La questione palestinese è una questione di giustizia climatica

La lotta per la giustizia climatica per tutti è direttamente collegata alla lotta palestinese.

2 / 12 / 2019

In seguito la traduzione - a cura di Dario Fichera dell'Associazione Ya Basta Êdî Bese- di un articolo di Abeer Butmeh precedentemente pubblicato su Al Jazeera.

“La lotta per la giustizia climatica globale è direttamente connessa alla lotta del popolo palestinese. Nella Cisgiordania occupata, Israele ruba e distrugge sistematicamente terra e acqua palestinesi. Israele controlla oltre il 60% delle terre della Cisgiordania, dove 640.000 israeliani vivono attualmente in insediamenti illegali. I coloni israeliani consumano sei volte più acqua dei 2,9 milioni di palestinesi residenti in Cisgiordania. Israele ha anche sradicato 800.000 alberi di ulivo dal 1967. Israele promuove una propria immagine “green” in tutto il mondo, ma la realtà è drammaticamente diversa. Israele si affida a pratiche agricole e idriche insostenibili che dipendono dallo sfruttamento della terra e dell'acqua dei palestinesi. Inoltre, il 97,7% della produzione di elettricità israeliana proviene da combustibili fossili ed Israele sta cercando di esportare in Europa gas naturale ed energia elettrica generata da combustibili fossili.”

Questo venerdì, 29 novembre, due importanti eventi globali di grande importanza per me hanno coinciso: il quarto sciopero globale per il clima e l'annuale Giornata internazionale di solidarietà delle Nazioni Unite con il popolo palestinese. Questa convergenza rappresenta anche simbolicamente una verità importante: la lotta per la giustizia climatica globale è direttamente connessa alla lotta del popolo palestinese. 

La Palestina è una questione di giustizia climatica.

Nel mio lavoro di coordinamento delle organizzazioni ambientaliste palestinesi, ogni giorno testimonio che per i palestinesi il cambiamento climatico non è solo un fenomeno naturale, ma politico. Il regime israeliano di occupazione e apartheid, che ci nega il diritto di gestire la nostra terra e le nostre risorse, aggrava la crisi climatica che i palestinesi affrontano, rendendoci più vulnerabili agli eventi climatici.

L'esempio più estremo è la Striscia di Gaza, dove due milioni di palestinesi vivono in una prigione a cielo aperto sotto l'occupazione e l'assedio israeliani. Le Nazioni Unite hanno previsto che Gaza sarà invivibile entro il 2020. Molti sostengono che lo sia già.

La grave carenza di acqua potabile a Gaza è stata aggravata non solo dai cambiamenti climatici, ma anche dalle restrizioni israeliane sull'ingresso di materiali necessari per il trattamento delle acque reflue. Di conseguenza, le acque reflue si sono infiltrate nella falda acquifera di Gaza e fluiscono non trattate nelle acque costiere di Gaza, danneggiando la vita marina e la salute. Il 97% dell'acqua di Gaza non è adatto al consumo umano e l' acqua contaminata causa il 26% di tutte le malattie ed è una delle principali cause di malattie e decessi infantili.

Cito uno degli innumerevoli e tragici esempi dell’impatto che la crisi idrica ha a Gaza: un bambino di cinque anni, Mohammed al-Sayis, è morto dopo essere andato sulla spiaggia di Gaza con la sua famiglia per sfuggire al caldo, a causa delle conseguenze dell’ingestione di acqua marina durante una nuotata nel mare contaminato.

Israele ha anche danneggiato la terra e l'agricoltura di Gaza. L'esercito israeliano impedisce ai palestinesi di utilizzare il 20% della terra arabile di Gaza vicino alla recinzione militarizzata di Israele (zona cuscinetto nella quale sono installati dei sistemi di mitragliatrici automatiche che sparano a tutto ciò che si muove all’interno dell’area, ndr) e prende di mira i terreni agricoli di Gaza con pericolosi erbicidi . Uno studio condotto dalla nostra organizzazione , la rete di ONG palestinesi ambientaliste - FoE Palestine, ha rivelato che la guerra di Israele del 2014 a Gaza, durante la quale Israele ha lasciato cadere 21.000 tonnellate di esplosivi sulla striscia, ha causato ingenti danni al suolo che hanno ridotto la produttività agricola.

Nella Cisgiordania occupata, Israele ruba e distrugge sistematicamente terra e acqua palestinesi. Israele controlla oltre il 60% delle terre della Cisgiordania, dove 640.000 israeliani vivono attualmente in insediamenti illegali. I coloni israeliani consumano sei volte più acqua dei 2,9 milioni di palestinesi residenti in Cisgiordania. Israele ha anche sradicato 800.000 alberi di ulivo dal 1967.

I mezzi di sussistenza delle comunità agricole palestinesi sono stati trasformati dalla combinazione di land e water – grabbing e cambiamenti climatici. Gli agricoltori palestinesi si trovano a dover affrontare alcuni dei problemi più gravi nella Valle del Giordano, un'area agricola che comprende il 30% della Cisgiordania.

Il villaggio di Al-Auja nella Valle del Giordano è un caso lampante. Parte della terra di al-Auja è stata espropriata da quattro insediamenti colonici israeliani. Al danno si è aggiunta la beffa: la principale sorgente di al-Auja, che un tempo forniva un flusso continuo di acqua per l'agricoltura, ora fornisce acqua da poche settimane a pochi mesi ogni anno. Questa riduzione si è verificata a seguito dello scavo di pozzi a monte della falda acquifera da parte di Mekorot, la compagnia idrica nazionale israeliana.

E mentre villaggi come al-Auja lottano ogni giorno per adattarsi alla scarsità d'acqua, gli insediamenti illegali israeliani nelle vicinanze godono di un abbondante accesso all'acqua potabile, per irrigare coltivazioni e prati ed addirittura per le piscine. Chiamiamo questa grave discriminazione l'apartheid dell’acqua, una componente importante del più ampio regime di apartheid delle risorse naturali che Israele sta imponendo ai palestinesi.

Israele promuove una propria immagine “green” in tutto il mondo, ma la realtà è drammaticamente diversa. Israele si affida a pratiche agricole e idriche insostenibili che dipendono dallo sfruttamento della terra e dell'acqua dei palestinesi. Inoltre, il 97,7% della produzione di elettricità israeliana proviene da combustibili fossili ed Israele sta cercando di esportare in Europa gas naturale ed energia elettrica generata da combustibili fossili.

In occasione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, le nostre organizzazioni ambientaliste palestinesi chiedono una pressione globale su Israele affinché ponga fine all'apartheid, attraverso il boicottaggio del governo israeliano e delle aziende che sono complici nella distruzione dell'ambiente, violano i nostri diritti e traggono profitto dalle risorse naturali dei territori dei quali siamo indigeni.

Ciò include il boicottaggio dei progetti internazionali di Mekorot, che sostengono l'apartheid idrico privando i palestinesi dell'accesso all'acqua e fornendolo, invece, agli insediamenti illegali israeliani; il boicottaggio di  tutti i datteri israeliani di Mejdoul, che vengono coltivati nella valle del Giordano con l’utilizzo di terra e acqua (e forza lavoro, ndr) rubate ai palestinesi; ed opponendosi all'esportazione israeliana di gas naturale ed energia elettrica in Europa.

All’interno delle azioni di Fridays For Future di tutto il mondo, per porre fine all'utilizzo di combustibili fossili e per la giustizia climatica globale, gli organizzatori dovrebbero includere tali boicottaggi tra le loro strategie e dovrebbero richiedere libertà, giustizia ed uguaglianza per le popolazioni indigene palestinesi.