L'apocalisse australiana causata dal profitto

9 / 1 / 2020

I vigili del fuoco riportano di aver visto fiamme alte 150 metri. Leggilo di nuovo, lentamente. Fiamme di 150 metri. Più alte di un edificio di 40 piani.

Questa è la nuova normalità dell’estate australiana. Fiamme alte come torri e una popolazione terrorizzata che si raggruppa sulle spiagge nell’oscurità della notte o sotto il bagliore arancione del giorno. Disorganizzate e in preda al panico, migliaia di persone sono costrette a fuggire. Città e province sono state avvolte per giorni, settimane e ora per mesi da una fitta foschia a volte irritante, a volte tossica, a volte mortale. Paragonati ai territori bruciati in Australia, gli incendi che hanno colpito l’Amazzonia e la California apparirebbero piccoli.

Decine di persone risultato morte o disperse. E questi sono solo i primi giorni.

Il quotidiano Melbourne’s Age riporta l’evacuazione di Corryong, una piccola cittadina che si trova a nord-est di Victoria, durante la vigilia di capodanno: “ Tutti coloro che volevano partecipare alla carovana dovevano avere abbastanza carburante per arrivare a Tallangatta, a circa 85 km di distanza, e dovevano scrivere il loro nome su una lista. Se qualcosa fosse andato storto, la lista sarebbe servita al medico legale”.

Le fiamme gettano violente luci sulle priorità delle autorità australiane.

Vediamo i vigili del fuoco arrangiarsi con patetiche maschere anti-smog di carta, mentre il governo regala 12 miliardi di dollari alle industrie dei combustibili fossili ( 29 milioni di dollari se contiamo anche i sussidi indiretti).

Vediamo un apparato militare in grado di organizzare un massiccio dispiegamento di forze per la difesa del petrolio e dell’egemonia in Medio-Oriente, o per catturare coloro che fuggono da quelle guerre e confinarli in isole-prigioni, ma apparentemente incapace di trovare una risposta urgente per mettere al sicuro la popolazione.

Vediamo un’élite politica ed economica incapace di distanziarsi da quelle industrie che hanno provocato il disastro. Tra le prime 30 compagnie più grandi del mercato azionario australiano, sei si occupano di combustibili fossili o estrazione – un numero che è probabilmente un record a livello mondiale. Il carbone rappresenta infatti il 15% dei proventi derivanti dall’esportazione. All’interno di quell’élite globale che ha sempre anteposto potere e  profitto al pianeta e alle nostre vite, la classe dirigente australiana rappresenta la porzione più dipendente dal carbone.

Vediamo l’espressione politica di questo interesse economico: un’ala della politica (i nazionalisti e i liberali) negano qualsiasi collegamento tra questa catastrofe e i cambiamenti climatici, mentre un’altra ala ( i laburisti e alcuni “dissidenti” liberali) esprimono disapprovazione verso il cambiamento climatico e nel frattempo aprono nuove vie del paese ai combustibili fossili e alle industrie estrattive.

Vediamo i media posseduti da Murdoch farsi in quattro per diffondere bugie sul peso dei combustibili. La verità è che questi incendi sono la prevedibile – e infatti prevista – conseguenza del cambiamento climatico. Per più di dieci anni abbiamo visto il freddo e umido fronte meteorologico che una volta portava inverni piovosi nell’Australia meridionale spostarsi ancora più a sud, proprio come la scienza aveva predetto. Non c’è alcuna garanzia sul fatto che queste piogge possano tornare con una certa regolarità. L’economista Ross Garnaut, che non è un radicale, fa notare che il bacino idrico del più importante sistema fluviale del paese sta andando verso la desertificazione, e invita a comparare questo dato con il collasso di civiltà passate.

Vediamo comunità abbandonate e private di qualsiasi aiuto. Una delle poche comunità aborigene che hanno avuto copertura mediatica è quella dei Lake Tyers, nel Gippsland, dove una piccola cisterna sistemata su un veicolo rappresenta l’unico mezzo a disposizione della comunità per combattere il fuoco. Nel frattempo si riporta che il nuovo aereo del primo ministro Scott Morrison sia costato 250 milioni di dollari.

Vediamo continuamente feste alla Kirribilli House, mentre il paese brucia e Sidney soffoca. Nella disperata ricerca di qualcuno che gli stringa la mano, il nostro primo ministro, idiota palpeggiatore del carbone, trova rifugio nella squadra nazionale di cricket.

In altre parole: vediamo il capitalismo australiano in tutta la sua oscena e carbon-dipendente gloria.

Alla ricerca di una parola per descrivere la catastrofe molti sopravvissuti, vigili del fuoco e osservatori ne hanno trovata una: apocalisse. E chiaramente lo è: per i morti, per i loro amati, per le comunità colpite da colonne di fuoco poi trasformatesi in colonne di fumo.

Ma questa non è la fine dei giorni, e nemmeno la fine dell’estate. C’è ancora una grossa porzione del paese che brucerà.

Chiunque ascolti la radio avrà sentito per mesi gli agricoltori, i sindaci delle piccole città, i guidatori di camion e tanti altri testimoniare il fatto che vasti tratti del paese lungo la costa orientale, da Brisbane a Melbourne, non hanno visto alcuna pioggia significativa negli ultimi tre anni e sono come un fiammifero acceso in una foresta, pronti a esplodere. Si spera che i meteorologi abbiano ragione, e che lo spostamento del monsone a nord possa portare pioggia a sud a fine gennaio. Che questo possa effettivamente fermare gli incendi rimane tuttavia un interrogativo comune. E’ inaffrontabile, invece, il pensiero di cosa possa portare il resto di questa estate e delle estati a venire.

E tutto questo sta avvenendo ancora prima di aver raggiunto i “punti di non ritorno” delineati dagli scienziati; ancora prima che la miniera di Adani sprigioni la sua arricchente dose di veleno nell’atmosfera;  ancora prima di aver raggiunto “l’incontrollabile” soglia del “cambiamento climatico incontrollabile” che l’élite aziendale australiana alimenta guadagnandoci tanto profumatamente; ancora prima che le operazioni di fracking eseguite dalla Origin Energy nei territori settentrionali si trasformino in profitto; ancora prima che la BHP annunci un altro record mondiale di profitti derivanti dall’avvelenamento del mondo attraverso il mercato del carbone.

Diversamente dall’apocalisse biblica, questa apparentemente infinita stagione di incendi non è un atto di Dio. Le scelte dei potenti della terra, e dell’Australia, hanno portato a tutto questo, e sono state specifiche scelte dettate dalla ricerca di guadagno e potere. E non si fermeranno solo perché ci sono degli incendi – non finché ci sarà ancora profitto da estrarre e potere da conquistare.

Durante una mobilitazione in occasione della Conferenza Internazionale sull’Attività Estrattiva e sulle Risorse (International Mining and Resources Conference – IMARC) tenutasi a Melbourne, un attivista cileno lo ha spiegato bene: “ A loro non interessa se le persone bruciano, e nemmeno se il pianeta va a fuoco. Sono interessati solo al loro potere. Diventeranno i padroni delle ceneri.”

Non ci verrà consegnato nessun Salvatore dall’alto. L’unico sentiero percorribile è la costruzione di un movimento radicale che sia in grado di trasformare e definitivamente rovesciare le convinzioni dei nostri governanti, la loro vera religione, la loro alfa e la loro omega: il loro profitto e il loro potere.

Articolo originale in inglese: redflag.org

Traduzione: Federica Toninello