La pandemia e la nuova guerra di conquista in Brasile

L’intervista di Marco Armiero a Felipe Milanez realizzata per il dibattito “Decolonizzare la crisi ecologica”, tenutosi al Venice Climate Camp.

1 / 10 / 2020

Pubblichiamo l’intervista di Marco Armiero a Felipe Milanez - docente nel dipartimento di studi umanistici dell’Università di Bahia, in Brasile – realizzata per il dibattito “Decolonizzare la crisi ecologica” tenutosi al Venice Climate Camp. Felipe Milanez è coordinatore dell’associazione di ecologia politica latinoamericana Clacso ed è anche giornalista e documentarista: tra i suoi lavori ricordiamo “Toxic Amazon”, un film sulla devastazione dell’area amazzonica da parte dell’industria estrattiva. Traduzione Eleonora Sodini e Anna Viero.

Da quando hai iniziato a fare attivismo a fianco dei leader indigeni delle comunità, nelle loro lotte per i diritti e per la foresta amazzonica, potresti dirci qualcosa sull’ecologia politica decolonizzata e sulla pandemia? Cosa significa affrontare la pandemia di covid-19 da un punto di vista decoloniale? Com’è la pandemia dal punto di vista del Brasile e dell’Amazzonia?

Guardare la pandemia dal mio punto di vista in quanto ricercatore, attivista e giornalista – quindi che sta cercando di raccontare quello che sta accadendo per mobilitare l’opinione pubblica – significa cercare di analizzare questo processo all’interno di un’ampia porzione di storia.

Mi sono sempre interessato alla storia e al processo che ha portato le cose a essere come sono ora. Uso anche i concetti che ho appreso dall’ecologia politica: l’idea che stiamo condividendo lo stesso pianeta in un sistema globale, economico e capitalista che estrae le risorse in un luogo per portarle in un altro e dove regna l’oppressione. Io sono bianco e la mia famiglia è di origini italiane. Quindi non sono nativo americano e nemmeno nero e questo fa sì che io abbia una certa posizione all’interno della società.

E sono contro ogni forma di oppressione storicamente creata in questi luoghi. Significa guardare la pandemia con uno sguardo empatico: ho infatti imparato a percepire il dolore di quelli che nel corso degli ultimi vent’anni sono diventati i miei amici. Ho perso molti amici indigeni lavorando con loro. Prima che diventassero miei amici li vedevo come persone indigene famose lontane da me, adesso vado fiero di essere loro amico. Ho imparato molto da loro, mi hanno dato insegnamenti di vita, in un certo senso sono stati i miei professori per molte cose. Grazie al loro background accademico mi hanno aiutato a capire quello che succedeva nel mondo, analizzando il contesto e cercando di intervenire.

Una delle cose alle quali sto pensando maggiormente è come, in ambito accademico, le parole coloniale e decoloniale siano diventate di moda, diventando anche identitarie in alcune situazioni. Se guardiamo al Brasile, mi sono accorto che stiamo reinventando un’altra parola che è venuta prima di coloniale e decoloniale, e che è anche piu importante: la conquista. L´espansione europea nel mondo attraverso la conquista. Ed è quello che sta accadendo proprio ora. Ora non è il Portogallo che sta conquistando il Brasile, ma Trump, il capitale finanziario e le multinazionali stanno effettivamente conquistando quei territori.

La storia della conquista del Brasile non riguarda l’esercito portoghese che sconfisse i nativi americani perchè in possesso di armi migliori, si tratta piuttosto di virus e batteri associati a persone violente con delle pessime idee. Gli europei armati hanno ucciso gli indiani, gli amazzoni, l’ambiente e le persone in tutto il Brasile, ma anche in Colombia e nelle Filippine. Le guerre di conquista sono sempre state caratterizzate da brutte persone.

Ma l´Europa non ha mai vinto una singola guerra al di fuori dall´Europa senza avere al suo fianco persone che non fossero europee, quindi o persone idigene o africane. Praticamente formavano delle alleanze. Quindi quello che abbiamo potuto osservare finora è una guerra di conquista con molte alleanze locali violente.  Bolsonaro ha il supporto del 40% della popolazione brasiliana e sia Bolsonaro che i suoi sostenitori sono uomini bianchi, per esempio, i miei familiari che vivono al sud, contro i quali infatti mi sono dovuto scontrare per lottare contro Bolsonaro. Ma vediamo anche le comunità indigene divise: la minoranza supporta Bolsonaro perchè è sotto la sua diretta influenza. Mentre la maggior parte delle persone, generalmente trainate dalle donne, difende la vita e i territori.

Quello che si vede qua non è solo una struttura coloniale – che ovviamente abbiamo - ma è una violenta guerra di conquista, che si beffa della morte proprio come fa Bolsonaro, e usa la pandemia per conquistare i territori. Quindi, la pandemia è stata estremamente violenta qui. Non ha niente a che vedere con quello che sta succedendo in Italia o in Europa, è molto peggiore e crudele. E io mi trovo in una posizione in cui posso isolarmi e quindi posso parlarne, ma molti dei miei amici indigeni no, perché sono stati invasi dai nuovi “cercatori d’oro” e sono morti.

Ho cercato disperatamente di attirare l’attenzione dei bianchi: non ci serve questo per sopravvivere, fermiamo il colonialismo della conquista. Lottiamo insieme. Non è perché sono nativo che devo soffrire. Quindi ho abbracciato la lotta contro il genocidio, non solo delle persone indigene, ma anche delle persone nere. Sono state uccise in modo sproporzionato dal coronavirus. Non sono morte di cause naturali, sono state assassinate. Quando si lasciano le persone morire non  si tratta di necropolitica?

E hanno subito iniziato ad appropriarsi dei territori. Mentre il governo non stava facendo niente per proteggere le vite indigene, è riuscito a legalizzare l’invasione dei cercatori d’oro, di compagnie minerarie e del settore agro alimentare per far loro estrarre risorse naturali e mandarle in Cina, in Europa o negli Stati Uniti. Quindi le aziende americane ed europee hanno guadagnato molto dalla crudeltà del genocidio in Brasile, anche supportando le élites brasiliane a cui non importa dei morti.

La parte peggiore di questa guerra di conquista è che la sua matrice coloniale porta alla perdita di empatia: «loro non sono umani, sono nativi americani, sono neri». Quindi le persone bianche, e anche qualche nativo americano o nero, hanno smesso di sentire la sofferenza degli altri. Abbiamo perso l’empatia. Migliaia di persone muoiono ogni giorno in Brasile da maggio. Sono 130.000 morti.

Ma andiamo avanti. «Sono morti, e quindi?», ha detto Bolsonaro. Non è solo quel pazzo di Bolsonaro a fare questa affermazione, ma è un modo di pensare che è diventato egemonico. Non sono solo i brasiliani: loro sono parte di cò che sta accadendo in tutto il mondo. Qualche brasiliano è diventato insensibile di fronte alla morte degli altri, come anche molti americani ed europei. E questo va cambiato. E il primo modo per farlo non è solo iniziando a vedere l’umanità in modo diverso, attraverso la nostra diversità ed empatia, ma anche cambiando la nostra relazione con la natura. Ad esempio Pantanal, un altro bioma, sta bruciando proprio in questi giorni. Dobbiamo sentire lo stesso dolore dei giaguari, della foresta e delle persona che stanno morendo. Stiamo distruggedo la nostra casa e i nostri parenti. 

Grazie Felipe. Hai detto molte cose che rispecchiano il mio modo di pensare. Ma c’è una cosa che vorrei menzionare, ossia il potere delle parole. C’è una grande differenza tra il dire che qualcuno è morto o è stato ucciso. Lo so molto bene. Mi ricordo che quando stavo studiando il disastro della diga in Italia (il Vajont, ndr) tutti affermavano che 2000 persone erano morte, ma io nel mio libro scrivevo che 2000 persone erano state uccise dal capitalismo. Le parole sono potenti.
Hai anche parlato dell’altro e del fatto che non riconosciamo più l’umanità e la vita negli esseri non umani – la foresta e i giaguari – e sono d’accordo con te.
Noi non siamo in Brasile, ma al Climate Camp a Venezia: puoi dirci qualcosa sulle lotte per il cambiamento climatico? Pensi ci sia la possibilità di un’alleanza globale per il clima che possa mettere insieme le persone indigene, progressiste, la sinistra, i lavoratori e gli studenti che si stanno mobilitando per il clima? E come potremmo costruire un’alleanza del genere? Hai detto qualcosa sulla moda delle parole coloniale e decoloniale nel campo accademico, ma la vita va oltre: quindi come possiamo creare un’alleanza che vada oltre le nostre parole scritte, e si realizzi nella foresta, nelle strade, nelle fabbriche?

Beh, dobbiamo decolonizzare. Ed è un processo doloroso, non è bello. È bello usare questa parola e fare finta di essere riusciti a decolonizzarci in quanto individui. Ma farlo davvero nella vita di tutti i giorni è davvero difficile. È un impegno di mobilitazione: bisogna leggere altre cose, ascoltare un diverso tipo di musica, cambiare la nostra vita quotidiana e impegnarci per uno stile di vita alternativo. E una volta sviluppata la coscienza di decolonizzare il mondo non si potrà più tornare indietro. Si tratta di un movimento molto potente.

E la lotta al cambiamento climatico ha bisogno di decolonizzarsi. Non abbiamo niente da imparare dall’Europa. Non ha niente da insegnare al mondo. Non c’è più niente in termini di idee innovative. Quello che ha bisogno di fare l’Europa è imparare. Io qui mi considero di origini europee, quindi non mi permetto di dire quello che devono fare i brasiliani per decolonizzarsi. Quello che sto cercando di fare qui è ascoltare i nativi americani, i neri, le donne. Come hanno portato avanti le loro lotte? Come possiamo lottare insieme? Dobbiamo innanzitutto imparare a farlo. Questo è fondamentale.

Le persone indigene e nere in America stanno lottando contro il cambiamento climatico da ancora prima che i suoi effetti diventassero visibili. Quindi dobbiamo imparare da loro contro chi hanno combattuto. Quali sono le loro idee e come possiamo condividerle? Come gestiscono i loro territori? Come si approcciano alla pachamama, la terra? Come si occupano dell’economia e delle tribù? Non vogliono la crescita. Sono contro la crescita e l’espansione. Vogliono stare bene dove sono e vivere le loro vite. Dobbiamo cambiare il significato che diamo alle nostre vite.

Dobbiamo lottare all’interno dei nostri territori e stati, quindi gli europei devono comportarsi in qualche modo da antieuropeisti. L’Europa infatti è un’invenzione del colonialismo, non è mai esistita in quanto tale. Lasciamoci i greci alle spalle e pensiamo ai nostri problemi di adesso. Quindi come possiamo creare una cittadinanza globale? Penso sia molto importante. Non si tratta solo di quello che consumiamo oppure no, si tratta di essere consapevoli di lottare insieme alle persone in Europa, in Brasile e in Africa. Come possiamo condividere l’idea di una democratizzazione della terra, del suo utilizzo e del rapporto che abbiamo con lei. E come possiamo lottare contro le idee nazionaliste che stanno distruggendo tutto quello che potrebbe essere condiviso a livello globale?

Credo che quello del cambiamento climatico sia un movimento globale. Dobbiamo lottare e trovare delle cose in comune tra di noi. Tra europei, brasiliani e indigeni bianchi e neri. Dobbiamo andare oltre le differenze che ci separano e trovare i punti in comune. Perché possiamo condividere questo pianeta. Dobbiamo abitare insieme in questo spazio. E noi lo stiamo distruggendo. L’essere umano sta distruggendo il pianeta. Ma la distruzione è iniziata con i concetti di oppressione, conquista, colonialismo ed espansione europea. Quindi l’Europa può cambiare guardandosi dentro e imparando.

La questione non è salvare l’Amazzonia, ma salvare l’Europa. Se voi potete salvare l’Europa, allora anche noi possiamo salvare l’Amazzonia. E dovete salvare ogni singolo posto, perché sono tutti importanti. L’Amazzonia, la foresta atlantica, le foreste in Europa. Dobbiamo identificare i nostri problemi e usare altre lenti per guardare agli essere umani e non riconoscendoli come degli amici. Si tratta di costruire nuove alleanze politiche in grado di distruggere il capitalismo ovunque. Non possiamo distruggere il capitalismo solo in Amazzonia. E non mandateci soldi per costruire nuovi edifici nella foresta. Mettiamo un punto al capitalismo. È un problema mondiale.

Stiamo lottando contro il capitalismo per una nuova società. Per imparare dagli altri non sfruttandoli ma prendendo ispirazione dalle idee delle persone indigene. Ascoltando più musica indigena e nera. Comprendendo l’importanza degli antenati per le popolazioni indigene e, pensando ai nostri antenati, cercare di creare un dialogo con loro. Abbiamo avuto delle bellissime divinità greche, romane e vichinghe: sono molto più importanti della politica del controllo e delle multinazionali capitaliste.