Le Nazioni Unite avevano previsto che Gaza sarebbe diventata invivibile entro il 2020. E avevano ragione

Israele cerca di mantenere lo “status quo” a Gaza, in modo da rendere ancora possibile la sopravvivenza, ma senza permettere alle persone di vivere una vita dignitosa.

11 / 1 / 2020

Mentre i festaioli di tutto il mondo riformulano i buoni propositi per il nuovo anno 2020, nella Striscia di Gaza i palestinesi cercano di valutare se o come sopravviveranno nei prossimi 10 anni. Nel 2012 le Nazioni Unite avevano pubblicato un rapporto il cui titolo poneva una domanda sconcertante: "Gaza nel 2020: un luogo abitabile?" Il rapporto ipotizzava che senza un cambiamento fondamentale e uno sforzo collettivo, la Striscia sarebbe diventata "invivibile" in soli otto anni.

Il rapporto era stato pubblicato pochi mesi prima della seconda delle tre operazioni militari israeliane che sarebbero state avviate a Gaza in sei anni. In seguito alla terza operazione, “Margine Protettivo” nel 2014, con il suo enorme prezzo in termini di vite umane ed i danni alle infrastrutture civili, gli osservatori delle Nazioni Unite avevano ipotizzato che la Striscia sarebbe diventata davvero invivibile entro il 2018, in quanto le previsioni del rapporto “Gaza 2020” non avevano preso in considerazione operazioni militari di tale portata.

Tuttavia, nel 2020 la popolazione si chiede che fine abbiano fatto le previsioni delle Nazioni Unite. A detta di tutti, e secondo gli indicatori delle Nazioni Unite, la vita a Gaza è palesemente peggiore oggi rispetto al 2012. Ad esempio, il tasso di disoccupazione è passato dal 29% al 45%, con un tasso superiore al 60% tra i giovani palestinesi.

La capacità di produzione di energia elettrica nella Striscia è rimasta invariata negli ultimi otto anni, sebbene la domanda sia aumentata, in quanto la popolazione è cresciuta da 1,6 a quasi due milioni. La disponibilità di energia elettrica è addirittura peggiorata dal momento che le linee egiziane non servono più Gaza dall'inizio del 2018. L'energia è disponibile per solo mezza giornata.

L'acqua delle falde acquifere non è potabile per il 96%, esattamente come aveva previsto il rapporto. Le famiglie sono costrette ad investire gran parte dei propri soldi per l'acquisto di acqua potabile, che non sempre è sicura; e dato che molte famiglie non possono permettersi di acquistarla, le malattie trasmesse dall'acqua sono diventate estremamente diffuse, specialmente tra i bambini.

Israele, attraverso il suo controllo sul movimento delle persone, ha svolto un ruolo centrale ed intenzionale in questo declino. Ai cittadini israeliani viene raccontata la storiella che “è tutta colpa di Hamas", per farli dormire meglio la notte, ma non è questa la verità storica. Gaza è stata gradualmente tagliata fuori dalla Palestina ed isolata per decenni ad opera di Israele; e nel 2007, quando Hamas prese il potere nella Striscia, Israele sigillò il territorio quasi ermeticamente.

I politici israeliani avevano “calcolato” quanto l’assedio e le pressioni sarebbero stati efficaci a livello geopolitico. Israele è arrivata a limitare in maniera drastica l' ingresso di cibo e, negli ultimi 12 anni, ha preso di mira determinati settori dell'economia con politiche quali i limiti arbitrari sulla pesca e l'accesso ai terreni agricoli, sull'ingresso di materiali per la produzione e sulla commercializzazione e l'esportazione di merci.  Dopo svariate operazioni militari, tuttavia, alcuni politici israeliani hanno riconosciuto che i loro "calcoli" non erano poi così corretti. A seguito in particolare di “Margine Protettivo”, molti si sono finalmente accorti che la responsabilità della situazione umanitaria precaria su questo territorio è di Israele.

Il capo dell'intelligence dell'esercito ha persino citato il rapporto “Gaza 2020” delle Nazioni Unite in un'audizione del Comitato Knesset all'inizio del 2016, dicendo ai membri della Knesset che era necessario un aiuto economico per confutare la previsione delle Nazioni Unite che la Striscia sarebbe diventata invivibile entro il 2020. L’aiuto economico, in quell’occasione, fu definito "il fattore di contenimento più importante” e fu riconosciuto che, senza un miglioramento delle condizioni di quel territorio, Israele sarebbe stato il primo a sperimentare i danni del “contraccolpo”. Questa è divenuta, negli ultimi anni, la logica comune tra i politici israeliani, dal ministro della difesa allo stesso primo ministro; nonostante questi individui siano stati gli stessi promotori delle politiche che progettate per ottenere esattamente il risultato contrario.

Questa logica si è tradotta in modesti cambiamenti di politica. Nel 2012 il limite di pesca era di sole tre miglia nautiche dalla costa, nel 2015 è stato elevato a sei, quindi a 15 miglia oggi in alcuni punti. A differenza del 2012, quando nessuna merce era autorizzata ad uscire da Gaza per essere venduta nei mercati tradizionali in Cisgiordania e Israele, oggi determinate merci possono raggiungere la Cisgiordania ed alcuni prodotti riescono anche ad essere venduti in Israele. Nel 2012 una media di soli 22 camion al mese di merci è uscita da Gaza, mentre nel 2019 siamo arrivati a 240 camion al mese. Nel 2012 l’ingresso dei materiali da costruzione era a malapena autorizzato per le organizzazioni internazionali ed umanitarie, mentre oggi molti più materiali possono entrare a Gaza per ricostruire le abitazioni private.

Tuttavia, nonostante questi micro-cambiamenti sembrano aver dato un po' di sollievo ai palestinesi di Gaza, non hanno invertito il macro-deterioramento delle condizioni di vita nella Striscia. Invece di tentare di trasformare la situazione, Israele e gli altri attori regionali stanno semplicemente facendo nuovi calcoli per raggiungere una situazione di "quiete" che renda la vita a Gaza ancora tollerabile.

In linea con questo obiettivo, l'Egitto ha iniziato a gestire regolarmente l'attraversamento del confine di Rafah nel 2018, dopo averlo tenuto per lo più chiuso negli ultimi cinque anni. Anche il Qatar ha fatto passi avanti con un massiccio sostegno finanziario nel 2018 e nel 2019, pagando per la produzione di elettricità nell'unica centrale elettrica della Striscia, finanziando progetti di ricostruzione e sovvenzionando in contanti le famiglie più povere. Altri donatori - paesi europei, stati del Golfo e altri - hanno continuato a finanziare considerevolmente l'UNRWA e dozzine di altre organizzazioni internazionali e locali, fornendo aiuti e colmando le lacune causate dai tagli dei finanziamenti statunitensi.

È questo il grande sforzo previsto dalle Nazioni Unite per cambiare rotta e rendere vivibile Gaza? Siamo molto lontani da tutto ciò. Tutto questo è solo il minimo indispensabile per mantenere la testa delle persone appena fuori dall'acqua, lontani anni luce dal vero sviluppo economico e dalle prospettive di crescita sociale o dal raggiungimento degli standard minimi in tema di diritti umani.

I cambiamenti della politica israeliana, l'aumento dell’export, l’ingresso di denaro e gli aiuti sono stati tutti stratagemmi per tenere la situazione sotto controllo, in modo da impedire lo scoppio di epidemie devastanti e per placare una potenziale rivolta da parte di coloro che non hanno accesso all’acqua. Nessuno dovrebbe tirare un sospiro di sollievo, tuttavia, poiché il "silenzio" non può cancellare la fame provata da migliaia di famiglie palestinesi che soffrono di insicurezza alimentare. E non maschera la disperazione dei giovani che fuggono dalla Striscia in cerca di una vita migliore.

È un'illusione pensare che lo “status quo” sia gestibile. Nessuno dovrebbe dormire sonni tranquilli fino a quando non ci sarà un cambiamento significativo nell'approccio alla questione da parte dei governi, in modo tale che i civili non vengano tenuti in ostaggio, foraggiando le campagne elettorali di politici israeliani in fallimento. Ci sono stati sforzi sostanziali da parte della comunità internazionale e persino alcuni cambiamenti politici da parte di Israele, ma non è mai stata presa una decisione fondamentale da parte di Israele di permettere alle persone di vivere a Gaza, invece che sopravvivere.

Gli esseri umani non sono macchine e molti degli indicatori che rendono la vita degna di essere vissuta non possono essere trovati in un rapporto delle Nazioni Unite.

Sì, le persone hanno bisogno di acqua, elettricità, lavoro ed assistenza sanitaria per cavarsela - ma che dire degli indicatori più difficili da misurare? La necessità di libertà, la capacità di pianificare la propria vita, di avere delle prospettive di vita migliori per sé ed i propri figli e di sentirsi al sicuro nella propria casa?

In tal senso, il report “Gaza 2020” ed i funzionari e politici israeliani che hanno cercato di seguire le sue prescrizioni non sono stati all'altezza. Ma i funzionari delle Nazioni Unite che hanno avvertito che Gaza sarebbe diventata invivibile entro il 2018, probabilmente avevano intuito qualcosa. Nel 2018 il “vaso di Pandora della disperazione” a Gaza è stato scoperchiato e la gente ha iniziato a rendersi conto che il piano era quello di mantenere il loro isolamento senza alcuna prospettiva di una soluzione al conflitto. Attraverso le proteste della Grande Marcia del Ritorno, i giovani palestinesi di Gaza, cioè la stragrande maggioranza della popolazione, hanno mostrato al mondo che non sono solo cibo e acqua ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere.

Hanno bisogno di libertà, dignità e speranza.

Tradotto da Dario Fichera. Articolo originale su 972mag.com.

Nella foto di copertina: Palestinesi attendono al valico di frontiera di Rafah con l'Egitto, nella Striscia di Gaza meridionale, dopo l’apertura straordinaria di due giorni da parte dalle autorità egiziane, l'11 maggio 2016. (Abed Rahim Khatib / Flash90)