La vedetta sul Bosforo

Il ruolo che l'Unione Europea ha avuto e avrà in futuro rispetto alle ultime elezioni che si sono tenute in Turchia la scorsa settimana

10 / 11 / 2015

Elezioni: nell’accezione più comune si intende connotare con questa parola la designazione di un soggetto ad una carica tramite l’esercizio del voto.  Se a questo aggiungiamo quanto dice l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), ossia che “ le elezioni devono essere esercitate attraverso la libera espressione popolare in un regime contraddistinto dalla garanzia reale di partecipazione politica della popolazione adulta maschile e femminile, dalla possibilità di dissenso, opposizione e competizione politica”, allora non possiamo definire le ultime elezioni svoltesi in Turchia come democratiche.

Se da una parte, visto anche la grande attenzione mediatica internazionale, i cittadini hanno potuto scegliere tra forze politiche alternative che si presentavano a queste elezioni con un altissimo grado di polarizzazione, dall’altra c’è stato un netto e inconfutabile declino della libertà di stampa e di restrizioni della libertà di espressione che, sicuramente, hanno influenzato il processo di votazione. E’ innegabile dire che la mancanza di libertà in generale, oltre che le minacce e le violenze perpetuate delle forze dell’ordine,  abbiano segnato indelebilmente la campagna elettorale, risultando poi determinanti nella netta vittoria dell’AKP, il partito di Erdogan.

Anche gli osservatori internazionali, giunti in gran numero in Turchia per queste ultime elezioni, hanno dovuto affrontare ostacoli non indifferenti: sono stati vittime di  ostruzionismo e pressioni, regalando così un’ulteriore immagine della Turchia come di un Paese  “che non si adatta alla democrazia”. Secondo il rapporto della delegazione del Parlamento europeo sono state diverse le situazioni di alterchi, di interventi della polizia, di pressioni e di veri e propri brogli, che si sono verificate nei seggi elettorali.

Dalla squadre speciali che hanno presidiato per l’intera giornata i seggi del distretto di Sur, a  Diyarbakir,  alla detenzione preventiva di sei osservatori e del loro interprete a Dicle, passando per le minacci ai giornalisti che non potevano documentare liberamente lo svolgersi delle operazioni di voto. Inoltre, il conducente della delegazione tedesca è stato arrestato nel quartiere Sason-Kozluk a Batman, dove stava accompagnando gli osservatori ad un seggio.

Ad Adiyaman, invece, sia i membri internazionali comitato sia i rappresentanti di lista dell’ HDP sono stati allontanati dai seggi, non con poche polemiche. Non solo nelle province curde, ma anche a Istanbul gli osservatori internazionali si sono trovati di fronte a scomodi ostacoli. Secondo İleri, un'agenzia di stampa turca, gli osservatori provenienti dalla Grecia sono stati arrestati dalla polizia a Istanbul nella scuola elementare  Kumkapı Tevfik Kut, mentre il comitato di osservazione francese alla Scuola Elementare in Bayrampaşa è stato rinchiuso nell'ufficio del preside.

La presenza di osservatori internazionali e la loro conseguente denuncia può essere d’aiuto? La loro presenza è stata sicuramente fondamentale per evitare una falsificazione ulteriore del voto, ma d’altra parte ciò non toglie che vanno considerati allo stesso tempo due fattori importanti: in primo luogo gli accordi economici internazionali tra Turchia e Paesi membri dell’UE; in secondo luogo va notato che le decisioni prese dall’UE nei confronti del voto in Turchia non sono in nessun modo condizionanti per Erdogan e per l’AKP.

Andiamo con ordine: la schiacciante vittoria del partito di Erdogan arriva dopo una campagna elettorale drammatica, segnata da violenze e da una stretta senza precedenti sulla comunicazione. Il risultato è anche in gran parte figlio di questo clima, di una propaganda governativa, foraggiata da milioni di lire turche, ha cercato di identificare l'HDP e i suoi sostenitori in tutto il territorio turco, in particolare i curdi del sud-est dell’Anatolia, con con la minaccia terroristica.

Innegabile che l’AKP abbia i numeri per formare un governo monocolore e stabile, ma è anche vero che Erdogan potrebbe non accontentarsi e cercare una forzatura per avviare le procedure per la modifica in senso anti-democratico della costituzione.

Al tempo stesso i paesi occidentali, e l'Europa in primis, non possono restare indifferenti di fronte all'evoluzione della situazione politica, interna ed estera, in Turchia dal momento che è stata stretta un’alleanza che ha come obiettivo la lotta allo Stato Islamico in Siria e in Iraq. Per queste ragioni l’Unione Europea si trova in una situazione di totale inattività e, senza troppi problemi, chiude un occhio sul risultato delle elezioni e si limita ad avvisare la Turchia di gestire con intelligenza il risultato elettorale. Con le sue stesse azioni, l’Unione Europea dimostra limpidamente di preferire una Turchia non democratica ma stabile, piuttosto che ritrovare un paese strategico in preda all’ingovenabilità e alla violenza. Tutto questo sulla pelle dei curdi.

La ricerca di assetti stabili e pacifici nella regione mediorientale lambisce anche la Turchia. L’ondata migratoria che il conflitto siriano ha prodotto negli ultimi anni rende obbligatorio il coinvolgimento anche della Turchia nel processo di ridefinizione dell’emergenza e del metodo per affrontarla. Il recente accordo Merkel-Erdogan ha questo preciso obiettivo: prevede infatti un consistente aiuto economico da parte dei paesi europei per creare in territorio turco dei centri di accoglienza, allegerendo così la pressione migratoria sui paesi balcanici e dell’Europa orientale. Tale accordo è stato raggiunto anche grazie al fatto che l’esecutivo europeo ha proposto un’accellerazione del processo di liberalizzazione dei visti e un pacchetto di aiuti finanziari.

A molti può non piacere la vittoria di Erdogan e dell’AKP, ma certamente molti altri gioiscono per la stessa: esiste un’alternativa stabile in un Medio Oriente segnato da profonde linee di frattura e da ondate di rifugiati che scappano da guerre? La risposta è no, non esiste un’alternativa. E’ invece l’Europa che necessita di una vedetta autoritaria ai suoi confini e al suo servizio per fare la guardia alle nostre paure.