Riflettori puntati sull'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che oggi vota sulla richiesta di ammissione della Palestina come Stato non membro.
ANALISI
Il 194 è stampato sulla pelle dei palestinesi
Ramallah, 29 novembre 2012, Nena News - Carl Jung parlò di «sincronicità»
in relazione alla coincidenza di due o più eventi legati da un rapporto
di analogo contenuto significativo. Se questo termine sia applicabile
anche al numero 194 e alla storia palestinese non è facile dimostrarlo.
Certo è che il 194, numero della risoluzione dell'Onu che sancisce il
diritto dei profughi della Nakba palestinese (1948) a tornare
nella loro terra d'origine, è anche la posizione che lo Stato di
Palestinese occuperà a partire da questa sera alle Nazioni Unite, se
l'Assemblea Generale accoglierà la richiesta di adesione della Palestina
come Stato osservatore non membro. Un numero che è marchiato a fuoco sulla pelle dei palestinesi, che li unisce nel dolore per la «catastrofe» di 64 anni fa
e sembra tenerli (più o meno) tutti dietro l'iniziativa lanciata dal
presidente dell'Olp e dell'Anp Abu Mazen, che questa sera la illustrerà
davanti all'Assemblea. Anche il movimento islamico Hamas, a dispetto di
qualche voce importante di dissenso, ha dato appoggio al rivale Abu
Mazen, impegnato in un braccio di ferro con Israele e Stati Uniti.
L'anno scorso Washington riuscì ad impedire, minacciando il veto al
Consiglio di Sicurezza, il raggiungimento l'obiettivo principale
dell'Olp: l'adesione piena all'Onu dello Stato di Palestina, da
proclamare in Cisgiordania, Gaza e la zona araba (est) di Gerusalemme,
quindi in appena il 22% del territorio storico palestinese.
L'Amministrazione
Obama lo considerò un affronto: i palestinesi dopo aver perduto gran
parte della loro terra nel 1948, sofferto l'esilio, patito 45 anni di
occupazione, partecipato negli ultimi 19 anni a trattative inutili e
intermittenti, osavano «unilateralmente» chiedere all'Onu di avere un
loro Stato. Come se Israele non avesse proceduto in tutti questi anni
a colpi di atti unilaterali, a cominciare dall'espansione della
colonizzazione nelle terre occupate. «Lo Stato palestinese può
nascere solo dai negoziati bilaterali con Israele», spiegò la Casa
Bianca. Insomma l'indipendenza non è un diritto naturale, i palestinesi
se la devono sudare per decenni, devono accettare tutte le condizioni
poste da Israele, accontentarsi di porzioni di Cisgiordania, bantustan
che un giorno avranno una bandiera e un inno riconosciuto da tutti.
Infine dovranno rinunciare alla sovranità piena, al controllo del loro
spazio aereo e forse anche dei transiti di frontiera. Solo così saranno
garantite le «esigenze di sicurezza» di Israele.
Da parte sua un anno fa il governo Netanyahu minacciò pesanti ritorsioni, e le minaccia anche quest'anno.
«Non
sono ritorsioni, ma punizioni collettive» ha esordito ieri mattina
Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell'Olp, per spiegare ai tanti
giornalisti giunti ad ascoltarla, che «Il presidente Abbas (Abu Mazen)
parlerà di fronte all'Assemblea delle Nazioni Unite per affermare il
diritto dei palestinesi a vivere in libertà e in un loro stato
indipendente». Più di tutto Ashrawi, storica portavoce palestinese, ha
riferito che ci sono «ottime possibilità» che la richiesta di adesione
venga approvata perchè molti paesi, anche occidentali, sono favorevoli
all'iniziativa palestinese: 150, mentre solo una dozzina sono i
contrari, quindi schierati a favore della continuazione
dell'oppressione. Dovrebbero essere dodici i voti favorevoli tra gli
Stati membri della Ue, tra i quali Spagna, Portogallo, Malta, Cipro,
Danimarca, Svizzera, Irlanda, Norvegia. La Germania, il più potente
degli alleati europei di Israele, ha perentoriamente detto di no. La
Gran Bretagna parla di "apertura condizionata". Londra ha chiesto ad Abu
Mazen di firmare una lettera privata nella quale l'Olp si impegna a non
trascinare Israele di fronte alla Corte Penale Internazionale e a
riprendere subito e senza precondizioni i negoziati, ossia senza
chiedere lo stop alla colonizzazione israeliana. Esita l'Italia. Per
mesi il governo Monti è stato schierato contro l'iniziativa palestinese e
il ministro degli esteri Terzi, è un sostenitore acritico di Israele,
aveva subito sposato le preoccupazioni di Tel Aviv per l'atto
«unilaterale» dei palestinesi. A spingere Roma verso una posizione più
moderata, l'astensione, è stato anche il voto delle commissioni estere
di Camera e Senato favorevole all'accoglimento della richiesta
palestinese. Ha pesato inoltre l'isolamento nell'Unione europea degli
Stati che si sono detti contrari al riconoscimento dello Stato di
Palestina. Persino l'Olanda, alleata di ferro di Israele, ha scelto
l'astensione.
Hanan Ashrawi ha prima ringraziato Francia e Spagna e poi criticato i
paesi, come il Canada, che si sono attivati per bloccare l'iniziativa
palestinese. «Non capisco il Canada - ha affermato - si sta dando da
fare per sostenere le posizioni di un altro paese (Israele, ndr) volte a
negare i diritti di un popolo che sono riconosciuti da gran parte del
mondo». Ashrawi ha quindi affermato che questa sera all'Onu «i
palestinesi guarderanno in faccia quei paesi che voteranno contro la
richiesta di adesione all'Onu «pur sapendo che abbiamo diritto, dopo
tanti anni di occupazione, alla piena libertà».
All'Onu è il giorno della Palestina
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite vota oggi sulla richiesta di ammissione della Palestina come Stato non membro.
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