sostanza, le autorità volevano far passare l'idea di una sparatoria improvvisa, durante la quale le bambine potevano essere state colpite per errore. Emerge invece in modo ormai abbastanza chiaro che siano state prese, e in un secondo momento freddate, probabilmente dopo atroci sevizie. 

Numerosi gli articoli a proposito di mistificazioni e depistaggi, diverse le interviste le familiari delle vittime di questa “guerra contra las niñas”: la stessa Carmen, che mentre era in carcere ha già perso un figlio adolescente in circostanze “misteriose”, sottolinea l'estraneità di sua figlia Lichita e sua sorella Laura all'organizzazione dell'EPP, ma è ben consapevole del ruolo di testimoni chiave che le ha rese vulnerabili, e Miriam, madre di Lilian, definisce l'azione governativa, prima e dopo il brutale attacco, come una campagna “sporca”, che puntava a descrivere da subito le bambine come nemici pubblici, per spostare l'attenzione sulla legittimità della repressione e avere il tempo di coprire le prove dell'esecuzione vera e propria. 

Le prime manifestazioni, spontanee, locali, si sono svolte fin dai giorni immediatamente successivi all'accaduto. L'indignazione contro il “Narcoestado infanticida” è montata e la rete di solidarietà si è allargata via via che le notizie rimbalzavano da una parte all'altra del continente. A partire dall'Argentina, paese dove sono cresciute le cugine Villalba, e ovviamente non estraneo al lessico, non ignaro dei metodi, non dimentico della propria storia né di accadimenti recenti e analoghi, come quello della tormentata fine di Santiago Maldonado. Gli aspetti di questa vicenda che hanno colpito nel vivo l'opinione pubblica non solo sul piano giuridico, ma prima di tutto dal punto di vista umano, sono molteplici: attualmente sono migliaia di casi irrisolti di persone scomparse, soprattutto donne, soprattutto giovanissime, sottratte quasi sempre a scopo di tratta e sfruttamento, ma questo è un episodio di una storia che va al di fuori di ogni statistica, piuttosto ci aiuta a delineare un preciso quadro della cronaca quotidiana di un paese che rappresenta di per sé un paradigma del lato più oscuro di un continente, un buco nero, un tabù. 

Colpisce il livello insopportabile di violenza istituzionale, al quale non ci si può abituare, il quasi totale silenzio del resto del mondo, colpisce l'ingiustizia, l' impunità dei responsabili materiali e dei mandanti di questi crimini, colpisce questo ennesimo accanimento sulle donne. La campagna #EranNiñas ha raccolto, tra le prime, l'adesione di Nora Cortiñas, portavoce della Línea Fundadora – Madres de Plaza de Mayo, oltre a decine di altri intellettuali, giuristi, movimenti femministi, internazionalisti, associazioni per la difesa dei diritti umani, presenti alla conferenza stampa tenuta dopo l'arresto di Laura. Se è vero che nulla riporterà più in vita due bambine assassinate, è altrettanto vero che si può fare ancora qualcosa per salvare Lichita e Laura, ma soprattutto si deve fare perché storie come quelle della famiglia Villalba, non si debbano ripetere ancora, né in un villaggio in mezzo alla selva, né altrove. 

Anche noi da questa parte dell'oceano, dovremmo unirci all'appello per la liberazione di Laura e Lichita e alla campagna di visibilità e solidarietà internazionale: #aparicionconvidadelichita #eranniñas.

lichita