Il dipartimento di Stato Usa, ieri, ha inserito nella cosiddetta 'lista nera' il Party for free life in Kurdistan (Pjak), gruppo armato di curdi iraniani nato nel 2004, con la finalità ufficiale di lottare contro il centralismo del governo di Teheran, per il riconoscimento dei diritti della minoranza curda in Iran. Dal 2004 a oggi sono centinaia le incursioni condotte in territorio iraniano dai guerriglieri del Pjak, mentre il governo di Teheran reagisce accusandoli di essere al soldo degli Usa per destabilizzare il regime degli ayatollah. L'Iran, nel 2006, ha cominciato la costruzione di un muro nei pressi del posto di frontiera di Haji Omran, al confine con l'Iraq. Il Pjak, come il Partito Curdo dei Lavoratori (Pkk) si nasconde sui monti Qandil, nel Kurdistan iracheno. Il governo di Teheran ha anche elaborato una strategia comune con la Turchia nella caccia spietata ai guerriglieri curdi.
A parlare a nome del Pjak, dopo lunghe trattative, in una desolata costruzione sui monti Qandil, sono Bryar Gabar e Agri Shahoo, rispettivamente responsabile politico e militare del Pjak.
Com'è organizzato il
Pjak?
Il movimento è coordinato da un comitato centrale, formato da
sette persone - risponde hewal (la parola curda che sta per 'compagno')
Bryar - Due di questi siamo noi. Per coordinamento s'intende tutto quello che
concerne la vita del Pjak: dalle attività militari a quelle politiche e così
via. Siamo stati eletti dal congresso del Pjak, nell'aprile 2004, quando abbiamo
deciso di dar vita alla lotta armata. Sembra un movimento giovane, ma ha alle
spalle una lunga storia, una cultura millenaria incastonata nel puzzle etnico
dell'Iran, non certo un corpo estraneo come tenta di far credere il governo
iraniano. La nascita degli stati nazionali ha generato il problema: una nazione,
una bandiera, un popolo, una lingua. L'etnocentrismo persiano dello Shah prima e
degli ayatollah dopo ha messo tutte le minoranze iraniane in una condizione di
emarginazione. Contro questo abbiamo deciso di lottare.
Perché la decisione di lottare con le armi?
Come dicevo
il movimento nasce nel 2004, ma solo come atto finale di un lungo processo di
maturazione politica. L'arresto di Ocalan ha accellerato una presa di coscienza
collettiva, responsabilizzandoci tutti. Per motivi interni e per l'agenda
politica del regime iraniano che, in quel tempo, ha incrementato la repressione
della componente curda della sua società.
Come mai proprio nel 2004? Quello è stato un anno particolare: i
curdi iraniani si danno alla lotta armata, i curdi siriani si scontrano con le
truppe governative e in Turchia il Pkk riprende la lotta dopo anni piuttosto
tranquilli. Alcuni sostengono che non sia un caso e che, dopo la caduta di
Saddam, i curdi abbiano tentato di riproporre il modello di autonomia dei curdi
iracheni anche in altri stati. Nel caso di Siria e Iran, dove nel 2004 è stato
eletto presidente Ahmadinejad, con il sostegno Usa per destabilizzare due
governi nemici.
Lei cita due eventi importanti: l'elezione di
Ahmadinejad e la caduta di Saddam. Ma questa visione tradisce il vostro punto di
vista esterno, non quello interno. Una visione che taglia fuori tutte le
attività della resistenza curda in Iran, prima della nascita del Pjak.
L'elezione di Ahmadinejad, per noi, coincide con il periodo peggiore della
repressione, inutile negarlo, ma non è che un passaggio di un cammino fatto
della negazione della nostra identità in Iran. Molti più cambiamenti nella
situazione curda li ha generati la guerra del Golfo nel 1991 e la dissoluzione
dell'Unione Sovietica. Questo ha differenziato la lotta in Iran da quella in
Turchia e Iraq. Cammini e problemi differenti, unificati dalla leadership di
Ocalan. Già prima della nascita del Pjak, molti di noi si erano uniti al Pkk e
hanno fatto esperienza politica e militare. Nel 2004 abbiamo sentito di essere
pronti a fare da soli.Quindi nega l'appoggio degli Usa?
Anche se in passato alcuni vostri esponenti hanno avuto, come scritto dal
Washington Post, degli incontri diplomatici negli Stati
Uniti?
Gli Usa sono avversari dell'Iran, che così come sono
rappresentano un ostacolo a quel progetto chiamato Grande Medio Oriente. Fa
parte di una lettura molto superficiale delle cose l'idea che, per questo, noi
dovremmo essere alleati degli Usa o peggio ancora lavorare per loro. La
situazione è molto più complessa di così. Armi nucleari, diritti umani sono
tutti pretesti: Washington ha paura che Teheran diventi una potenza regionale.
La domanda è: vogliono gli Usa fare in Iran quello che hanno fatto in
Afghanistan o in Iraq? Se si, il problema sarà una coalizione internazionale
contro l'Iran, non un sistema di alleanze interno all'Iran. Non ha senso puntare
sulle minoranze. Se anche supportano qualcuno, lo fanno solo a livello
culturale, non politico. Le stesse minoranze sono divise tra di loro!
Ahmadinejad lo dice perché fa comodo far passare noi o gruppi arabi come agenti
stranieri, per giustificare le repressioni interne del regime che guida. Noi
siamo indipendenti, e l'abbiamo sempre ribadito, criticando l'alleanza Usa con
la Turchia e le strategie Usa nelle regione. Viviamo in queste montagne e sono
gli Usa che forniscono gli aerei senza pilota che servono ai turchi per
bombardare quasi ogni giorno, da un anno, i monti Qandil. Bombardano anche noi,
bella forma di alleanza! Non ci inserivano nella 'lista nera' sono per
opposizione ad Ahmadinejad. Il Washington Post non è indipendente, ma
come tutti i media lavora per le politiche del suo governo.
I curdi iraniani hanno dato un grande sostegno all'invasione Usa
dell'Iraq nel 2003 e oggi godono di una sostanziale indipendenza. Se gli Usa
attaccassero l'Iran fareste lo stesso?
Sono valutazioni che lasciano
il tempo che trovano. Se si concretizzasse un attacco all'Iran potrebbe crearsi
un'opportunità interessante per noi. Non appoggeremo mai un'invasione,
soprattutto perché non sarebbero chiari i fini, ma valuteremmo la
situazione.
Voi e il Pkk vi coordinate nelle
azioni militari? Avete una strategia comune? Aveva senso aprire un secondo
fronte mentre l'esercito turco lancia una sorta di offensiva finale in
Turchia?
Condividiamo il progetto confederale, l'unica vera
soluzione per la questione curda e per il Medio Oriente. Sono i confini ad aver
creato la situazione che c'è adesso. Tutte le nostre operazioni sono in
territorio iraniano e solo contro obiettivi militari. Nessuno di noi lotta
militarmente in un territorio che non rientri nella strategia regionale del
singolo movimento. Abbiamo già ucciso più di cento soldati iraniani, ma non lo
dice nessuno. Ma è sempre legittima difesa, quando loro ci attaccano qui.
Attaccherebbero anche la piccola casa di un curdo in Africa, come si fa a dire
che abbiamo aperto un altro fronte: c'è già un secondo fronte. Voi sottovalutate
l'aspetto strategico, come sulla questione di Kirkuk, dove i turchi vogliono
mettere le mani. Per questo lanciano l'offensiva contro il Pkk. La coalizione
tra Siria, Turchia e Iran esisteva già, non solo dal 2004.
Ma, per la prima volta, i militari iraniani e turchi collaborano
contro di voi e contro il Pkk. Costruendo anche un muro al
confine.
Il muro? Rientra nei piani di soffocamento dell'identità
curda. Vogliono annientarci, costituendo una zona smilitarizzata sui monti
Qandil. Per quale altro motivo bombarderebbero da più di un anno queste lande
desolate. Vogliono terrorizzare i civili, perché sanno che noi e il Pkk siamo
movimenti popolari, sostenuti dalla gente. Colpiscono i civili per farli
scappare, in modo da lasciarci soli. Il muro è la stessa cosa, un simbolo di
questa strategia. Per ora sono solo 5 chilometri, ma continuano la costruzione.
Solo che i pastori di queste terre sostengono noi, non loro.